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La Repubblica Rassegna Stampa
22.06.2009 Pio XII, né criminale né eroe
L'opinione di Mordechai Lewy, ambasciatore di Israele in Vaticano

Testata: La Repubblica
Data: 22 giugno 2009
Pagina: 20
Autore: Giampaolo Cadalanu
Titolo: «Pio XII, né criminale né eroe»

Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/06/2009, a pag. 20, l'articolo di Giampaolo Cadalanu dal titolo " Pio XII, né criminale né eroe ".

 Mordechai Lewy

ROMA - Israele è comprensiva con Pio XII, ma non nutre particolare entusiasmo sulla sua statura storica. Questa quanto meno è la posizione di Mordechai Lewy, ambasciatore presso la Santa Sede, intervistato nei giorni scorsi dal Boston Globe durante una vacanza negli Stati Uniti. Lewy conferma la sua fama di diplomatico navigato dichiarando che Pio XII «non fu un eroe, ma nemmeno un criminale», e ribadendo: «Noi guardiamo a lui attraverso l´ottica della Chiesa post-conciliare. Lui è stato certamente un protagonista della Chiesa pre-conciliare, che come massimo compito aveva quello di cercare ogni mezzo possibile per salvare il suo gregge. Non era un papa per gli ebrei, non era un papa per i musulmani, non era un papa per chiunque non fosse cattolico. Ma non fece un concordato perché era il papa di Hitler. È un concetto errato. Lo fece per sopravvivere, per far sì che la chiesa sopravvivesse a un regime senza dio».
Nelle parole dell´ambasciatore Lewy, papa Pacelli appare come un pontefice «timido», un «diplomatico», la cui responsabilità maggiore davanti al popolo ebraico è quella di aver scelto la neutralità durante la Seconda guerra mondiale, seguendo l´insegnamento di Benedetto XV, ma, dice Lewy, «ha frainteso del tutto la situazione e non può esserne considerato responsabile».
Per Pio XII, aggiunge il rappresentante dello stato ebraico, «essere neutrale voleva dire essere silenzioso, fare affidamento su una diplomazia tranquilla. Il grande problema è perché sia stato silenzioso, non perché sia rimasto inerte». S´intende comunque che «è sbagliato dire che non salvò ebrei. Chiunque conosca la storia dei sopravvissuti dell´ebraismo romano sa che essi si nascosero nelle chiese, in monasteri, persino in Vaticano. Ma cercarne prova scritta, un ordine del Papa, beh... questo è bizzarro. Non è così che vanno le cose».
Ragionando complessivamente con il quotidiano di Boston sul rapporto fra Israele e chiesa cattolica, Lewy spiega scherzosamente che il suo compito principale a Roma è «cercare di convincere gli ebrei che la menorah del Secondo Tempio non è conservata nelle cantine dei musei vaticani». L´allusione è alla leggenda secondo cui il candelabro ebraico era stato portato a Roma come bottino di guerra dell´imperatore Tito. Effettivamente la menorah è rappresentata nell´arco di Tito, ricorda Lewy.
Ma i rapporti fra Israele e Vaticano, in termini più seri, sono argomento delicato. «Non possiamo permetterci, come stato e come popolo ebraico, di continuare allo stesso modo dopo 1900 anni di esperienze cattive e traumatiche con il mondo cristiano». Quanto all´interesse israeliano alla presenza cristiana nei luoghi santi, l´ambasciatore Lewy è deciso: «Non ci sono questioni. Siamo obbligati. Essere una Terra santa non è solo una benedizione, è anche un impegno. E se si dice "santa per le tre religioni monoteiste", è un obbligo fare in modo che questo si avveri, o si conservi com´è, e non ostacolarlo».

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