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La Repubblica Rassegna Stampa
23.07.2006 Gli arabi israeliani e l'aggressione di Hezbollah
la testimonianza di Edna Calò Livne

Testata: La Repubblica
Data: 23 luglio 2006
Pagina: 2
Autore: Edna Calò Livne
Titolo: «TIMORI E SPERANZE DEI MIEI VICINI ARABI»
Da La REPUBBLICA del 23 luglio 2006, una testiomonianza di Edna Calò Livne sulla

Ferere è il sorvegliante del villaggio turistico che, lontano dai Katyusha, ci accoglie per questo Shabbat. A dispetto del leggero accento arabo, parla un ebraico forbito e si esprime con una chiarezza fuori del normale. Quando gli chiedo l´origine di tutta la sua sapienza mi dice che ha studiato all´Università di Haifa. «È una situazione difficile per tutti noi», esordisco. Mi guarda con rassegnazione e inizia un lungo monologo: «Tu sicuramente non sai il motivo di tutta questa guerra, molti non lo sanno. Nel mondo islamico ci sono 73 diverse fazioni. Sono diverse l´una dall´altra, ma gli Sciiti sono i più estremisti di tutti. Il loro scopo è di sottomettere tutto il bacino mediterraneo, compresa Israele. E l´Iran diventerebbe il capo di questo impero». Lo guardo incuriosita mentre continua ad analizzare la situazione, e ammetto che di certe cose non mai capito nulla. «Male!», mi dice: «Mi hai detto che sei un´educatrice e lavori con ragazzi ebrei e arabi. Dovresti andartele a studiare queste cose. È importante sapere cosa succede nel mondo arabo che vi circonda. Ci sono molte ingiustizie. Hariri ad esempio... lo hai sentito nominare? Lui è stato assassinato. Era una grande persona, aveva investito molto del suo denaro per incoraggiare studenti, per costruire ospedali, scuole. Ora sarà difficile per il Libano risollevarsi. Ma questo è quel che vuole Ahmadinejad, indebolirlo per poterlo dominare; e lo fa attraverso gli Hezbollah, che impediscono di essere chi si vuole essere, di credere in chi ci si sente di credere... ».
Mentre mi allontano dal cancello ripensando a questo incontro inaspettato mi telefona Ruina: «Ti chiamo da Jish. So che hai un teatro di ragazzi ebrei e arabi, vorrei iscrivere mio figlio Muhammed». Sono interdetta, chiedo notizie del suo villaggio perché so che è stato colpito dai Katyusha. «Certo che ci sono i Katyusha. Muhammed stava giocando a pallone quando uno è caduto a pochi metri da lui. Ma la vita continua...». «Che il Signore ti benedica», le dico. «Che il Signore benedica tutti noi - mi risponde con un tremolio nella voce -. Abbiamo tutti bisogno di una grande benedizione!»

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