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La Repubblica Rassegna Stampa
02.04.2014 La pessima idea dei palestinesi: cercare il 'nuovo Arafat'
reportage di Fabio Scuto

Testata: La Repubblica
Data: 02 aprile 2014
Pagina: 17
Autore: Fabio Scuto
Titolo: «Fine corsa per Abu Mazen la Palestina cerca il nuovo Arafat»
Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 02/04/2014, a pag. 17, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo "Fine corsa per Abu Mazen la Palestina cerca il nuovo Arafat".
La ricerca da parte dei palestinesi di un leader alternativo ad Abu Mazen sarebbe di per sé  legittima, ma il fatto  che questa ipotetica figura possa essere descritta come un "nuovo Arafat", cioé come il degno erede di un politico fallimentare e terrorista non può che sconcertare.
Tra i nomi citati da Scuto nel suo reportage come possibili sostituti di Abu Mazen, d'altro canto, vi è anche quello di Marwan Barghouti, in carcere in Israele perché condannato per cinque omicidi e capo, durante la "seconda intifada", del gruppo terroristico dei Tanzim.
L' Autorità palestinese sembra inoltre intenzionata ad adottare, secondo quanto riferito da Scuto, una strategia di ulteriore chiusura nei confronti di qualsiasi possibile accordo con Israele: la denuncia di quest'ultimo al Tribunale penale internazionale per inesistenti "crimini di guerra".

Ecco il testo dell'articolo.



Fabio Scuto           Marwan Barghouti con Yasser Arafat

Sfrecciano per le viuzze della capitale “de facto” dei palestinesi i Suv blindati che portano i negoziatori americani per l’ennesima volta alla Muqata dal presidente Abu Mazen. Vent’anni dopo gli accordi di Oslo, quel negoziato di pace che aveva acceso tanti entusiasmi, è giunto alla fine della corsa. Se le speranze di salvare la trattativa sono legate alla liberazione di Johanatan Pollard, una spia israeliana da 25 anni in un oscuro carcere di massima sicurezza degli Usa, vuol dire come dice qualcuno qui a Ramallah che «il negoziato di pace è un cane morto». Ma se il crollo delle speranze di pace lasceranno probabilmente in sella il premier Benjamin Netanyahu – che guida un governo di coalizione con la destra dei coloni – anche se con qualche aggiustamento, finiranno invece per travolgere questa leadership palestinese definita «la più moderata», anche dal presidente israeliano Shimon Peres, a partire dal presidente Abu Mazen. Per l’anziano leader palestinese - 79 anni, una salute malferma - è già partita l’ultima corsa, perché alla fine anche la piazza dopo vent’anni di attesa è adesso delusa, stanca, e ne ha abbastanza di questi leader tutti ultra-settantenni accusati di «aver voluto credere alle bugie di americani e israeliani». Nella Anp, così come dentro Fatah, si prepara una notte dei lunghi coltelli, una resa dei conti, per chi alla fine guiderà i palestinesi (forse) verso l’indipendenza. Una volta era un argomento tabù, adesso in ogni caffè di Ramallah si parla della successione ad Abu Mazen. Avanzano giovani leader che a gran voce, e con in tasca i petro-dollari del Golfo, che chiedono la testa di Abu Mazen e un cambio di rotta totale dell’Anp, come Mohammed Dahlan – l’ex delfino di Arafat in esilio dal 2010 negli Emirati - Jibril Rajub, oggi potente commissario del Cio palestinese ma un tempo capo dei servizi segreti in Cisgiordania. E Marwan Barghouti, l’ex capo dei Tanzim di Fatah in cella in Israele con cinque ergastoli. Al divenire dei prossimi avvenimenti in Palestina è intrecciato il destino di questi tre esponenti della “nuova guardia”. Dalla richiesta di un boicottaggio internazionale di Israele a proteste di massa per chiedere un riconoscimento maggiore alle Nazioni Unite. Sono solo alcune delle opzioni che i palestinesi stanno valutando come “piano B” se i negoziati in corso con gli israeliani dovessero portare a un nulla di fatto. La strada più ardua, quella che gli israeliani vedono come una minaccia, è quella di cercare di denunciare Israele al Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra commessi dall'esercito nella Cisgiordania occupata. In un recente studio del “Centro palestinese di politica e ricerca” intitolato “The Day after” si prevede lo scioglimento dell'Autorità nazionale palestinese e la crisi dell'economia della Cisgiordania con stipendi non pagati e fallimento di banche, illegalità dilagante e ritorno ai giorni in cui le milizie provocavano il “caso” tra israeliani e palestinesi. L'Anp potrebbe proprio collassare nel caso in cui i palestinesi decidessero di rivolgersi al Tribunale penale internazionale e gli Stati Uniti e Israele decidano di vendicarsi interrompendo flusso di denaro e altre forme di sostegno. In questo caos potrebbero trovarsi i vertici palestinesi e la faida interna che è iniziata da qualche settimana non aiuta. Veleni, accuse, avvisi, minacce, e poi alla fine l’immancabile sventagliata di kalashnikov. Da tempo a Ramallah si spara la notte, contro le case, contro le macchine, un stile politico che qualche sociologo contemporaneo potrebbe definire clanico- mafioso. Abu Mazen avrebbe voluto nominare un vice qualche settimana fa e nel Comitato esecutivo di Fatah si è svolta una consultazione informale. Tutti e 47 i biglietti depositati dentro un vaso di vetro sul tavolo sono risultati bianchi: nessuno si è voluto schierare. Si è già schierato apertamente invece Mohammed Dahlan, il ras di Khan Younis, ex capo della sicurezza preventiva nella Striscia di Gaza, da quattro anni in esilio nel Golfo, dopo lo scontro frontale con Abu Mazen che definì un «debole» e inadatto alla guida dell’Anp. Accuse che si sono estese poi ai due figli del presidente, con ombre su alcuni guadagni illeciti. In mezzo ci fu un quasi-golpe che però non andò in porto e Dahlan fu espulso da Fatah e dalle cariche nell’Olp, mentre decine di uomini a lui fedeli venivano arrestati. Un “pronunciamento” al quale non era estraneo nemmeno Nasser al Kidwa, il nipote prediletto di Arafat, finito in ombra. Adesso, il cinquantenne che piaceva tanto ai Clinton, sostenuto da potenti finanziamenti del Golfo, dall’amicizia con i generali egiziani, lancia apertamente la sua sfida ad Abu Mazen, che replica adesso accusandolo di ogni nefandezza, compresa quella di essere coinvolto nell’assassinio di Yasser Arafat, sospende dal servizio gli uomini rimasti fedeli a Dahlan. Altri, come l’ex ministro Sufian Abu Zaida, si sono visti invece mitragliare la macchina la notte come segno di avvertimento. Una rappresaglia a cui non è sfuggita nemmeno la casa a Ramallah di Jibril Rajub, i cui vetri del piano terra sono stati frantumati da raffiche di AK-47 in piena notte. Avvertimenti che non sembrano però intaccare la fiducia Dahlan. «Tornerò presto in Palestina », dice al telefono dal Cairo, «e non sarà per fare qualsiasi cosa».

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