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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica Rassegna Stampa
10.05.2009 Di fronte al genocidio degli ebrei Pio XII restò in silenzio
Giovanni Miccoli : ' La Santa Sede era perfettamente informata '

Testata: La Repubblica
Data: 10 maggio 2009
Pagina: 26
Autore: Marco Politi - Simonetta Fiori
Titolo: «La Shoah un orrore tra i tanti - La paura di rompere col Führer»

Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 10/05/2009, a pag. 26, l'intervista di Simonetta Fiori a Giovanni Miccoli dal titolo " La Shoah un orrore tra i tanti " e l'articolo di Marco Politi dal titolo "  La paura di rompere col Führer " su Pio XII. Ecco gli articoli:

Simonetta Fiori : " La Shoah un orrore tra i tanti "

La figura di Pio XII, la sua politica felpata con il Führer, il protratto silenzio sugli ebrei continuano a suscitare dispute appassionate, non solo tra gli storici ma anche sulla scena pubblica. «Sembra di essere tornati agli anni Sessanta», dice Giovanni Miccoli, insigne medievista oltre che autore di studi fondamentali su papa Pacelli. «Fu allora che, dopo il debutto del Vicario di Rolf Hochhut, un testo sostanzialmente sbagliato e non privo di ambiguità, si scatenò una guerra feroce tra apologeti e detrattori».
«Oggi non è molto diverso. Agli estremismi denigratori dei Cornwell e dei Goldhagen si replica con l´assoluzione e talvolta con una vera esaltazione, entrambe funzionali al processo di beatificazione. Ma le canonizzazioni non hanno mai modificato il giudizio storico, o almeno non dovrebbero farlo. Colpisce che gli incensatori prendano in considerazione solo le tesi denigratorie, non i problemi che la documentazione stessa evidenzia. Problemi, a dire il vero, già emersi durante la guerra». a quali problemi si riferisce? «Si tende a dimenticarlo, ma già all´indomani della caduta della Francia, il cardinale Tisserant lamentò con l´arcivescovo di Parigi l´assoluta inerzia del pontefice sui metodi di guerra dei nazisti. Ancora più significativa la testimonianza di monsignor Respighi, prefetto delle cerimonie pontificie, che nel maggio del 1943 invocò "una parola forte in difesa dell´umanità", con "le orecchie intronate" dalle richieste che gli arrivavano in questo senso. Anche Pio XII era consapevole delle critiche, tanto da domandare nell´ottobre 1941 ad Angelo Roncalli se "il suo silenzio circa il contegno del nazismo non fosse giudicato male"».
La rottura con la Germania hitleriana fu evitata anche per il timore del bolscevismo: un tema fortemente evidenziato dalle spie naziste.
«Fin dal principio, è molto presente in Pio XII la paura che la Russia sovietica potesse dare all´"Europa cristiana il colpo decisivo" (così il radiomessaggio del Natale 1939). Inquietudine destinata a crescere nell´inverno tra il 1942 e il ´43, quando l´esito della campagna di Russia comincia a profilare la sconfitta della Germania. Ma non fu la sola ragione della cautela».
Cos´altro lo spinse al riserbo?
«Una denuncia aperta dei crimini nazisti avrebbe potuto inasprire la strisciante persecuzione nei confronti del cattolicesimo tedesco: non dimentichiamo che diecimila preti tedeschi "passarono" attraverso la Gestapo; decine furono le esecuzioni capitali. E avrebbe inoltre impedito l´opera di assistenza per soccorrere le popolazioni. Uno degli elementi più forti che condizionarono il Vaticano fin dallo scoppio della guerra fu l´aspirazione del pontefice a esercitare un ruolo di mediazione. Era il "padre di tutti", non poteva schierarsi».
I documenti tedeschi lo ritraggono decisamente ostile alla Germania.
«I rapporti della polizia hitleriana durante tutta la guerra (circa venti volumi di testi) mettono le attività della Chiesa cattolica nella sezione dedicata agli "avversari" (Gegner). E vuole stupirsi che anche Pio XII fosse considerato tale? Ma anche il Terzo Reich non era un monolite e non mancavano coloro che guardavano al Vaticano con interesse. Tra questi figura Ernst von Weizsäcker, dal luglio del 1943 ambasciatore in Vaticano, che nelle sue carte descriveva papa Pacelli così: "Troppo fine, troppo saggio, troppo prudente, troppo diplomatico, un generale di Stato Maggiore della miglior specie che però non è mai stato al fronte..."».
Agli occhi degli uomini del Führer era evidente la differenza tra Pio XII e il suo predecessore. Un promemoria del 1939, a proposito di Pio XI, parla addirittura di «politica di violenza».
«Sì, è un documento molto duro, noto fin dagli anni Settanta. A una divergenza tra Pio XI e il cardinal Pacelli - nella seconda metà degli anni Trenta - fa esplicita menzione Giuseppe Dalla Torre, direttore dell´Osservatore Romano. La storiografia apologetica di Pio XII tende a minimizzare l´importante progetto coltivato da Pio XI prima di morire, ossia la pubblicazione di un´enciclica contro l´antisemitismo e il razzismo. Pio XII l´affossò definitivamente».
Alcuni storici come Andrea Riccardi sottolineano l´operosità dei cattolici a Roma, durante l´occupazione tedesca, in difesa degli ebrei.
«Una mobilitazione significativa, ma bisogna domandarsi che proporzione ci sia tra questo aiuto individuale, coraggioso, talvolta molto rischioso, e l´enormità della tragedia in corso. Pesano inoltre i silenzi e la sostanziale acquiescenza all´antisemitismo che caratterizza tanta parte della Chiesa cattolica negli anni Trenta. È indubbio che nella Shoah la responsabilità primaria debba essere attribuita al nazismo, ma c´è anche una responsabilità intessuta di reticenze e conformismi che richiamano l´antico deposito dell´antisemitismo cristiano».
Qual era il livello di consapevolezza del Papa intorno alla macchina di sterminio?
«La Santa Sede era pienamente informata. Vent´anni fa gli storici cattolici riconoscevano una realtà che ora si cerca di nascondere. È vero che nelle carte vaticane non si parla mai di "soluzione finale", ma è evidente che conoscevano la sostanza delle cose. Non è un caso che, dopo la razzia degli ebrei romani, il 16 ottobre 1943, monsignor Montini abbia scritto: "Questi ebrei non torneranno più nelle loro case". Si può dire con fondamento che la questione degli ebrei non fu per la Santa Sede in cima ai problemi più gravi. Rimase confusa tra i tanti orrori della guerra. Ma questo anche in ragione di una robusta tradizione antiebraica che, pur in una situazione drammatica, continuò a condizionarne alcune scelte».

Marco Politi : "  La paura di rompere col Führer "

Dalle carte segrete del Reich (trasportate in fotocopia negli archivi britannici dopo la sconfitta della Germania nel 1945) emerge tutta la complessità della figura di papa Pacelli negli anni cruciali della Seconda guerra mondiale. La sua avversione al nazismo, il suo amore per la Germania, il suo «non prendere posizione» tra le parti in conflitto, lo stile accentratore di governo, l´orrore per il comunismo. Fa impressione seguire nella documentazione del Terzo Reich le tracce dell´ostilità di fondo di Pacelli al regime nazista. A Berlino non si fanno illusioni fin dall´elezione di Pio XII il 2 marzo 1939. Data la «nota posizione dell´allora cardinale Pacelli nei confronti della Germania e del movimento nazionalsocialista» il Protocollo suggerisce che Hitler faccia pervenire auguri «corretti, ma non particolarmente calorosi». Un promemoria del 3 marzo, pur rilevando l´atteggiamento filotedesco di Pacelli, sottolinea che quale «fautore di una politica ecclesiastica ortodossa (Pacelli) si è posto ripetutamente in una contrapposizione di principio con il Nazionalsocialismo».
n el 1940 i nazisti si lamentano che la prima enciclica Summi pontificatus e il discorso di Natale del 1939 contengano «pur nella forma di frasi generiche, chiari attacchi alla Germania». In un lungo rapporto di decine di pagine, redatto dall´ambasciata tedesca presso la Santa Sede a Roma il 29 settembre 1942 e intitolato significativamente Il Vaticano nella guerra, è scritto testualmente che «esistono sufficienti motivi (per affermare) che il Papa rispetto alla Germania nazionalsocialista nutre la stessa diffidenza e quasi la stessa repulsione (che prova) nei confronti del regime sovietico». Nella Curia, prosegue il rapporto, «si manifesta apertamente l´ostilità verso la Germania, mentre non si può negare al Papa comprensione e simpatia nei confronti del popolo tedesco, che egli distingue dal regime nazionalsocialista». I capi d´accusa che vengono rivolti al nazismo nei «circoli vaticani» - continua il rapporto - riguardano specificamente: «1) il trattamento della Polonia, 2) il trattamento degli ebrei, recentemente soprattutto in Francia, 3) la nomina di Alfred Rosenberg come commissario del Reich nelle terre orientali».
Dalla documentazione provvista del timbro Geheime Reichssache (Affari segreti del Reich), che Mario Josè Cereghino è andato pazientemente a ritrovare negli archivi di Kew Gardens, risulta dunque tutt´altro che un «Papa di Hitler» come suggerito dal titolo celebre e fuorviante di un libro pubblicato qualche anno fa. Definire così Pacelli è falso. Ancora sul finire della guerra lo stesso capo dei servizi segreti nazisti, Ernst Kaltenbrunner, giustiziato dopo il processo di Norimberga, informa il ministero degli Esteri che «certi "crimini" dei nazisti, come sterilizzazione ed eutanasia, rendono difficile al Papa un avvicinamento al nazionalsocialismo». Crimini, nel rapporto di Kaltenbrunner, è scritto tra virgolette e tutto il ragionamento è messo in bocca a un informatore non nominato, che riferisce un discorso dell´arcivescovo di Friburgo Groeber. Ma la sostanza è chiara.
Come spiegare allora il divampare delle polemiche nel dopoguerra sul "silenzio" di Pio XII? È un altro aspetto della sua personalità. Sicuramente Pacelli dopo la sua elezione lascia cadere vari progetti messi allo studio durante il pontificato di Pio XI come una condanna globale di razzismo e totalitarismo, elaborata dal Sant´Uffizio, o l´idea di un´enciclica contro l´antisemitismo, commissionata poco prima di morire al gesuita americano John La Farge. Pur nelle sue oscillazioni Pio XI ha capito che lo scontro con il nazismo non è un normale conflitto tra Chiesa e Stato, ma investe in una dimensione fuori dall´ordinario visioni del mondo e dell´uomo inconciliabili e quindi richiede un atteggiamento profetico. Papa Pacelli si ritrae dinanzi a questa prospettiva. Resta aggrappato al duello diplomatico, non capendo o non volendo capire che non basta. Teme soprattutto per la sopravvivenza del concordato in Germania, teme che dopo una denuncia frontale del nazismo possa capitare il «peggio», non vuole far prendere alla Santa Sede posizione per una delle parti in guerra. Così fino alla fine, pur angosciato per la persecuzione antiebraica, non nominerà mai esplicitamente né la vittima, gli ebrei, né il carnefice nazista. Il «silenzio» sta qui. Lui stesso ne è consapevole. In piena guerra chiede al nunzio Roncalli (futuro papa Giovanni XXIII) se «il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male».
Gli uomini di Hitler registrano accuratamente le differenze fra Pio XI e papa Pacelli. Il promemoria del 3 marzo 1939 precisa che «non si attribuisce a Pacelli un coinvolgimento nella politica di violenza di Pio XI, specialmente nei discorsi particolarmente ostili di questo papa. Al contrario si è sforzato più volte di cercare compromessi e ha espresso alla nostra ambasciata il desiderio di rapporti amichevoli». Politica di violenza nella terminologia nazista sono gli attacchi di Pio XI al regime hitleriano.
Ancora nel 1940 un memorandum (a firma Woermann) preparato per il ministro degli Esteri Ribbentropp sottolinea che il Vaticano sotto Pio XI ha «agito molto per impedire la comprensione dei cattolici tedeschi, specie del clero, nei confronti delle esigenze del nazionalsocialismo». Il 9 gennaio dello stesso anno l´ambasciatore tedesco presso la Santa Sede Bergen scrive a Berlino che «se vivesse ancora il Papa precedente, si sarebbe manifestata nelle condizioni attuali una posizione papale ben diversa: per noi sfavorevole e scomoda. Pio XI senza dubbio avrebbe ceduto agli influssi delle potenze nemiche (gli Alleati, ndr) e specialmente dei polacchi».
Il concordato, prima la sua firma con il Reich, poi la sua difesa come base giuridica per l´attività della Chiesa cattolica tedesca è una delle ossessioni di Pio XII, preoccupatissimo all´idea di «rompere» per primo con Hitler. Il Papa anela alla «pace tra Chiesa e Stato» nella Germania nazista (telegramma a Berlino dell´ambasciatore Bergen del 4 marzo 1939) e «ringrazia sentitamente e profondamente il Führer e Cancelliere del Reich» per i suoi auguri dopo l´elezione papale, esprimendo «i suoi auguri più sinceri per il benessere del popolo tedesco». Anzi all´ambasciatore Bergen Pio XII fa sapere che il Führer è stato il primo capo di Stato a cui ha comunicato la sua elezione (telegramma di Bergen del 18 marzo successivo). Eppure proprio il memorandum Woermann (ad uso interno) rivela senza ombra di dubbio la posizione delle autorità naziste: «Noi consideriamo interiormente superati il concordato con il Vaticano del 1933 e i concordati firmati dal Vaticano con la Baviera (1924), la Prussia (1929) e Baden (1932)».
L´intenzione di mantenersi al di sopra delle parti nel conflitto mondiale tra nazismo e Alleati finirà per diventare l´handicap maggiore di Pio XII. Già la relazione dell´ambasciatore Bergen del 9 gennaio 1940 sottolinea che «come da noi riferito ripetutamente (il Papa), nonostante le esistenti tensioni tedesco-vaticane, è puntigliosamente attento a non prendere in qualche modo posizione contro la Germania. Per lui è importante rimanere al di sopra delle parti». Nel rapporto Il Vaticano nella guerra (1942), che a Berlino giudicano «eccellente», si legge precisamente: «Il motto di Pio XII "Non prendiamo posizione" vale oggi più che mai. Il Papa e la Curia sono consapevoli che attualmente il Vaticano, stante la sua reciproca dipendenza da entrambi i gruppi in guerra, non può prendere nessuna decisione definitiva, se non a prezzo di provocare gravi crisi interne alla Chiesa. Perciò le encicliche e le altre dichiarazioni pubbliche di Pio XII sono di una quasi inarrivabile vaghezza. In realtà il Papa attuale è praticamente predestinato a una prudente politica di equilibrio, dettatagli dalle circostanze». Sul piano personale si attribuisce, peraltro, a Pacelli un «amore-odio» verso la Germania.
A partire dal 1942 cresce in Pio XII la preoccupazione e l´angoscia per il ruolo dell´Urss e l´espansione del «bolscevismo». Fra i documenti riportati da Mario Josè Cereghino è di estremo interesse la comunicazione segreta del capo dei servizi di sicurezza hitleriani Kaltenbrunner al ministro degli Esteri Ribbentropp. Basato sul resoconto di un informatore nazista, che conosce il Papa dagli anni Trenta quando Pacelli era nunzio a Monaco di Baviera e Berlino e che si è fermato con lui a colloquio per un´ora nel novembre del 1943, il documento evoca la paura del pontefice nei confronti del «pericolo mondiale del bolscevismo». Pio XII - afferma l´informatore - «ha lasciato trasparire che attualmente soltanto il nazionalsocialismo rappresenta un baluardo contro il bolscevismo». E tuttavia anche in questa occasione il Papa manifesta diffidenza nei confronti del regime. Quanto all´Urss Pio XII considera «l´insediamento del patriarca (ortodosso) Sergio semplicemente una mossa abile di Stalin». Il Papa, prosegue il documento, «nutre una diffidenza straordinariamente profonda nei confronti della sincerità di Stalin, di cui non crede a nessuna parola».
L´informativa contiene riferimenti importanti alla situazione italiana. «Il Papa respinge decisamente (l´opinione) che lui stesso o la Santa Sede abbiano contribuito attivamente o passivamente alla caduta di Mussolini». Al contrario gli eventi (del 25 luglio) lo hanno «sorpreso». Tuttavia già da tempo aveva l´impressione che «le cose non potessero andare avanti così». Il rifiuto di Vittorio Emanuele III di abdicare gli procura «grandi preoccupazioni per il futuro della dinastia (Savoia)». E in generale - così il Papa - «vediamo con grande preoccupazione che (con l´avvento di Badoglio, ndr) si sta espandendo l´influsso massone nell´Italia meridionale, mentre il comunismo cresce in maniera allarmante in tutta Italia e purtroppo anche a Roma».

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