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La Repubblica Rassegna Stampa
06.01.2005 Anche omettere i fatti e le loro cause costituisce una manipolazione
ce lo insegna il Maestro Viola

Testata: La Repubblica
Data: 06 gennaio 2005
Pagina: 1
Autore: Sandro Viola
Titolo: «Uno spiraglio di pace in Palestina»
Mercoledì 5 gennaio 2005 LA REPUBBLICA pubblica in prima pagina un editoriale di Sandro Viola che oramai deve arrampicarsi sugli specchi per restare fedele al suo cliché di deformatore , quando non addirittura di manipolatore, dell’ informazione. Ed anche in questo suo pezzo scritto da Gerusalemme egli tenta di farlo, ma in maniera maldestra perché oramai non può più negare l’evidenza, nascondere i fatti o censurare la storia come in precedenza.
Pertanto, i peccati di Viola che vogliamo segnalare ai nostri lettori sono di omissione, e non di falsificazione.
Con lo sguardo rivolto al passato, Viola ricorda che le varie aspettative di pace andate deluse nei decenni avevano "partorito soltanto nuove e sempre più sanguinose violenze". Ma non ci dice da chi provenivano queste violenze, e quale ne era la natura: ogni volta in cui pareva aprirsi uno spiraglio verso un accordo da parte palestinese si scatenavano attacchi terroristici contro i civili israeliani, fossero targati OLP e dunque Arafat fintanto che erano gestiti in prima persona, oppure Hamas, Hezbollah, Jihad Islamica o da altre sigle. Tacere sull’ origine e sulla natura della violenza che in passato ha sempre impedito il raggiungimento di accordi significa impedire di capire quali siano i problemi che oggi Sharon ed Abu Mazen devono affrontare.
Ed a proposito di Sharon Viola scrive che "la destra israeliana non aveva mai voluto ammettere" quel che ora Sharon accetta, cioè la creazione di uno stato plaestinese a fianco di quello israeliano. E’ una semplificazione che,nuovamente, non aiuta a capire la complessa realtà della democrazia israeliana, in cui fazioni e partiti discutono animatamente e pubblicamente su ogni cosa, in primis quella che tutti riconoscono come vitale per la stessa sopravvivenza dello stato ebraico.Affermare che "sempre" "la destra" è stata "contro" non corrisponde alla verità e la riduce ad un simbolo emotivo.E lo stesso valga per il suo opposto: "la sinistra" non è "sempre" stata "a favore" della creazione di uno stato palestinese. Le intersezioni, le sovrapposizioni, i distinguo ed i cambiamenti d’opinione in base alle contingenze sono da sempre un lievito della libertà di coscienza che è così determinante nell’arena politica israeliana.
Andiamo avanti. Viola riconosce che gli attentati terroristici palestinesi sono diminuiti "drasticamente,chi dice dell’80 e chi del 90 per cento": ma tace sul perché di questo quasi azzeramento del terrorismo, o quanto meno del terrorismo delle stragi (quello individuale, consistente in accoltellamenti od imboscate, purtroppo ha mietuto molte vittime innocenti). Il perché, che evidentemente a Viola non va giù, è che Sharon ha realizzato un vecchio progetto della sinistra israeliana ed ha costruito il "Muro", il vituperato "Muro" che muro non è, che non chiude i palestinesi in una prigione ma dona invece la vita agli israeliani.
Ancora: Viola si chiede se Sharon proponendo il ritiro unilaterale e senza contropartita da Gaza non "stia invece tessendo la trama d’un altro inganno", e cita uno storico autorevole ma "targato" come Tom Segev; pochi paragrafi dopo, comunque, lo stesso Viola è costretto ad ammettere, contraddicendo sé stesso, che Sharon è certamente sincero e non ha macchinato per cacciare i palestinesi in una trappola: al massimo, cerca di salvare Israele da una trappola palestinese. Sharon, concede Viola, ha messo a repentaglio il suo passato politico e militare, e la sua attuale posizione di primo ministro, pur di realizzare quel programma, e ciò non è conciliabile con un inganno. Se non avesse voluto inserire un velenoso dubbio nel lettore prima di queste affermazioni, non potremmo che elogiarlo per la chiarezza del giudizio.

Ecco l'articolo:

Com'era già accaduto tre o quattro volte nell´ultimo trentennio, sullo sfondo del conflitto israelopalestinese sembra di nuovo baluginare una luce di speranza. È vero, le altre volte ogni attesa aveva partorito soltanto nuove e sempre più sanguinose violenze. Ma resta che da qualche settimana i contendenti stanno parlando come se volessero davvero tornare al tavolo del negoziato. Ariel Sharon ammette infatti quel che la destra israeliana non aveva mai voluto ammettere, e cioè che nella terra di Eretz Israel non può esserci un solo Stato, quello degli ebrei, ma dovranno essercene due: l´ebraico e il palestinese.
Mentre sull´altro versante il successore di Arafat, Abu Mazen, riconosce che la Seconda intifada s´è risolta per i palestinesi in un disastro: quattro anni di lutti, miseria, devastazioni, e nessun vantaggio politico.
Sono parole, posizioni in cui s´intravvede la terribile stanchezza dei due popoli, e dalle quali si potrebbe muovere ancora una volta, forse, verso la ricerca d´un compromesso. E infatti a Gerusalemme circola un refolo d´ottimismo, lo stesso che vi trovai nell´aprile dell´anno scorso, i giorni in cui veniva varata la road map. Allora era già quasi caldo, adesso piove e fa freddo. Ma come allora l´atmosfera è più distesa, il tono dei discorsi è meno amaro e rassegnato. Il fatto è che il piano Sharon per il ritiro da Gaza e la morte di Arafat hanno mosso le acque dello stagno mediorientale: e questo mentre gli attentati terroristici diminuivano drasticamente, chi dice dell´80 e chi del 90 per cento. Così che su ambedue i versanti del conflitto (ma soprattutto sul versante israeliano) la gente, seppure con molta cautela, timorosa d´andare incontro a nuove delusioni, non può impedirsi di sperare.
Dire se queste speranze siano fondate o meno, è difficile: perché per prima cosa bisognerebbe stabilire se Ariel Sharon intenda davvero ? quando sostiene che il 2005 sarà "l´anno della svolta" ? imboccare la strada della riconciliazione, o se stia invece tessendo la trama d´un altro inganno. Tom Segev, uno dei più noti e brillanti tra i "nuovi storici" d´Israele, m´invita a diffidare. «Il ritiro da Gaza ? spiega ? serve a Sharon soltanto per gestire meglio questa fase del conflitto, e per resistere alle pressioni internazionali. Del resto Gaza è intenibile, bisogna uscirne: e lui, da buon militare, ha deciso il ripiegamento. Ma questo non è il primo passo sulla via della pace. È il primo e l´ultimo. Tutto il resto, il ritiro dalla Cisgiordania, Gerusalemme, il problema dei profughi palestinesi, dovrà aspettare ancora molti anni, venti o trenta, per essere affrontato e risolto».
Critico è anche un mio amico, lo scrittore Amos Elon: Sharon «non si ritira perché riconosce che Gaza appartiene ai palestinesi, ma perché l´occupazione è diventata troppo costosa. A Gaza ci sono un milione e 300mila disperati, come dire una polveriera pronta a esplodere, e Israele cerca di uscirne per evitare d´essere considerata responsabile dell´esplosione. Ma Gaza esploderà lo stesso, e la responsabilità sarà comunque israeliana».
Beninteso, i dubbi non sorgono soltanto quando si guarda alla politica israeliana. È anche della volontà di pace dei palestinesi, che non si può essere del tutto sicuri. Una decina di giorni fa si sono tenute le elezioni municipali, le prime da quasi trent´anni, in 26 cittadine e villaggi palestinesi della Cisgiordania. Il temuto grande successo di Hamas non c´è stato, ma il partito degli integralisti islamici, che rifiuta qualsiasi concessione ad Israele, dal quale sono usciti la maggior parte dei kamikaze, ha raccolto comunque un 20-25 per cento dei consensi. Non è poco: anzi è il segno di come sarà dura e probabilmente violenta, se davvero dovesse delinearsi un negoziato, l´opposizione degli integralisti alla leadership moderata del dopo-Arafat.
Ma se non s´insiste nel voler prevedere il futuro, se ci si limita ad esaminare i fatti come si presentano oggi, la conclusione è che qualche spiraglio si sta aprendo. Prendiamo il caso di Sharon. Che stia barando è possibile, visto che l´ha fatto tante volte. E tuttavia è innegabile che negli ultimi tempi s´è mosso lungo una linea che contraddice gran parte del suo passato politico. Ha lacerato il Likud, ha dissolto la coalizione con i partiti d´estrema destra, ha imbarcato i laburisti nel governo, ha resistito imperturbabile alle grandi manifestazioni, ai ricatti e alle minacce dello Yesha Council, il movimento dei coloni. Tutto questo soltanto per mascherare una trappola? Per prepararsi, dopo il ritiro da Gaza, a congelare la trattativa con i palestinesi?
La cosa certa è che i sondaggi mostrano come i due popoli siano in attesa, se non proprio della pace, almeno d´una tregua. Con Sharon ? dunque contro i coloni e gli altri irriducibili dell´estrema destra ? ci sono il 70 per cento almeno degli israeliani. Mentre il 55 per cento dei palestinesi si dice contrario ad altre azioni armate contro Israele. E non basta: fra poco più di dieci giorni si svolgeranno le elezioni per la presidenza dell´Autorità palestinese, e a vincerle sarà sicuramente Abu Mazen.
Certo, bisognerà vedere in quanti andranno a votare e con quale percentuale di consensi il moderato Abu Mazen s´insedierà al posto di Yasser Arafat. Ma intanto il suo impegno a contrastare gli incitamenti alla violenza ha già prodotto i primi risultati. Le prediche nelle moschee non hanno più il tono incendiario di qualche mese fa, e le radiotelevisioni palestinesi stanno parlando dopo molto tempo un linguaggio meno bellicoso, più misurato.
Finirà tutto, anche questa volta, in un´ennesima delusione? Avendo visto ridursi in cenere quattro o cinque piani di pace, non sarò io a dire che no, che stavolta il compromesso è possibile e tutto andrà quindi per il verso giusto. Da una parte e dall´altra gli estremisti sono certamente già al lavoro per sabotare qualsiasi progresso del dialogo.
Su ambedue i versanti, i traumi, i lutti e i veleni fondamentalisti spingeranno una parte delle due popolazioni a schierarsi con gli irriducibili invece che con i moderati. E l´apparente irrimediabilità del disastro iracheno rischia di sottrarre al governo degli Stati Uniti le energie necessarie a un´assidua, convinta mediazione in questo conflitto ormai secolare.
Dunque, niente facili ottimismi. Si può solo prendere atto che il quadro israelopalestinese è meno cupo, convulso e mortifero di com´era stato negli ultimi quattro anni. E che sono in molti, israeliani e palestinesi, a credere di vedere una luce in fondo al tunnel.
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