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La Repubblica Rassegna Stampa
07.02.2005 In cauda venenum: neppure quando ammette le colpe di Arafat Viola riesce a contenere i suoi pregiudizi contro Israele
recensendo una documentata e preziosa biografia di Arafat attribuisce ai governi e al popolo israeliani colpe simmetriche a quelle del raìs

Testata: La Repubblica
Data: 07 febbraio 2005
Pagina: 29
Autore: Sandro Viola
Titolo: «Biografia del raìs penetrante e faziosa»
Sandro Viola recensisce per la rubrica letteraria di REPUBBLICA, sabato 5 febbraio 2005, una biografia di Arafat scritta da due coniugi israeliani ("Arafat l’uomo che non voleva la pace", di B.Rubin e J.Colp Rubin, Mondadori), e pur esprimendo forti riserve sull’ impostazione aprioristica di questa biografia ne ammette la correttezza e la profondità, non solo politica ma anche psicologica, delle valutazioni.

Ecco l'articolo:
La biografia, fin dal titolo, esprime una precisa opinione , e si qualifica pertanto come analisi politica e non asetticamente storiografica: ciò comporta per Viola la necessità di ammettere (lo fa visibilmente a malincuore) che Arafat ebbe realmente pesanti responsabilità nei fallimenti dei vari tentativi di dare al conflitto israelo-palestinese un assetto concordato e definitivo. Viola ammette anche la doppiezza di Arafat, che non aveva i requisiti dello statista ma solo quelli del terrorista (Viola, come qualche magistrato, definisce questa forma di violenza "resistenza contro l’ occupazione israeliana").
Ciò ammesso, tuttavia, Viola cede alla sua inveterata debolezza di anti-israeliano incallito, e conclude: "Bene. Solo che adesso i Rubin dovrebbero scrivere un altro libro. La storia di quella parte a lungo maggioritaria della società israeliana, e di tutti i suoi governi (salvo la fase degli accordi di Oslo), che volendo mantenere l’ occupazione dei Territori e un giorno annetterli, hanno ostacolato la soluzione del conflitto con una pervicacia non diversa da quella che i Rubin imputano ad Arafat".
La maggioranza degli israeliani e tutti i governi israeliani uguali ad Arafat? La maggioranza degli israeliani e tutti i suoi governi per moltissimi anni hanno ingannato il mondo affermando di volere la pace, mentre volevano solo annettere tutti i territori palestinesi? Due sono le interpretazioni possibili di una simile frase: o Viola sta disinformando consapevolmente o non conosce la storia e la cronaca del conflitto israelo-palestinese. Ma è lecito dubitare che Viola possa ignorare fatti di cui è stato per decenni testimone.
Non è il caso di ricordare a Viola ed ai nostri lettori perché e come Israele si trovò ad amministrare territori che non aveva voluti, e popolazioni ostili. Non è il caso di ricordare a Viola ed ai nostri lettori i terribili anni 70 ed 80 delle stragi di ebrei (non solo israeliani, anche europei ed anche italiani) , delle guerre che il mondo arabo avrebbe volute di sterminio, dei fallimenti di ogni tentativo di mediazione. Non è il caso di ricordare a Viola ed ai nostri lettori che il governo più a destra della storia israeliana restituì al più potente dei suoi nemici tutti i territori conquistati nel 1967, ed altrettanto avrebbe fatto con gli altri se loro lo avessero voluto.
Viola ed i nostri lettori lo sanno già, tutto questo. La differenza è che i nostri lettori se ne ricordano e non commettono grossolani errori di prospettiva, Viola invece questi fatti non li vuole ricordare.

Forse la più esauriente tra le molte biografie di Yasser Arafat, questa dei Rubin marito e moglie (ambedue con una lunga esperienza

della crisi mediorientale) si segnala soprattutto per il ritratto psicologico del leader palestinese. Il limite del libro sta nel suo sottotitolo, "L'uomo che non volle la pace". Giudizio che non giunge a conclusione della biografia, ma ne è il punto di partenza, la tesi da dimostrare. Documenti e testimonianze sono adoperati sin dalle prime pagine, infatti, in modo da farne affiorare rapidamente l'intento degli autori: attribuire ad Arafat e soltanto a lui, il fallimento dei molteplici tentativi di giungere a una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese.

E' vero, tuttavia, che la personalità di Arafat viene ricostruita con un vasto lavoro di scavo e una notevole penetrazione. La sua duplicità, la capacità di mentire e venir meno agli impegni, la spinta alla surenchère ogni volta che un'intesa sembrava già vicina (come accadde a Camp David), sono descritte in maniera convincente. Ecco per esempio una frase che illustra la duplicità del Raìs: «Per le platee occidentali Arafat s'era ritagliato la parte dello Charlot di Chaplin, quella del senzatetto, emarginato, patetico, simpatico: ma per le platee arabe impersonava invece il ruolo di Saladino, il guerriero conquistatore». Da qui l'uso d'un abile repertorio emotivo compreso il pianto cui Arafat ricorreva con gli interlocutori stranieri. Tratti veri, innegabili, del leader palestinese. Ed è persino probabile, come sostengono i Rubin, che egli si fosse talmente identificato nel ruolo del rivoluzionario, per sollevare il suo popolo contro l'occupazione israeliana, da temere che la pace lo avrebbe allontanato dal centro della scena. Il suo carisma proveniva infatti dalla forza con cui aveva chiamato i palestinesi alla resistenza, e non certo dal realismo e dalla moderazione d'un futuro statista.

Bene. Solo che adesso i Rubin dovrebbero scrivere un altro libro. La storia di quella parte a lungo maggioritaria della società israeliana, e di tutti i suoi governi (salvo la fase degli accordi di Oslo), che volendo mantenere l'occupazione dei Territori e un giorno annetterli, hanno ostacolato la soluzione del conflitto con una pervicacia non diversa da quella che i Rubin imputano ad Arafat
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