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La Verità Rassegna Stampa
18.01.2021 'I Social lasciano parlare i dittatori e zittiscono i nemici politici'
Intervista a Pierluigi Battista

Testata: La Verità
Data: 18 gennaio 2021
Pagina: 13
Autore: L.D.P.
Titolo: «'Lasciano parlare i dittatori e zittiscono i nemici politici'»
Riprendiamo dalla VERITA' di oggi, 18/01/2021, a pag. 13, con il titolo 'Lasciano parlare i dittatori e zittiscono i nemici politici' l'intervista a Pierluigi Battista.

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Pierluigi Battista

«La decisione di escludere Donald Trump da Twitter e Facebook è un atto gravissimo in quanto stabilisce il principio che i nemici politici possono essere silenziati. Si badi bene, non i dittatori ma i nemici politici. I giganti del Web non hanno mostrato nemmeno un minimo di coerenza. E stato rimosso il tweet dell'ayatollah iraniano Khamenei, negazionista sui vaccini, ma nulla è stato fatto per le frasi con le quali indicava Israele quale "cancro maligno in Medio Oriente da rimuovere e sradicare". Mentre si oscura Trump, ci sono dittatori che continuano a esprimersi liberamente sui social con espressioni speso più violente di quelle usate dall'ex presidente degli Stati Uniti».

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Pierluigi Battista, giornalista, scrittore, editorialista del Corriere della Sera, rompe il fronte del pensiero dominante. La decisione del patron di Facebook di oscurare l'account di Trump ha poco a che fare con la tifoseria di essere pro o contro il presidente uscente: «Vedere che la cancelliera tedesca, Angela Merkel, prende le distanze da Facebook nonostante non sia mai stata vicina a Trump, mi ha aperto il cuore», osserva Battista. «Oggi la politica, nel mondo come in Italia, passa attraverso le piattaforme. Piaccia o non piaccia, è casi. Per questo, quanta è accaduto non va sottovalutato».

Facebook però è una società privata, non deve rispondere a nessuno di ciò che decide, pub agire in totale autonomia. Come il direttore di un giornale pub pubblicare o no un articolo. Che differenza c'è? «C'è, eccome. Dire che i network Facebook e Twitter sono agenzie private è tecnicamente vero. Se il direttore di un giornale non vuole pubblicare una cosa ne ha il pieno diritto, non è censura. Ma se tutte le edicole, che sono private, decidono di non vendere quel giornale, allora è censura. Se una casa editrice decide di non stampare un libro è nelle sue facoltà, esercita un diritto. Diverso, però, è se tutte le librerie d'Italia decidono di non vendere quel libro. Giornali e case editrici non sono equiparabili alle piattaforme Web che agiscono in condizione di quasi monopolio sulla rete. È come un'autostrada: non ce ne sono centomila, è quella e basta».

Twitter ha bandito Trump in modo definitivo

Facebook in passato aveva già bloccato alcuni tweet. La gravità dell'incitamento alla violenza non giustifica la misura più drastica di chiudere l'account? «Se si nega un singolo tweet, perché è volgare o istiga alla violenza, può essere legittimo. Ma levare un account significa cancellare per sempre la possibilità che una persona possa esprimersi sull'arena politica. Il fatto che lo si faccia con qualcuno che può stare anche antipatico, che si può anche non condividere, ma che ha 74 milioni di elettori, è estremamente grave. È come negare a un partito il diritto di usufruire delle piazze. Fino a un mese fa Facebook e Twitter erano considerati colossi pericolosi per il totale monopolio che esercitano sul mercato; ora invece sono diventati club benemeriti che impongono a chi ne usufruisce regale precise. Ma dove stanno scritte queste regole? Non mi risulta che chi vuole entrare in queste reti sia costretto a sottoscrivere un contratto per rispettare alcune regole. Non c'è una formula per cui ci si impegna a fare determinate cose e non altre».

L'account di Donald Trump è stato chiuso perché il presidente degli Stati Uniti avrebbe incitato la folla a comportamenti illegali. Esprimere un giudizio di merito sulle sue dichiarazioni è un atto colpevole? «Se oscuro chi è considerato colpevole di aver istigato l'assalto al Campidoglio americano, ma continuo a ospitare sulle piattaforme l'ayatollah iraniano Khamenei, oppure Erdogan, o i cinesi che hanno i campi di concentramento, non sono nemmeno coerente. Se Zuckerberg avesse detto che sulle sue piattaforme i dittatori sono banditi, si può non essere d'accordo ma avrebbe un senso. Invece tutti i peggiori dittatori hanno la possibilità di esprimersi. Khamenei dice liberamente che Israele va distrutta e sradicata, e voglio capire con quali mezzi, e nessuno si azzarda a oscurare l'account. Poi magari, a Natale, gli tolgono il tweet perché sembra negazionista sui vaccini».

Zuckerberg non potrebbe aver agito per calcolo economica, per accreditarsi così il nuovo presidente Biden? «E evidente. Si fa una questione di principio per una questione di opportunità. Trump è stato bastonato dal risultato elettorale e non ci vuole nulla a scaricarlo. A me però non interessa il ritorno finanziario che potrebbe avere Facebook. Io sono preoccupato dal rischio che corre la libertà di opinione. La decisione di intervenire su Trump mette in discussione il pilastro fondamentale della libertà di opinione. Cancellare il profilo significa che quella persona non esiste più: non è che viene messa in punizione, viene cancellata la sua identità pubblica. Peraltro la sanzione non ha nemmeno una scadenza».

Facebook e Twitter obbediscono a una logica politica? «È cosi: decidono politicamente chi può parlare e chi no. Non è necessario essere vicino a Trump per dire che è un atto di una gravità enorme, è un bavaglio. Si stabilisce il principio che i nemici politici possono essere silenziati. Attenzione: non i dittatori, ma i nemici politici. I padroni dei social devono stare attenti, perché il vento cambia».

In che senso devono stare attenti? «Ora il vento gira a loro favore, ma un domani chissà. Negli anni Settanta c'era chi voleva la censura sui cosiddetti "cattivi maestri" che venivano accusati di alimentare la deriva terroristica perché predicavano l'abbattimento rivoluzionario delle istituzioni borghesi. Non c'erano i social ma il concetto è lo stesso: eliminare quello che si definisce come istigazione. Allora era l'estrema sinistra nel mirino, io ero contrario anche allora. Non è detto che tra dieci anni questo principio non venga applicato altrove: potrebbe accadere che loro stessi vengano messi nel mirino. E ci saranno i soliti quattro gatti liberali a dire che è ingiusto».

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