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La Repubblica Rassegna Stampa
24.04.2004 Le crisi di nervi di Viola generano confusione
per lui Arafat rimane una vacca sacra, intoccabile

Testata: La Repubblica
Data: 24 aprile 2004
Pagina: 1
Autore: Sandro Viola
Titolo: «Palestina sull' orlo dell' anarchia»
Viola sembra aver dimenticato di prendere la sua pillola contro l'
ipertensione, prima di scrivere questo articolo.
La sola idea che Arafat non sia più, nelle parole di Sharon, un
intoccabile, lo porta ad usare un tono concitato, esasperato, che lo conduce
sulla strada di un' enfasi che distorce la sua visione dei fatti.
Lasciamo dunque a lui questo tono, e ci limitiamo per parte nostra ad alcune
puntualizzazioni di merito.
Dei fatti avvenuti negli ultimi giorni Viola induce il sospetto che si sia
trattato di un tiro a segno degli israeliani sui bambini palestinesi,
colpevoli di tirare qualche pietra più o meno innocua contro di loro:
"qualche terrorista,certo", ammette Viola fra le vittime c'è stato: allora,
forse, di combattimenti si è trattato e non di un tiro a segno?
Proseguendo, egli pone al centro delle sue analisi il ruolo ufficiale, di
sola controparte di Israele, che la scena politica mondiale ha riconosciuto
ad Arafat.
"Pochi esiti e molti fallimenti" hanno frustrato i tentativi di negoziato
degli ideatori della Road Map, è l' ammissione a denti stretti che Viola
inserisce nel testo, ma sull' altro versante c'è comunque "la sovrana
indifferenza" di Sharon per gli effetti prodotti dall' uccisione di Yassin e
Rantisi (che con Arafat non c'entrano proprio nulla) "sugli alleati
occidentali in Iraq e nell' intero mondo arabo": come se gli attentati di
Madrid e di Ryadh e quello fallito ad Amman fossero conseguenza di quegli
omicidi mirati, e non frutto di una precisa ed articolata strategia, come se
il terrorismo iracheno (nel quale gli iracheni non sono i protagonisti ma le
vittime) dipendesse dai missili sparati dagli elicotteri israeliani e non da
un disegno strategico globale nel quale Hamas non ha ruolo alcuno.
Infine, per Viola Sharon, minacciando Arafat, fosse "dominato da un solo
pensiero: la sua sopravvivenza politica". In realtà Viola sa perfettamente
che Sharon persegue un suo preciso progetto, al termine del quale troviamo
due stati sovrani disposti a convivere, e non più uno stato che vuole
eliminarne un altro; e comprende che questo progetto comporta, attraverso
azioni di forza che si sostituiscono all' azione politica che la Road Map
aveva affidata ad Arafat ma che egli non ha voluto attuare, un riequilibrio
delle forze interne alla Palestina a beneficio dei palestinesi rappresentati
dall' ala moderata e realistica del loro schieramento politico. Lo sa, ma al
suo pubblico dice ben altro, Viola.

Ecco l'articolo:

PARLIAMO di caos iracheno, ed è giusto, comprensibile, visto che in Iraq l´America e l´intero Occidente stanno giocando una partita convulsa e per molti aspetti decisiva. Ma in queste ore il caos sulle frontiere tra Israele e quel che resta della Palestina, non è meno impressionante, mortifero, pericoloso. C´erano stati oltre 20 morti palestinesi in pochi giorni: qualche terrorista, certo, ma per la maggior parte ragazzi che prendevano a sassate i carri armati israeliani o bambini che giravano per casa quando la casa è stata centrata da un missile.
Ed ecco ieri sera uno sviluppo che trascina il conflitto israelopalestinese sul bordo d´ulteriori, gravissimi traumi. D´un ulteriore impazzimento.
Il primo ministro d´Israele, Ariel Sharon, ha dichiarato d´aver già avvertito George W. Bush che il suo governo si ritiene libero di agire contro Yasser Arafat: deportandolo da qualche parte in esilio, o anche, se il caso, eliminandolo fisicamente. Tre anni fa, ha detto Sharon, m´ero impegnato col presidente degli Stati Uniti di non usare alcuna violenza nei confronti del leader palestinese. Ma adesso le cose sono cambiate: riprendo la mia libertà d´azione, cosa che la settimana scorsa ho detto esplicitamente, senza nulla nascondere, a Bush.
Sharon sembra dunque intenzionato a decapitare non solo l´organizzazione integralista (e terrorista) chiamata Hamas, ma anche l´Autorità nazionale palestinese. Vale a dire il solo interlocutore con cui Israele, l´America, la Russia, gli europei e l´Onu hanno potuto sinora - sia pure con pochi esiti e molti fallimenti - tessere un negoziato, tentare una soluzione del conflitto. Dagli accordi di Oslo sino al piano di pace lanciato l´anno scorso (la road map che Bush ha sostenuto ancora l´altro giorno di considerare l´unica cornice negoziale possibile), questa era stata infatti la controparte dei governi israeliani: l´Autorità palestinese. E benché Sharon ripetesse da oltre un anno che Arafat era ormai un personaggio «irrilevante», senza più alcun ruolo effettivo, era a Ramallah, alla Muqata, la sede dell´Autorità ridotta in macerie dai cannoni israeliani, che si recavano Solana e Moratinos a parlare per gli europei, gli inviati di Putin e quelli di Kofi Annan. Alla Muqata, nelle stanze dell´Autorità nazionale palestinese, cioè da Yasser Arafat.
Così, non resta che porsi una domanda: Sharon intende davvero svuotare quelle stanze, portarne via il leader palestinese o addirittura ucciderlo, in modo che non rimanga più un solo interlocutore legittimo per un´eventuale futura trattativa? L´estrema gravità della fase che s´è aperta ieri con le dichiarazioni di Sharon, sta appunto nella difficoltà di rispondere a questa domanda. Due anni fa, quando il primo ministro israeliano minacciò per la prima volta d´andar a prendere Arafat per trascinarlo in esilio, era lecito dubitare che quelle parole si sarebbero tradotte in fatti. Troppo clamorosi sarebbero stati i contraccolpi politici, e troppo negativi per l´immagine d´Israele.
No, si trattava di minacce e basta. Ma oggi non è così. Oggi non si può essere affatto sicuri che si tratti soltanto di parole.
La perseveranza con cui Sharon ha attuato la strategia dei cosiddetti «omicidi mirati», la sua sovrana indifferenza verso gli effetti micidiali che alcuni di essi (come l´eliminazione dei due capi di Hamas, lo sceicco Yassin e Abdelaziz Rantisi) stanno avendo sugli alleati occidentali in Iraq e nell´intero mondo arabo, costringono a pensare che stavolta la minaccia sia concreta. Anzi, il preannuncio di un´azione di forza. È come se Sharon fosse ormai dominato da un solo pensiero: la sua sorpavvivenza politica. Egli deve vincere il referendum sul suo piano di ritiro da Gaza, che si terrà tra pochi giorni all´interno del Likud. Ed è quindi ben probabile che l´esilio - o la vita - di Arafat, siano il prezzo che è pronto a pagare per ottenere il consenso dell´ala più oltranzista del suo partito. Dell´immagine d´Israele, dell´America impantanata in Iraq, degli europei, dell´Onu, gli importa poco o niente.
Quel che inquieta, di fronte alla prospettiva che s´è aperta in queste ore, è la rassegnazione (se non è l´accordo) del governo americano. Un comunicato generico del Dipartimento di stato in cui si dice che Washington resta contraria ad azioni violente, è tutto quel che è giunto dall´America dopo le dichiarazioni di Sharon. E questa mancanza di fermezza, l´assenza di qualsiasi senso d´allarme, contribuiscono a rendere meno ipotetica, più reale e probabile l´eventualità d´una irruzione dei paracadutisti israeliani alla Muqata.
Su questo sfondo già tanto febbrile, si sono inserite le voci d´una lettera di dimissioni del primo ministro palestinese Abu Ala. All´indomani dell´avallo dato da Bush al piano Sharon di ritiro da Gaza (mantenendo le maggiori colonie in Cisgiordania e negando in principio il "diritto al ritorno" dei profughi palestinesi), Abu Ala aveva in effetti ventilato l´intenzione di dimettersi, in quanto dopo l´intesa Bush-Sharon non vedeva più alcuno spazio residuo per un negoziato. E se dovesse davvero decidere di rinunciare alla sua carica, il marasma nella regione non farebbe che aggravarsi. Gli integralisti si troverebbero in mano un´altra carta da giocare.
Forse, il solo a non agitarsi è Arafat. Un po´ perché crede nella sua buona stella, un po´ perché non può credere che i suoi avversari siano così politicamente ottusi da far precipitare la Palestina, con la sua deportazione o togliendogli la vita, in un baratro di anarchia e violenze. E forse non gli dispiacerebbe morire alla Salvador Allende tra le macerie della Muqata, durante l´operazione delle forze speciali d´Israele. Perché questa sarebbe la sua ultima possibilità d´assestare un colpo ad Ariel Sharon, il suo nemico di sempre.

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