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La Repubblica Rassegna Stampa
25.11.2007 Sandro Viola sputa veleno su Theodor Herzl
che pena.

Testata: La Repubblica
Data: 25 novembre 2007
Pagina: 34
Autore: Sandro Viola
Titolo: «Herzl, un messia dalla vita tragica»

Delle due pagine dedicate da REPUBBLICA oggi, 25/11/2007, a Theodor Herzl si salva solamente l'impaginazione, come sempre molto elegante nel supplemento culturale. Ma niente di più. Herzl viene descritto da Sandro Viola come un bellimbusto, un vanaglorioso, un vanitoso, un fragile psichicamente, insomma una specie di megalomane, un folle. Sulla cui famiglia piombò un tragico destino. Povero Viola, come sempre rabbioso verso il sionismo, poteva non prendersela con il suo fondatore ?  Herzl, con le sue idee e la sua tenacia, ha fondato uno Stato, lui Viola è stato e rimarrà soltanto un grade esperto dei bar dei Grand Hotel in giro per il mondo, a fare, lui sì, il vanitoso impomatato. Come chissà quanti altri.

Ecco il pezzo:

Quando a Vienna Theodor Herzl entrava in un teatro, lungo le file della platea si sentiva mormorare: «È arrivata sua maestà». La frase era in parte sarcastica. Essa alludeva infatti alle accoglienze trionfali che le comunità ebraiche in Europa centrorientale, ma anche a Londra o a Istanbul, tributavano ad Herzl ogni volta che egli andava ad esporre il progetto d´uno Judenstaat, il nuovo Israele dove ricondurre gli ebrei della diaspora. Ma in parte la frase rifletteva anche l´impressione che proveniva dall´aspetto fisico del personaggio. In quella metà degli anni Novanta dell´Ottocento, ancora trentenne, Herzl era infatti un uomo di lineamenti perfetti, grande eleganza, l´incedere e i gesti d´un primo attore. Non solo: era benestante, sposato ad una donna molto ricca, con alle spalle un largo successo come giornalista e qualche buon esito anche come commediografo. Le donne, infatti, lo rincorrevano.
Il primo a sapere quale effetto producessero sugli astanti la sua figura e il suo carisma, era lui stesso. Quando a Sofia un migliaio d´ebrei erano andati ad accoglierlo alla stazione inneggiando a «Herzl, re d´Israele», e lo stesso era avvenuto con altre comunità della diaspora, quelle invocazioni non l´avevano lasciato indifferente. Si tende a dimenticarlo, ma le prime idee di Herzl sullo Stato ebraico non prevedevano né una vera forma repubblicana né un ordinamento democratico, e neppure una benché minima interferenza della religione nella vita sociale.
Fervidi ammiratori dell´aristocrazia asburgica, sua madre e lui covavano una vera e propria smania di nobiltà. La madre Jeannette pretendeva di discendere dai re di Giudea, lui avrebbe voluto essere prima d´ogni altra cosa un aristocratico. Sognava d´essere un conte ricevuto all´Hofburg da Francesco Giuseppe, si paragonava nei suoi diari a Bismarck e a Napoleone, e più tardi aveva immaginato che nello Judenstaat il potere sarebbe stato tenuto da una specie di Doge, e trasmesso per via ereditaria.
D´altronde, non fosse stato un sognatore, Herzl non sarebbe forse riuscito nella sua impresa di raccogliere attorno al progetto sionista gli ebrei di Serbia, Bulgaria, Romania, Polonia, Russia, stabilendo così le premesse della rinascita d´Israele. È vero infatti che l´idea e le speranze d´un ritorno a Sion circolavano in Europa già da una ventina d´anni: ma fu Herzl a trasformare un movimento sin allora amorfo, senza basi dottrinarie e organizzative, in un´efficiente macchina politica e propagandistica (provvista d´una banca e d´un giornale) che impose il dibattito sul sionismo all´attenzione dei governi europei. E il tutto avvenne in appena un paio d´anni, dopo che nel 1895 era tornato a Vienna da Parigi, dov´era stato corrispondente del migliore giornale austriaco, la Neue Freie Presse. E lì aveva assistito sgomento all´ondata antisemita scatenatasi col caso Dreyfus.
Ma nonostante i primi successi nella mobilitazione sionista, il favore che incontravano i suoi articoli e gli sguardi ammirati che l´avvolgevano ad ogni comparsa in pubblico, Theodor Herzl era un uomo depresso, l´animo lacerato da un´infelice vita familiare. Il rapporto con sua moglie Julie Naschauer, figlia d´un potente finanziere ebreo, era stato tempestoso sin dal viaggio di nozze nel 1889. Già in quei primi giorni la giovane donna aveva infatti rivelato una mancanza d´equilibrio, una labilità psichica che risalivano probabilmente ad una storia d´isteria familiare. Era soggetta a continui sbalzi d´umore, a collere furibonde. Né questo era tutto, dato che anche i rapporti tra Julie e la madre di Herzl - da questi fervidamente, anzi morbosamente amata - s´erano subito inveleniti, producendo una continua e snervante turbolenza nelle giornate della famiglia.
Non è un caso che i biografi del fondatore del nuovo Israele si soffermino a lungo sullo sfondo viennese della sua vita. Primo, per la contiguità con alcuni dei personaggi di quella che chiamiamo la Grande Vienna. Da giovanissimo, quando i suoi genitori s´erano trasferiti da Budapest nella capitale austriaca, Herzl aveva infatti abitato a lungo nella Praterstrasse, non lontano dallo studio di Sigmund Freud e a due passi dalle abitazioni di Arthur Schnitzler e Gustav Mahler. E in secondo luogo, perché Herzl - l´ebreo colto, raffinato, che sogna di veder rappresentata una sua commedia al Burgtheater, ma con alle spalle un dramma familiare - sembra uscito da un romanzo degli scrittori viennesi dell´epoca, Schnitzler soprattutto, ma anche Zweig o Roth. Così come avrebbe potuto essere il padre o marito d´una paziente afflitta da crisi isteriche, e finita in cura da un medico di cui in quegli anni stava crescendo la fama: il Dottor Freud.
Il dramma familiare di Herzl non restò circoscritto ai dissapori con la moglie, e col tempo si sarebbe trasformato in una tragedia. Tragedia cui egli non assistette, perché morì nel 1904: dopo i primi due congressi sionisti, quando ancora pensava d´accettare la proposta inglese d´uno Stato degli ebrei in Uganda. Il precipizio s´aprì infatti molto più tardi, e riguardò i suoi tre figli, Pauline, Hans e Trude. Rimasti orfani (la madre era morta tre anni dopo Herzl) e affidati ai parenti Naschauer, Pauline, Hans e Trude vissero infatti vite sciagurate, prendendo anche loro i tratti di certi cupi personaggi della narrativa finis Austriae. Come la madre anche lei psichicamente fragile, tossicomane e in un continuo va e vieni dalle case di cura, Pauline morì a Bordeaux nel 1930 per una overdose di morfina. Hans, che a vent´anni s´era convertito al cattolicesimo e per un certo periodo era stato paziente di Freud, andò al funerale della sorella e due giorni dopo si suicidò con un colpo di pistola. Né andò meglio a Trude. Sposata Neumann, per anni ricoverata in cliniche per malattie mentali e poi in un ospedale psichiatrico, nel 1942 Trude venne portata via dai nazisti con tutti gli altri pazienti ebrei dell´ospedale e internata nel campo di concentramento di Theresienstadt. Alcuni mesi dopo morì, e il suo cadavere scomparve, forse cremato o forse in una fossa comune.
Ma Trude aveva avuto un figlio, Stephan Neumann, nato nel 1918, l´unico nipote di Theodor Herzl. Ed è di costui che s´è molto parlato in queste settimane sulla stampa israeliana: i suoi resti stanno infatti per essere traslati a Gerusalemme, sul monte Herzl, dove sono sepolti il leader sionista, i suoi genitori, sua sorella e i figli Pauline e Hans. I giornali parlano dell´evento perché in Israele non c´è un pieno consenso, anzi c´è stato un dibattito con toni a volte aspri, sull´arrivo dei resti di Stephan Neumann. E il motivo della discussione è presto detto. Anche il figlio di Trude Herzl-Neumann ebbe un destino fosco, e alla fine tragico, come quello di sua madre e dei suoi zii. Una vita totalmente «contraria», come hanno sostenuto due o tre rabbini, «ai valori dell´ebraismo».
Quando i nazisti si preparavano all´Anschluss, poche settimane prima dell´invasione, Stephan venne infatti inviato in Inghilterra da un vecchio amico di Herzl, David Wolfshon. Lì, più o meno come il protagonista d´un grande romanzo dell´ultimo quindicennio, Austerlitz di George Sebald, il diciottenne Neumann frequentò una public school e poi l´università. Quindi cambiò il nome divenendo Stephen Norman, si convertì al cristianesimo e infine partecipò all´ultimo scorcio della guerra come ufficiale nell´esercito britannico. Fu davvero anche lui, a Londra, un paziente di Freud? Alcuni biografi di Herzl ne sono certi, altri no. In ogni caso Norman morì suicida nel ‘46. Stava a Washington con un modesto incarico all´ambasciata inglese, e una mattina si gettò dal Massachussets Avenue Bridge.
Sono stati necessari perciò molti sforzi da parte d´un paio d´organizzazioni sioniste americane, per far accettare in Israele (ai sionisti religiosi, agli ultra-ortodossi) la sepoltura di Stephen Norman, convertito e suicida, vicino ai suoi parenti sul monte Herzl. La legge rabbinica proibisce infatti di seppellire i suicidi in un cimitero ebraico, e questo sembrava aver bloccato il progetto della Jewish American Society for Historic Preservation, che per prima aveva pensato alla traslazione.
Del resto, già l´anno scorso era stato anche lungo e difficile convincere i rabbini ad autorizzare la sepoltura a Gerusalemme dei due figli di Herzl, Pauline e Hans, in due tombe vicine a quella del padre. La tossicomania di Pauline, la conversione e il suicidio di Hans davano una solida base alle obiezioni degli ortodossi. Nel caso dei due figli c´erano però le volontà testamentarie del padre, che aveva scritto di voler essere seppellito nello Stato degli ebrei (il giorno che ce ne fosse stato uno) accanto ai genitori, alla sorella e ai figli. Volontà che alla fine hanno avuto la meglio sulle proteste degli oppositori.
Resta che il leader del sionismo, assolutamente laico, non aveva fatto i conti con la pedanteria e i cavilli dei rabbini. La traslazione dei suoi genitori e della sorella sul monte Herzl avvenne infatti all´inizio dei Cinquanta: ma per i figli s´è dovuto aspettare il 2006, un altro mezzo secolo. Nessuna meraviglia quindi che anche l´opposizione alla sepoltura del nipote sia stata nei mesi scorsi molto dura, animosa. Del nipote di Herzl, gli ultraortodossi - che del resto non hanno mai accettato il sionismo - non volevano neppure sentir parlare. Sinché uno degli esponenti della Jewish American Society, Jerry Klinger, non ha pensato di produrre uno strano documento. Un referto clinico sostenuto da chi sa quali dati, secondo cui la famiglia di Theodor Herzl (lui stesso, i genitori e la moglie) era affetta da turbe psichiche ereditarie: le turbe all´origine del suicidio di Stephen Norman. E così, con l´attestazione d´una patologia mentale del grande ispiratore del nuovo Israele, la diatriba s´è finalmente conclusa.
Tra pochi giorni il figlio di Trude Herzl-Neumann avrà infatti una tomba vicina a quelle in marmo chiaro con intorno arbusti d´alloro in cui riposano i bisnonni e gli zii, non lontano da quella del famoso nonno. Del quale - perché fosse possibile traslare a Gerusalemme i resti dello sventurato nipote -, s´è dovuto insinuare che non fosse proprio a posto con la testa.

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