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La Repubblica Rassegna Stampa
16.09.2009 A. B. Yehoshua : ' Imparate la storia dai romanzi '
L'intervista di Leonetta Bentivoglio

Testata: La Repubblica
Data: 16 settembre 2009
Pagina: 43
Autore: Leonetta Bentivoglio
Titolo: «Imparate la storia dai romanzi»

Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/09/2009, a pag. 43, l'intervista di Leonetta Bentivoglio a A. B. Yehoshua dal titolo "Imparate la storia dai romanzi".

 A. B. Yehoshua

La voce del narratore evoca, rammenta, descrive, vola nel tempo. Osserva la Storia dall´interno dei personaggi e quello sguardo può catturare chi legge dando una chiave diversa, più sfaccettata e vivida nel flusso di emozioni. Spiega l´israeliano Abraham Yehoshua, potente cantore dell´identità ebraica, autore di romanzi densi di storie e Storia come L´amante, Un divorzio tardivo, Il Signor Mani, dove le generazioni di una stessa famiglia scorrono per due secoli nei monologhi frammentati di chi è stato causa o testimone della sorte famigliare; e ancora di Ritorno dall´India e di Fuoco amico, il libro più recente, specchio delle dolorose ambiguità della questione israeliano-palestinese: «In un buon romanzo l´identificazione del lettore con le persone inventate dall´autore può sollecitare una comprensione dei fatti tanto più incisiva e pregnante di quella che arriva a comunicare un libro di Storia. Certi romanzi sull´Olocausto ne hanno trasmesso lo spirito e i sentimenti con più forza di montagne di saggi». Yehoshua sarà al Festival Pordenonelegge come vincitore del premio FriulAdria La storia in un romanzo, che gli sarà consegnato a Pordenone il 19 settembre. Riconoscimento di uno scrittore che ha radicato sempre nelle profonde ragioni della Storia il suo estro mitico e il suo culto dell´umano.
Abraham Yehoshua, nel dirci la Storia un romanzo può davvero essere più efficace di un saggio?
«Pensi a Guerra e Pace. Scritto quarant´anni dopo gli eventi narrati da Tolstoj, ha riversato nella memoria collettiva la guerra di Napoleone contro la Russia molto più di centinaia di ottimi manuali».
E la letteratura può prescindere della Storia?
«Ci sono libri che ignorano il contesto storico confrontandosi con esperienze immediate. Capita con certe storie d´amore. Ma questo non mi riguarda. Il Sionismo, ovvero la normalizzazione degli ebrei, equivale anche al cambiamento del loro modo di porsi di fronte alla Storia. Oggi ne sono più consapevoli perché si trovano a costruire la loro identità in base a una conoscenza che non è più solo mitologica, ma appunto storica. Naturale che in un´epoca di normalizzazione degli ebrei in Israele io sviluppi le mie storie dentro una trama storica più vasta».
Infatti Israele è quasi sempre al centro dei suoi libri.
«Ho scritto anche libri dove non compare, come Viaggio alla fine del millennio, ambientato alle soglie dell´Anno Mille e basato sul rapporto tra due comunità di ebrei: una meridionale, rappresentata da un mercante maghrebino sefardita, e l´altra nordica. È in una cittadina ashkenazita della Francia che il mercante viene giudicato per l´illegittimità della sua bigamia. Si narra quindi la difficoltà di coordinare codici morali diversi all´interno di un´unica tradizione. Alla fine il protagonista, pur col suo ebraismo nutrito di Islam, dovrà accettare l´affermarsi di una nuova morale: di fatto è la morale, persino dopo Freud e Marx, a rendere irrinunciabili le religioni, agenzie della morale capaci di rispondere a domande lasciate in sospeso dal pluralismo».
Nel romanzo storico lei mostra una precisione maniacale nell´ambientazione minuta. La Storia è anche questo? Piccole cose della vita? Dettagli?
«Certo. Però il lavoro di documentazione non deve sopraffarci. Rischia di paralizzare lo scrittore. Meglio contare su bravi consulenti ai quali far rivedere il testo. Col loro aiuto ho evitato una serie di errori anacronistici in Viaggio alla fine del Millennio. Esempio: in una prima stesura facevo mangiare patate ai miei personaggi, poi mi hanno avvertito che le patate sono state introdotte nell´alimentazione solo cinquecento anni fa».
Per uno scrittore è più facile parlare di storia recente o immergersi in secoli lontani?
«Viaggiare indietro nel tempo è ovviamente più difficile, soprattutto avendo a che fare con la storia di Israele. Un autore che scrive sulla Venezia di cinque secoli fa può inseguirla decifrandone le tracce. Invece per gli ebrei, popolo viaggiante e di immigrati, le radici sono sparpagliate o disperse. Ma è anche vero che se si narra la Gerusalemme ottocentesca si può lavorare di fantasia, il che è impossibile scegliendo come ambientazione le strade di Haifa o Tel Aviv come sono oggi: si avranno addosso migliaia di occhi che ne controllano la descrizione».
A cosa attribuisce l´attuale successo dei romanzi storici?
«In quest´era post-modernista siamo sommersi da una quantità enorme di informazioni e non c´è alcun sistema in grado di valutare cosa stia accadendo davvero. Prenda la crisi economica: perché è iniziata? È finita? Sta finendo? Notizie e interpretazioni si accavallano. Invece un romanzo storico può restituirci un´epoca in una panoramica ampia e chiara. Inoltre è bello per il lettore tuffarsi in periodi nei quali il mondo era meno affollato e le comunicazioni erano più lente e significative, e non tutto era condizionato dall´esigenza di soddisfazione immediata di ogni desiderio, tipica dell´edonistica società odierna. Se per raggiungere una città s´impiega un giorno di viaggio invece che un´ora, la meta ha un sapore diverso».
Crede che la situazione particolare di Israele abbia contribuito alla formidabile vitalità della letteratura israeliana?
«Viviamo in uno Stato complicatissimo in cui si naviga tra nazionalità e religioni. In più dobbiamo tenere conto di mitologie che esistono da tremila anni. E bisogna anche sopravvivere nel presente. È la gran mole di problemi esistenziali a nutrire la scrittura. Pensi alle conquiste delle arti occidentali in tutti i campi tra le due guerre. La situazione era tremenda: fascismo in Italia, nazismo in Germania, Rivoluzione Sovietica, depressione economica... Eppure c´è stata un´incredibile fioritura letteraria, con autori quali Pirandello e Joyce. Poi tutto è precipitato nella catastrofe. È vero, la letteratura israeliana è cresciuta anche grazie a una situazione ardua. Ma quanto sarebbe meglio avere una cultura meno rilevante e più pace attorno!»
Gli scrittori israeliani sono sempre coinvolti nel dibattito politico in Israele, e lei non fa eccezione.
«Oggi non è più come quarant´anni fa, quando combattevamo un´opposizione che non voleva capire spazi e diritti dei palestinesi. Ora un primo ministro di estrema destra invoca la soluzione dei due Stati, ipotesi assurda da mettere in pratica. E anche se la maggioranza della scena politica è d´accordo con le nostre idee, queste diventano sempre più difficili da realizzare, e io sono stanco di ripetermi. Ho sei splendidi nipotini, meglio fare il nonno».

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