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La Repubblica Rassegna Stampa
12.07.2006 Spetta ad Hamas la scelta tra la pace e la guerra
intervista a Shimon Peres

Testata: La Repubblica
Data: 12 luglio 2006
Pagina: 15
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «"Pace o guerra, a voi la scelta" l´ultima sfida di Peres a Hamas»
Su La REPUBBLICA del 12 luglio 2006 intervista di Alberto Stabile a Shimon Peres, che risponde con precisione e efficacia alle critiche mosse a Israele per la risposta all'aggressione di Hamas.
Ecco il testo.  

TEL AVIV - Shimon Peres, ha letto le dichiarazioni di Khaled Meshaal, che propone uno scambio di prigionieri? In passato il governo d´Israele ha spesso trattato per la liberazione di ostaggi. Perché questa volta non volete trattare?
«Perché stavolta è diverso. Prima di tutto noi abbiamo lasciato completamente Gaza e si suppone che l´Autorità Palestinese dovrebbe governare Gaza. Non hanno tentato di rapire un soldato israeliano a Gaza, perché lì non ce ne sono più. Sono penetrati nel territorio sovrano di Israele ed hanno preso un soldato israeliano. Perché dovremmo fare uno scambio? Perchè dovremmo pagare un prezzo?»
Per salvargli la vita.
«Per noi, la vita dei soldati è importantissima. Sono i palestinesi che non danno molta scelta. Supponiamo, Dio non voglia, che lo uccidano: che cosa succederebbe allora? Non fanno nessun favore (a tenerlo in vita). Se offrissimo un premio per lui, sarebbe una forma d´incoraggiamento a prendere altri ostaggi e ricevere ogni volta in cambio mille prigionieri. Così s´incoraggia il terrorismo, senza alcuna ragione».
Se liberassero il caporale Shalit, Israele in cambio potrebbe fare un gesto di buona volontà?
«Abbiamo già fatto un gesto di buona volontà, ce ne siamo andati da Gaza. Poi il Primo ministro, Olmert, annunciò che aveva intenzione di incontrare Abu Mazen e che pensava di liberare molti prigionieri, più di quanto pensasse la gente. Non era necessario alcun intervento. Avrebbero potuto ottenere dei prigionieri senza alcuno scambio, ma lo scambio significa la legalizzazione del rapimento. Gli uomini di Hamas hanno preso il potere e devono decidersi: o sono un governo serio o sono un governo terrorista. Dove ha sentito dire che un governo prende ostaggi da un altro governo e chiede un prezzo?»
Ma loro dicono di non avere niente a che fare con i rapitori.
«Chi lo ha detto?»
Il governo di Ismail Haniyeh.
«Ovviamente, Shalit è sotto il controllo di Khaled Meshaal. Lo hanno detto e non lo negano. Quindi se il governo è sotto Meshaal...»
Perché non avete accettato la proposta di tregua offerta da Hamas, anche prima del rapimento del caporale Shalit?
«L´abbiamo accettata, ma loro l´hanno violata. Prima di tutto bisogna fermare la violazioni. Perché hanno lanciato razzi sui cittadini israeliani? Mi dia un solo motivo: noi non siamo più a Gaza e loro prendono di mira i civili, bambini, donne. Che cosa si vuole da noi? Non possiamo avere un governo di terroristi al posto di un governo di legge ed ordine. Hanno dichiarato una guerra. Per quale ragione hanno attaccato un carro armato? Il carro armato si trovava in territorio israeliano e loro ne hanno tirato fuori un soldato israeliano. Perché lo hanno fatto? Perché attaccarlo?»
Perché è in corso un conflitto.
«Se quello è governo di guerra, che sia guerra! Lei non può mettere insieme il mondo selvaggio e quello civilizzato. O le relazioni sono civili o sono belligeranti e violente. Non si possono mischiare le due cose».
Ma anche lo stato d´Israele sta conducendo una guerra contro...
«In che modo? Abbiamo lasciato Gaza volontariamente, ad un alto prezzo in termini umani, finanziari e di salute mentale. Abbiamo speso due miliardi di dollari per smantellare i nostri insediamenti. Abbiamo detto di essere disposti ad accettare la Road Map, di essere pronti a sedere al tavolo negoziale in futuro».
Ma il bombardamento di ponti e di scuole, lo strangolamento economico di Gaza...
«Questo è il risultato delle loro azioni, del continuo lancio di razzi Kassam, giorno e notte, su obiettivi civili, città e quartieri. Se smettessero i lanci, non ci sarebbero problemi. Si stanno punendo da soli. Potrebbero smettere in cinque minuti, ma non lo fanno. Vogliono continuare a lanciare razzi e a tenere prigioniero il soldato. Non ha senso».
Non ci sono negoziati, non c´è possibilità di scambiare prigionieri: secondo lei, come andrà a finire?
«Guardi, noi abbiamo bisogno di un partner non solo per fermare i razzi Kassam o liberare il soldato, ma anche per porre fine alla guerra, perché, in fin dei conti, non si può fermare tutto ciò senza finire la guerra, che sia o meno dichiarata. Noi abbiamo suggerito ad Abu Mazen, che è il loro presidente ed è disposto a negoziare, di proseguire a negoziare. Sono loro che devono decidere, perché Hamas è stato eletto soprattutto a causa del fallimento di Al Fatah, della corruzione, dell´incapacità di dare una risposta alle necessità del popolo palestinese. Hamas deve dare delle risposte. Devono decidere se vogliono guerra o pace, e se vogliono la pace devono riconoscere Israele, perché la pace la devono fare con Israele».
Abu Mazen è ancora un partner per Israele?
«La lotta interna fra i palestinesi non si è ancora conclusa. Noi abbiamo dato un chiaro appoggio alla politica di Abu Mazen, pensiamo che abbia mostrato coraggio. Se sarà lui il leader, penso che abbiamo una buona probabilità di negoziare. Ma se il leader sarà Mashal, che si nasconde in Siria, non ci sono probabilità».
Lo scorso anno, più o meno in questo periodo, in un´intervista a Repubblica, lei disse che il ritiro da Gaza non si sarebbe esaurito in una sola mossa, ma ci sarebbe stato un rilancio del processo di pace. Un anno dopo, siete tornati a Gaza e siete in guerra coi palestinesi. Quali sono le ragioni di questo deterioramento?
«La vittoria elettorale del Hamas. Se avesse vinto Abu Mazen avremmo continuato sulla stessa strada. Il vero cambiamento è che un gruppo che non vuole la pace ha preso il posto di un gruppo che era disposto a negoziare, mentre la politica di Israele è rimasta invariata. Persino Sharon, che non pensava ad un altro ritiro (dalla West Bank), era disposto a provare prima di tutto di raggiungere un accordo bilaterale e questo significa negoziare seriamente con Abu Mazen. In politica, forza e debolezza sono delle percezioni. Non esiste uno strumento per misurarle».
Il piano di ritiro dalla Cisgiordania di Olmert è ancora vivo, nonostante quello che sta succedendo?
«Il piano di ritiro dalla Cisgiordania deve svolgersi in due momenti. Il primo è bilaterale, cioè un tentativo di negoziare con Abu Mazen. Se ciò fallisse, allora sarà fatto unilateralmente. Non abbiamo intenzione di rimanere né a Gaza, né in tutta la Cisgiordania».
Si potrebbe obiettare che avete avuto l´opportunità di trattare con Abu Mazen per Gaza e non l´avete fatto.
«Che cosa c´entra Gaza adesso? Ce ne siamo andati... ».
Intendevo lo scorso anno, prima del ritiro.
«Sì, secondo me si doveva fare e in pratica lo abbiamo fatto. Ma, per concludere con una nota diversa lasci che mi congratuli con lei per la vittoria dell´Italia ai Mondiali di calcio. Ho anche scritto un messaggio in questo senso al mio amico Romano Prodi. Ma in effetti, non c´è da meravigliarsene. Se guarda la carta geografica, l´Italia sembra una gamba infilata in uno stivale ed è evidente che tutta la gamba ha partecipato alla partita»

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