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La Repubblica Rassegna Stampa
13.03.2008 Israele al Salone del Libro di Parigi
l'ambiguità di Bernardo Valli e le chiare parole di Eli Barnavi

Testata: La Repubblica
Data: 13 marzo 2008
Pagina: 1
Autore: Bernardo Valli - Anais Ginori
Titolo: «Parigi, via al salone del libro tra boicottaggio arabo e polemiche - "Una grande occasione letteraria strumentalizzata a scopi politici"»
Ambiguo articolo di Bernardo Valli sul Salone del Libro di Parigi. E' contrario al boicottaggio, ma rilancia le critiche dell'estrema sinistra israeliana.
Su una di queste, quella relativa al fatto che sono stati invitati solo scrittori che adoperano l'ebraico, riportiamo un passo di Stefania Podda, da LIBERAZIONE del 12 marzo 2008:
Una notazione che lo scrittore Yoshua Kenaz ha liquidato
come fuorviante e strumentale: «Tra chi contesta questa scelta - ha
spiegato - c'è spesso un retropensiero. Non vogliono riconoscere che
c'è una nazione israeliana che ha l'ebraico come propria lingua.
Vorrebbero un mosaico di lingue, di comunità, ma il comunitarismo - e
voi in Francia dovreste saperlo - è il contrario della Repubblica».
Ancora una volta, in questione sembra essere la "difficoltà" di accettare Israele come Stato nazionale degli ebrei:

Boicottare un appuntamento culturale quale è un Salone del Libro è una sciocchezza. Peggio ancora, un´azione stolta. Equivale a un tentativo di censura. Più grave quando il boicottaggio rischia di approfondire le angosciose, sanguinose divisioni provocate dal conflitto israelo-palestinese, nel quale le attività culturali dovrebbero svolgere un ruolo distensivo, tentando di condurre alla ragione, al dialogo, le parti a confronto in preda all´odio. Questo indispensabile preambolo ci induce a sperare che il Salone del Libro, con Israele al posto d´onore riservato ogni anno a un paese diverso, si apra stasera a Parigi senza provocazioni. Questo servirà da esempio al Salone di Torino, che ha suscitato altrettante polemiche e che sarà inaugurato in maggio.
Condannare il boicottaggio non significa rinunciare alle critiche sul modo in cui l´appuntamento è stato preparato e realizzato. I diplomatici che se ne sono occupati non hanno dimostrato una grande sensibilità. Anzitutto va accantonata la facile idea di una netta contrapposizione tra pro e anti israeliani, o pro e anti palestinesi. Chi segue il conflitto mediorientale vede spesso, sbrigativamente, due blocchi compatti a confronto. Non è così. Il primo a condannare il Salone del Libro, in cui Israele ha nell´edizione 2008 il posto d´onore, è stato uno tra i più noti intellettuali israeliani. Mi riferisco a Benny Ziffer, autore di romanzi, critico letterario, animatore di un blog tra i più seguiti, e redattore capo del più autorevole supplemento letterario, quello del quotidiano Haaretz.
Ziffer ha sollevato dibattiti e polemiche accusando il governo israeliano, e in particolare l´ambasciata di Parigi, di avere scelto soltanto scrittori di espressione ebraica, escludendo di fatto due terzi della scena letteraria israeliana, composta da autori di lingua russa e araba (oltre che yiddish, francese e inglese).
I burocrati avrebbero inoltre escluso grandi figure come il poeta nazionale Nathan Zac. Benché egli scriva in ebraico.
Sempre secondo il redattore capo del supplemento letterario di Haaretz, lo Stato di Israele avrebbe considerato in questa occasione gli scrittori semplici portavoce della propaganda ufficiale. Infatti non si sarebbe limitato a finanziare il loro viaggio, ma li avrebbe impegnati a sottoscrivere una dichiarazione in cui si esclude la possibilità di criticare la politica israeliana durate la trasferta parigina. Il noto scrittore Yehoshua Kenaz, i cui libri sono tradotti in francese, ha rifiutato di sottoscrivere quella dichiarazione e quindi non è stato invitato. Ziffer è severo nella denuncia (diffusa dal sito Nonfiction.fr).
Il boicottaggio auspicato dal critico letterario israeliano non ha funzionato perché pochi sono stati gli scrittori che hanno rifiutato l´invito. Tra questi Aaron Shabtai e Sami Michael. Benny Ziffer non si pente della sua condanna anche se sembra allineata su quella dei paesi arabi. Quest´ultimi, pensa, avrebbero in tutti i modi boicottato il Salone di Parigi. Ed era importante, a suo parere, che essi non fossero i soli a muovere critiche alla situazione mediorientale.
Gli scrittori, dice, non devono lasciare quel ruolo ai nemici di Israele. Ziffer si sente comunque solidale con gli editori e gli scrittori arabi che per rispettare il boicottaggio hanno rinunciato a presentare le loro opere a quella che lui considera una «mascherata».
Benny Ziffer rivendica la libertà degli intellettuali israeliani, che ebbe la sua più importante manifestazione nell´opera dei «nuovi storici» (che come Benny Morris, Zeev Sternhell, Tom Segev, Ilan Pappe ed altri, sia pure partendo da diverse posizioni politiche) hanno riconsiderato la storia d´Israele scostandosi dalla lettura apologetica ufficiale. I «nuovi storici» sono stati sospettati o accusati di anti-sionismo o di scarso patriottismo, ma hanno provato quanto sia autentica la libertà di espressione (e di ricerca) nella democrazia israeliana.
E´ da tempo che nel mondo arabo si moltiplicano gli inviti a boicottare i Saloni del Libro di Parigi e di Torino, dei quali lo Stato di Israele, che compie sessant´anni, è l´invitato d´onore. Gli appelli al boicottaggio più insistenti sono arrivati dall´Egitto, dall´Algeria, dal Marocco, dal Libano, e si sono estesi all´Europa con gli interventi di Tariq Ramadan. Il quale ha in verità esortato i partecipanti arabi al salone di Parigi a celebrare, in contrapposizione alla nascita di Israele nel 1948, la simultanea «catastrofe» (nakba) dei palestinesi. E ha invitato a un dibattito aperto tra intellettuali arabi e israeliani. Dibattito che si rivelerà difficile, perché alcuni paesi (Libano, Tunisia, Marocco, Algeria) diserteranno i loro stand. Saranno tuttavia presenti piccoli editori e autori arabi invitati ad personam dai loro editori francesi.
A nessuno, proprio a nessuno, è venuta l´idea di affiancare, alla cerimonia di stasera, Shimon Peres, presidente di Israele e personaggio moderato, e Abu Mazen, l´altrettanto moderato presidente dell´Olp? E perché non riunire scrittori israeliani, indipendenti, liberi rispetto al loro governo, e scrittori palestinesi altrettanto autonomi rispetto alle loro autorità? Nessuno ha tratto ispirazione da Daniel Barenboim e dalla sua orchestra israelo-palestinese. Bisognerà accontentarsi di molto meno. Senza boicottaggio, ma con le indispensabili critiche.

Di seguito, un'intervista allo storico israeliano Eli Barnavi, presentata con un titolo fuorviante :  "Una grande occasione letteraria strumentalizzata a scopi politici" Strumnetalizzat da chi ? Barnavi attacca il boicottaggio, ma potrebbe sembrare che la "strumentalizzazione" secondo lui sia operata da Israele:

 PARIGI - «Chi protesta, contesta in verità il diritto di Israele a festeggiare l´anniversario della sua nascita, e quindi la sua stessa esistenza». Usa parole molto dure Eli Barnavi, tra i massimi storici israeliani, docente a Tel Aviv ed ex ambasciatore di Israele a Parigi. Quest´uomo di solito moderato, tra i promotori di «Peace Now», non accetta la polemica intorno all´invito degli scrittori israeliani. «Il boicottaggio è un atto moralmente assurdo e politicamente inetto», taglia corto.
Signor Barnavi, come si è arrivati a questa situazione?
«Il Salone del libro di Parigi ha deciso di mettere in primo piano la letteratura israeliana che, vorrei sottolinearlo ancora una volta, è la più ricca e libera di tutto il Medio Oriente. L´occasione purtroppo è stata strumentalizzata a scopi politici».
Non crede che ci siano stati errori da parte dell´organizzazione francese? Per esempio non invitare scrittori israeliani che scrivono in arabo?
«E allora perché non in yiddish? No, non ci sto a queste schermaglie. La lingua ebraica è rinata con la creazione dello Stato israeliano, sessant´anni fa. Un criterio di selezione degli autori bisognava pur trovarlo, è questo mi è sembrato il più logico».
L´inaugurazione con il presidente Shimon Peres conferisce all´evento culturale anche una connotazione politica, non le pare?
«Stiamo festeggiando la nascita dello stato ebraico, chi dovrebbe inaugurare la rassegna? Ripeto: sono critiche pretestuose, che nascondono un´altra verità».
Ovvero?
«È l´ennesimo attacco all´esistenza di Israele. Accetto sempre il confronto politico anche duro, ma per me questo boicottaggio è un atteggiamento ripugnante».
Non può essere considerata come una forma estrema di dissenso, in un momento in cui la guerra è così drammatica?
«Sappiamo che alcuni degli scrittori invitati, come David Grossman o Abraham Yehoshua, sono pacifisti e tra i più fervidi oppositori del governo israeliano. Ma neanche questo evidentemente va bene. Sono nel mirino per il solo fatto di essere israeliani: vengono attaccati non per quel che fanno ma per quel che sono. Se tutti gli scrittori dovessero pagare le colpe dei loro governi la cultura scomparirebbe».
Che ruolo ha avuto la letteratura nella creazione di Israele?
«Fondamentale, i libri hanno un´importanza capitale nella nostra cultura. E dal 1948 in poi la letteratura ha modellato l´essere israeliano, esprimendo e indagando l´anima più profonda del nostro Paese, che è multiforme, piena di contraddizioni e voci. Negli anni, gli scrittori hanno avuto anche un ruolo indispensabile nel progresso politico della società, più degli storici».
Si potevano coinvolgere nei dibattiti alcune personalità palestinesi?
«Per dire cosa? Che lo stato di Israele non deve esistere? Senta, io non sono un fondamentalista. Ho sempre dimostrato moderazione, apertura, e la mia storia, anche come diplomatico, lo testimonia. Ma in quest´occasione - stiamo parlando dei festeggiamenti della nascita di Israele - sarebbe stato paradossale invitare i palestinesi. C´è un limite al masochismo».
Si tratta di ricordare la tragedia di questo popolo e di cercare, almeno sul piano delle parole, un discorso comune.
«In questo tipo di situazione, qualsiasi cosa avessimo fatto sarebbe stata criticata. Ogni nostra mossa sarebbe stata letta come sopraffazione, abuso, ignoranza. L´alternativa per noi era tacere, nascondere questo anniversario».
Gli stand vuoti, la defezione di molti Paesi ed editori: sarà una festa amara.
«Noi per fortuna siamo una società aperta. Traduciamo sistematicamente la letteratura araba, quasi tutti i libri pubblicati in Egitto sono disponibili anche in ebraico. Salvo rare eccezioni, il contrario non avviene quasi mai».

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