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La Repubblica Rassegna Stampa
22.08.2005 Ma il terrorismo non è diventato "responsabile"
i suoi obiettivi e i suoi mezzi non cambiano

Testata: La Repubblica
Data: 22 agosto 2005
Pagina: 1
Autore: Sandro Viola
Titolo: «Lo strappo di Gaza e le ragioni di Sharon»
LA REPUBBLICA di lunedì 22 agosto 2005 pubblica in prima pagina un editoriale di Sandro Viola, "Lo strappo di Gaza e le ragioni di Sharon".
Viola esprime apprezzamento per le coraggiose scelte politiche del premier israeliano Sharon, e anche per "il senso di responsabilità" dei palestinesi, inclusa Hamas, che si sono astenuti da atti terroristici, nonostante le "provocazioni" subite (cioè gli atti terroristici che hanno fatto otto morti, lanci pietre e "l´esposizione d´una testa di maiale con la scritta "Maometto" fuori d´una moschea di Jaffa").

Ci sembra che, anche volendo tacere dei missili lanciati contro gli insediamenti sgomberati, su questo punto Viola commetta un serio errore di giudizio: perché il terrorismo palestinese non risponde certo a "provocazioni" di qualsiasi genere, obbedendo piuttosto a una strategia del tutto autonoma, ispirata alla volontà di distruggere Israele e all'uso sistematico della violenza più indiscriminata.
E perché non è certo il "senso di responsabilità" verso un qualsiasi progetto di pace ad aver fermato Hamas. Piuttosto la consapevolezza che colpendo Israele in questo momento si sarebbe fermato quel disimpegno che si vuole attribuire al successo della violenza della "seconda Intifada".
Che poi la "lotta armata" debba proseguire, e quale sia il suo obiettivo ultimo, Hamas lo ha dichiarato molto chiaramente(vedi: ""Fate che Israele muoia." Firmato Hamas", Informazione Corretta 22-08-22) Si tratta solo di ascoltarla.

(critica a cura della redazione di Informazione Corretta)

A UNA settimana dall´inizio dell´uscita israeliana da Gaza, e mentre s´annunciano altre giornate convulse per lo sgombero, che comincerà domani, delle quattro colonie in Samaria, la portata politica di quel che è accaduto sinora s´è fatta più chiara. Israele s´è diviso come mai nel passato. La maggioranza favorevole al ritiro, che si può con qualche approssimazione chiamare il fronte laico, ha certamente subito i contraccolpi psicologici delle scene strazianti che passavano sui teleschermi. S´è emozionata, impietosita, alla vista delle lacrime di donne e bambini. Ma nello stesso tempo, di fronte al fanatismo, agli impulsi rivoltosi, all´irrazionalità di coloro che a Gaza si scontravano con l´esercito e la polizia, ha compreso una volta per tutte che la destra nazionale e religiosa va contrastata risolutamente, fermata, prima che riesca a cambiare la faccia e il carattere dello Stato.
La violenza del fanatismo che ha prima animato le marce contro la chiusura delle colonie di Gaza, e poi gli scontri di Neve Dekalim, Kfar Darom, Shirat Hayam, ha sorpreso gli israeliani, intellettuali compresi. Che il sionismo religioso - in declino nei primi trent´anni dell´esistenza dello Stato d´Israele - avesse trovato nelle colonie un nuovo vigore, si sapeva. Ma esso sembrava anche integrarsi sempre più alla vita dello Stato, le istituzioni, i partiti politici, la contesa elettorale. E sempre più abile, infatti, nell´ottenere per i suoi aderenti vantaggi materiali e franchigie d´ogni tipo, come la riduzione della durata del servizio militare, le scuole religiose interne all´esercito, la presenza dei propri rabbini a fianco degli alti comandi militari.
La sorpresa è venuta dall´atteggiamento di vera e propria contrapposizione che il sionismo religioso, legatosi all´estrema destra politica, ha assunto rispetto allo Stato. Decine di rabbini che incitavano i soldati a disobbedire agli ordini; decine di migliaia di persone che in nome della fede, della tradizione ebraica, d´una corretta interpretazione del giudaismo, tentavano d´entrare a Gaza per schierarsi con i coloni; alcune bandiere israeliane bruciate, e altre sostituite dalle bandiere con la corona del messia; le scritte sulle case: «Non vogliamo più essere cittadini di questo Stato». Per non parlare delle crepe apertesi tra religiosi, con da una parte i rabbini che invocavano la calma, il rispetto delle leggi, e dall´altra quelli che infiammavano i giovani del movimento dei coloni sostenendo che fosse lecito, pur di non abbandonare un solo pezzo della terra di Eretz Israel, scontrarsi con l´esercito e la polizia.
Nessuna meraviglia, quindi, che studiosi e uomini politici abbiano riavviato in questi giorni l´annoso dibattito sui rapporti tra religione e Stato in Israele, tra legge biblica e democrazia. Una discussione su come far fronte alla radicalizzazione dei settori religiosi, ormai strettamente intrecciati con la destra ultranazionalista. Una riforma del giudaismo che limiti con chiarezza il ruolo della religione nello Stato? Un´alleanza dei partiti laici capace di varare una riforma costituzionale che tagli definitivamente i nodi tra Stato e religione, assodando che lo Stato d´Israele non può essere allo stesso tempo giudaico e democratico? Il dibattito andrà avanti a lungo, e forse - com´è successo altre volte - s´esaurirà senza aver prodotto alcun risultato. Ma certo è significativo che si sia riacceso con l´affiorare dell´attuale malessere, delle nuove lacerazioni.
Difficile dire che cosa faranno adesso, dopo il ritiro da Gaza, il movimento dei coloni e le altre componenti della rivolta che avevano tentato d´indurre Sharon a fare marcia indietro. Alcuni prevedono un loro distacco sempre più netto dalla società nel suo complesso (istituzioni politiche, esercito, stile di vita, "media"), che potrebbe portare il sionismo religioso su posizioni vicine a quelle degli ultraortodossi, gli Haredim che sostengono l´impossibilità di conciliare una stretta osservanza religiosa con la vita dello Stato. Altri, e probabilmente a ragione, pensano invece che la destra nazionalreligiosa abbia ancora delle carte da giocare in politica.
Sharon non controlla più il partito Likud. Più di metà dei suoi organi dirigenti e due terzi dei suoi elettori s´opponevano allo sgombero da Gaza. E oggi hanno un leader in Benyamin Netanyahu, contrario «per ragioni di sicurezza» all´abbandono delle colonie, che ha lasciato il governo pochi giorni prima dell´inizio del ritiro. Certo, la metà del Likud e la destra ultranazionalista e religiosa potrebbero non bastare a vincere le prossime elezioni, che sono fissate per la primavera del 2006 ma forse verranno anticipate alla fine di quest´anno. L´uscita da Gaza, almeno come s´è svolta sin adesso, è infatti un successo di Sharon. La maggioranza del paese è con lui, i governi dell´Occidente lo applaudono. Le sue probabilità di rivincere le elezioni, sia che si presenti con la metà del Likud, sia che formi un nuovo partito con i centristi dello Shinui e il Labour di Peres, sembrano piuttosto solide.
Sempre che, si capisce, il resto dello sgombero da Gaza e la chiusura delle colonie in Samaria avvengano senza traumi, senza incidenti gravi che possano sfaldare la maggioranza degli israeliani che s´è andata aggregando - per la prima volta dal 1967 - attorno all´idea d´un abbandono della gran parte dei Territori occupati. E qui il discorso si sposta sul versante palestinese. Come si muoveranno i palestinesi, leadership, gruppi armati integralisti e masse, nelle prossime settimane? È ovvio: l´incursione d´una banda della Jihad, una folla che invada gli insediamenti sgombrati dai coloni ma ancora sotto presidio dell´esercito israeliano, un lancio di razzi sulle cittadine del Negev, qualsiasi evento insomma da cui possa scaturire una rottura della tregua, potrebbero rovesciare la situazione. Sharon ne uscirebbe indebolito, Netanyahu rafforzato, e aumenterebbero quindi le possibilità di vedere gli estremisti di destra al governo.
È indubbio tuttavia che i palestinesi, e persino Hamas, si stiano comportando in modo responsabile. In due settimane, essi hanno subito senza reagire gravi provocazioni: gli attentati di due terroristi ebrei con otto morti, i lanci di pietre dei coloni di Gaza sui loro villaggi, l´esposizione d´una testa di maiale con la scritta "Maometto" fuori d´una moschea di Jaffa. Le manifestazioni per celebrare lo smantellamento delle colonie si sono svolte in modo abbastanza ordinato, lo schieramento della polizia dell´Autorità palestinese è risultato meno caotico di quel che si temeva.
Beninteso siamo solo all´inizio del dopo-Gaza, e dovranno trascorrere ancora varie settimane prima che i palestinesi superino l´onere della prova, dimostrando d´essere i credibili interlocutori d´una società israeliana finalmente decisa all´abbandono dei Territori occupati. Ma se è vero che il ritiro da Gaza è stato sinora un successo di Sharon, è anche vero che la leadership palestinese, e Mahmud Abbas in particolare, vi hanno notevolmente contribuito.
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