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Il Riformista Rassegna Stampa
18.01.2022 David Meghnagi: 'Israele bastione contro l'odio antisemita'
Lo intervista Umberto De Giovannangeli

Testata: Il Riformista
Data: 18 gennaio 2022
Pagina: 8
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «David Meghnagi: 'L'esistenza di Israele ci dice che la stagione della caccia è finita'»

Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 18/01/2022, a pag. 8, con il titolo "David Meghnagi: 'L'esistenza di Israele ci dice che la stagione della caccia è finita' " l'intervista a David Meghnagi di Umberto De Giovannangeli.

ytali. - Autori
Umberto De Giovannangeli

TV 2000
David Meghnagi

Più che una intervista, è un affascinante viaggio storico, culturale, psicologico, politico, nell'ebraismo. Un viaggio che investe i rapporti tra la sinistra e la diaspora ebraica, la sinistra e Israele. Un viaggio che II Riformista fa con David Meghnagi, già Vicepresidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei) e delegato per l'Italia presso la Conferenza dell'Oste contro l'antisemitismo. Tra i suoi libri, ricordiamo Ricomporre l'infranto. L'esperienza dei sopravvissuti alla Shoah (Marsilio, 2005); Le sfide di Israele. Lo Stato ponte tra Occidente e Oriente (Marsilio, 2010); II padre e la legge. Freud e l'ebraismo (Marsilio, 2010); Libia ebraica. Memoria e identità, testi e immagini (Belforte, 2020).

La sinistra, Israele, il mondo ebraico. Un rapporto complicato, in alcuni momenti storici drammatico. In questo contesto cosa rappresenta Israele? Israele è il prodotto della storia ebraica. Una storia millenaria. Lo Stato d'Israele e il risultato di un movimento di liberazione di esseri umani da una oppressione che è andata avanti nel corso dei millenni sia nel mondo cristiano, in modo atroce in alcuni momenti, sia nel mondo islamico, in altri. E poi la tragedia del `900. Uno del grandi errori che ha fatto la sinistra, alla fine dell'800, è stato quello di non comprendere le aspirazioni nazionali ebraiche che si fanno movimento, a partire dall'est e dal cuore dell'Europa, soprattutto dopo l'affaire Dreyfus. Cite che continua a non essere compreso pienamente è il processo dialettico che riguarda il rapporto tra il mondo ebraico e Israele. Buona parte del popolo ebraico, più del 50%, vive oggi in Israele, perché ormai è questa la geografia dell'ebraismo. Una geografia che è profondamente cambiata dopo la Seconda guerra mondiale, nel senso che Israele prima non esisteva, in quell'area lì, nell'800, vivevano poche decine di migliaia di persone. Con l'avvento del nazismo in Germania e del fascismo in Italia e con la Seconda guerra mondiale, i grandi polmoni dell'ebraismo sono spariti, distrutti, sterminati. L ebraismo dell'Europa occidentale è largamente sparito. Esiste l'ebraismo americano come contraltare a quello israeliano. Con la geografia è cambiato completamente anche il dibattito politico e culturale sui rapporti tra ebraismo e Israele. Dibattito falsato da una percezione che risale ad una epoca diversa, quella di fine '800 in cut c'erano 18 milioni di ebrei nel mondo, di essi ne sono scomparsi 6 milioni nell'immane tragedia della Shoah. Gli ebrei che vivono in altri paesi che non siano Israele, a quel paesi appartengono, dal punto di vista della cittadinanza, della cultura. Oggi viviamo un'epoca in cui le pluri-appartenenze sono riconosciute, declinate, ma curiosamente vengono messe in discussione ogni qualvolta si parla di ebrei.

Una "strana" peculiarità... Di cui faremmo volentieri a meno. Nessuno si pone una domanda di fronte alla pluri-appartenenza, per esempio, di un immigrato proveniente dal Balcani o dal mondo arabo o altro, che ha una doppia cittadinanza. Mentre nel confronti dell'ebreo, proprio per una storia di lungo periodo legata all'antisemitismo, questo meccanismo scatta sempre e c'è l'accusa, implicita, di una doppia appartenenza. In realtà, gli ebrei Italiani sono italiani, hanno un profondo legame con Israele. Un legame differenziato, alcuni sono identificati di più, altri di meno. Fatto sta che agli occhi di gran parte dell'ebraismo, oggi, l'esistenza di Israele sta a significare simbolicamente una cosa...

Quale, professor Meghnagi? Che la stagione della caccia è finita. Questo è ciò che Israele dice al mondo oggi. Ma il messaggio ancora più profondo è che l'esistenza di Israele oggi costituisce un arricchimento del mondo intero.

Perché? Perché è una realtà culturale nuova che è emersa. Una realtà che nel Medio Oriente ha realizzato uno Stato democratico, con tutte le contraddizioni che ci sono in quell'area li. E ha restituito ossa a un ebraismo che altrimenti sarebbe precipitato in un lutto senza fine. Se Israele fosse stato annientato, cancellato dai paesi arabi con la guerra del '48'49, secondo me la melanconia e il lutto sarebbero penetrati profondamente nell'anima ebraica, perché gli ebrei erano usciti dallo sterminio, non dimentichiamolo mal. La distruzione di Israele avrebbe causato un lutto senza fine.

Il Presidente emerito Giorgio Napolitano ebbe a dire che l'antisionismo è forma moderna dell'antisemitismo. È ancora così? Purtroppo si. Napolitano fece per la prima volta quell'affermazione in un dibattito che io avevo contribuito a realizzare. lo ho lavorato a lungo con Napolitano, con Fassino, pur non appartenendo al loro partito. Da senza tessera, ho lavorato negli anni '80 per gettare un ponte per la sinistra italiana e quella israeliana. Quando misi in piedi il Comitato accademico europeo contro l'antisemitismo, intorno al 2000, il Presidente Napolitano ribadì in pubblico questa espressione, che aveva affermato anche in tv durante un dibattito in cui ero presente e partecipe. Esordì dicendo che sionismo non è una brutta parola. Purtroppo, però, l'antisionismo e l'antisemitismo permane ancora oggi e per tanti motivi...

Quali quelli più pervasivi? Anzitutto va detto che dal punto di vista etimologico si tratta di due fenomeni profondamente diversi. Nel senso che l'antisionismo di fine '800 è presente anche all'interno del mondo ebraico. Nel senso che ci sono settori dell'ebraismo religioso che sono stati profondamente ostili al sionismo. Si pensi che nel 1935 addirittura si tenne un convegno che definiva il sionismo come un pericolo per il giudaismo, all'interno di settori dell'ortodossia, cosi come all'interno della sinistra marxista ebraica ma anche del Bund (l'Unione generale dei lavoratori ebrei di Russia, Polonia e Lituania, ndr) che proponeva nell'Est Europa l'emancipazione culturale e non politica all'interno di un atteggiamento di ostilità verso una opzione di tipo nazionale. Ma è un dibattito vecchio, legato alla fine dell'800, alle scelte che dividevano il mondo ebraico rispetto al futuro ed anche ad una incapacità della sinistra nel suo Insieme, un fenomeno questo di lungo periodo, di accettare l'idea che gli ebrei potessero declinare una loro Identità nazionale distinta.

Perché questa negazione? Per il semplice motivo che nella cultura dell'universalismo politico della sinistra confluiva tutta una tradizione che nella peggiore delle ipotesi guardava all'ebraismo in senso negativo, si pensi alla polemica di Marx con Bauer. Marx contesta Bauer ma fa suoi i pregiudizi antiebraici anche se li storicizza. Nella migliore delle ipotesi, c'è una svalutazione dell'ebraismo come tale e tutto viene ridotto al il diritto degli ebrei all'emancipazione sul piano individuale. Basti pensare, ad esempio, al dibattito nell'Assemblea nazionale francese in cui si affida tutto agli ebrei come individui, niente come nazione. Questo fa parte della declinazione dell'emancipazione, cosi è stata vista dagli Stati nazionali europei tra il '700 e la fine dell'800. La prospettiva cambia un po' in paesi come la Gran Bretagna e anche negli Stati Uniti dove c'è una concezione del rapporti interreligiosi diversa e dove c'è un fenomeno evangelico che all'epoca si affermava nel settori della sinistra e non in quelli della destra come avviene oggi, per esempio negli Usa, che guardava con simpatia al ritorno degli ebrei nella Terra promessa come premessa del ritorno di Cristo in terra. Una visione religiosa profondamente diversa da quella cattolica. Nella peggiore delle Ipotesi, l'ebraismo come tale veniva demonizzato. Cosi il cerchio si chiudeva: la destra demonizzava l'ebraismo come tale e la sinistra accettava il diritto degli ebrei all'emancipazione ma non il diritto a declinare la propria Identità nazionale. E questo anche perché nel movimenti escatologici e rivoluzionari la prospettiva era del superamento dell'identità nazionale per costruire il socialismo mondiale e associare l'"uomo nuovo". Questo era il mito dominante nei movimenti rivoluzionari. E siccome gli ebrei apparivano come coloro i quali si erano distanziati di più dall'identità nazionale perché non avevano uno Stato da millenni, loro dovevano sacrificarsi per primi. Basta leggere Kautsky nel suo scritto del 1914 intitolato Rasse und judentum. Uno scritto molto interessante perché utilizza la parola "razza" e lui era il massimo esponente del Partito socialdemocratico tedesco e della socialdemocrazia europea. In quel libro, Kautsky affermava, come aveva fatto anche Lenin, che gli ebrei erano un fattore rivoluzionario nella società ma l'ebraismo era un fattore reazionario. Questa dialettica all'interno del dibattito della sinistra europea si è conservata successivamente come traccia anamnestica. Non dimentichiamo che i primi movimenti socialisti, parlo del Falastini o di Proudhon, erano antisemiti in maniera esplicita ed aperta. L'odio di Proudhon per gli ebrei era forse superato solo da quello verso le donne. Anche Fourier era antisemita. Il fatto che a un certo momento la sinistra diventi consapevole del pericolo rappresentato dall'antisemitismo è determinato da un lungo processo e da una aspra battaglia all'interno del movimento operaio. E questo avviene soprattutto con l'affaire Dreyfus. All'inizio i socialisti guardano alla vicenda di Dreyfus come uno scontro interno alla borghesia ma piano piano si rendono conto che in pericolo è la democrazia, le conquiste della Repubblica. La sinistra combatte l'antisemitismo non perché ama gli ebrei o non perché riconosce il loro diritto ad una identità nazionale distinta ma semplicemente perché emerge questa consapevolezza. Basta vedere il dibattito nel partito socialdemocratico russo fino al '17. Nel 1903, quando si fondò il Partito, si riuniscono delegati menscevichi e bolscevichi, che ancora non si chiamavano tali, e gli esponenti del Bund. Ebbene, la prima cosa che fanno è di cacciare via quelli del Bund. E il Bund non era sionista, ma rivendicava il diritto degli ebrei all'autonomia culturale, dopo peraltro i pogrom che c'erano stati a Kishinev. I pogrom che si erano scatenati a partire dal 1880-81 hanno portato all'emigrazione di massa di oltre 1 milione di ebrei dal paesi dell'Est Europa. Dopo l'espulsione del Bund, Plekhanov, il grande leader e filosofo della socialdemocrazia russa e del Partito bolscevico, accusa il Bund di essere del "sionisti col mal di mare". È molto interessante questa affermazione, perché la dice lunga sulla percezione che si aveva. Dopo aver cacciato via il Bund, menscevichi e bolscevichi si scontrano tra di loro per l'organizzazione del partito. Anche Il, da una scissione si passa ad un'altra. Il seme dell'intolleranza sta alla radice della percezione del problema. Le faccio un altro esempio significativo. Facendo parte di un impero multinazionale come era l'impero austroungarico, i marxisti ungarici, che erano tra i più avanzati su questo piano, elaborarono una idea dell'autonomia delle nazionalità all'interno dell'impero austroungarico, diversa, ad esempio, da quella del marxismo russo e del marxismo tedesco. Guarda caso, pero, proprio agli ebrei veniva negato il diritto all'autonomia nazionale e culturale. È interessante, perché era l'unica nazionalità dell'impero austroungarico che non aveva un diritto nello specifico, in una realtà imperiale in cui vivevano oltre 5 milioni di ebrei dell'Est Europa, che erano una vera e propria nazionalità, con una lingua, con una cultura elaborata nel corso dei secoli, non solo religiosa ma anche laica. In quel periodo c'è stata una grande letteratura yiddish, a quei tempi sconosciuta ma che oggi noi conosciamo. Una letteratura splendida, ma sparita nel corso del tempo.

E dopo cosa avviene, professor Meghnagi? Avviene che con la Guerra fredda l'Urss fa una scelta di segno opposto. Una scelta di realpolitik, geopolitica. L'Unione Sovietica voleva affrettare il crollo dell'impero britannico e il modo migliore per penetrare in quella regione era di accelerare il processo di abbandono del Regno Unito di quelle zone li. Ecco allora che i sovietici permettono al partigiani ebrei che avevano combattuto in Cecoslovacchia, in Polonia etc., di emigrare verso Israele, adottando una politica diversa nei confronti degli ebrei che vivono in Unione Sovietica.

Il nostro "viaggio" arriva al giorni nostri. Le chiedo: che rapporto la sinistra dovrebbe avere oggi con lsraele? II processo è triplice, non duplice. Da una parte, avere sempre la consapevolezza che ebrei e Israele non sono lo stesso termine, che si tratta di realtà legate alla pluri-appartenenza, per cui gli ebrei italiani sono cittadini italiani e non possono essere giudicati per le loro posizioni verso Israele, tosi come nessuno si sognerebbe di criticare un italiano per le sue posizioni sui conflitti in Sudamerica o in altre parti del mondo. Si pub dissentire sul piano ideologico o culturale ma questo non porterebbe mai a individuare un sottogruppo come un qualcosa percepito come estraneo all'appartenenza culturale e nazionale più ampia. Perché li siamo di fronte ad una forma chiara ed esplicita di antisemitismo, comunque mascherato o declinato. Dall'altra parte, per la sinistra italiana ed europea si tratta di accettare la realtà di Israele....

E qual è questa realtà? Quella di un paese, una nazione, con le sue contraddizioni che però non può essere giudicata secondo parametri che non si applicherebbero mai per giudicare uno Stato. Nel senso che la politica è il regno di Edipo, e non il regno di Abramo. Il regno della guerra. E la politica è alta politica quando invece nel conflitto tra umani all'interno di un paese riesce a creare delle regole che permettano di gestire il conflitto. E sul piano internazionale, vale lo stesso discorso: come creare delle regole delle regole. E lo sviluppo del diritto internazionale finalizzato a questo anche se purtroppo viene spesso utilizzato strumentalmente. La politica ha questa, o per meglio dire, avrebbe questa finalità: regolare i conflitti per evitare le guerre, per scongiurare passi senza ritorno. Due guerre mondiali purtroppo non sono state sufficienti, ma avrebbero dovuto far capire, soprattutto con le tecnologie attuali, che i conflitti vanno gestiti, regolati, evitando la loro polarizzazione. Il vero problema di tutta la sinistra, ma per altri versi il discorso vale anche per le forze di centro odi destra, è che nei confronti di Israele non si possono adottare due pesi e due misure. Non puoi giudicare la politica di uno Stato su basi puramente etiche e sulla pretesa di principi etici assoluti come non lo faresti con altri. Le faccio un esempio: il movimento di boicottaggio delle Università israeliane. È una delle cose più scellerate pensate e messe in pratica. Persone magari in buona fede che partecipano senza rendersene conto ad una forma di antisemitismo. Se io domani non potrò cooperare con i colleghi israeliani, dopo domani sarò accusato per il solo fatto di mantenere dei rapporti. Le stesse persone non si sognerebbero mai di operare nello stesso modo nei confronti della Cina, dell'Iran e di altri paesi che hanno ben altre responsabilità sul piano internazionale. Tutto questo è molto sospetto. Quello che auspico, e per cui mi batto, non è tanto dare indicazioni sulle cose da fare, ma di avere una maggiore consapevolezza, di curare di più il linguaggio, di rivisitare la storia. Io partecipai al primo viaggio internazionale del Pds, che fu in Israele. E io lo commentai, in un intervento pubblico, come la riscoperta da parte della sinistra del valore dello Statuto albertino. Ho voluto collegarlo alla storia dell'emancipazione degli ebrei in Italia. Per vent'anni e oltre quella che era la forma maggioritaria della sinistra italiana, non i socialisti che hanno avuto una deriva successivamente ma che sono stati invece importanti nei rapporti con Israele, scopri un paese che non conosceva per niente. Mi trovai, in quell'occasione, durante un incontro con degli scrittori israeliani, a interloquire con persone che nel sentire la parola Bank Leumi, una delle principali banche israeliane, pensavano che si stesse parlando della West Bank...C'erano giornalisti della Terza rete della Rai che non avevano mai fatto visita allo Yad Vashem. E vivevano li da anni, come corrispondenti. Questo per significare che la "scoperta" di Israele da parte della sinistra italiana non pub ancora dirsi pienamente compiuta.


redazione@ilriformista.it

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