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Corriere del Ticino Rassegna Stampa
31.01.2020 Il linguaggio di odio che colpisce Israele
Commento di Davide Romano

Testata: Corriere del Ticino
Data: 31 gennaio 2020
Pagina: 0
Autore: Davide Romano
Titolo: «Il linguaggio di odio che colpisce Israele»
Riprendiamo dal CORRIERE del TICINO del 30/01/2020 con il titolo "Il linguaggio di odio che colpisce Israele", il commento di Davide Romano.


Davide Romano

Nella tradizione biblica ebraica (e non solo) le parole sono molto importanti. L’universo stesso in cui viviamo è stato creato dalle parole di Dio. Ma anche i non credenti conoscono bene la potenza delle parole. Nel bene, come nel male. Pensiamo agli psicologi, che guariscono i propri pazienti solo parlando. Ma c’è anche un modo negativo di usare il linguaggio. Ed è quello delle parole d’odio, che possono uccidere. Lo sanno bene i mafiosi, che per rendere accettabile a se stessi il fatto di dovere ammazzare un altro essere umano devono prima indicarlo come “infame”. Solo così, de-umanizzandolo e appiccicandogli addosso un’etichetta, la loro coscienza gli permette di “giustiziarlo”. Per questo il ruolo dei media è molto importante. Le parole possono essere pietre. In questi anni per esempio abbiamo visto come quando c’erano scontri tra palestinesi e israeliani, spesso tali tensioni sono state pagate dagli ebrei europei con un aumento delle aggressioni da parte dei loro concittadini più estremisti.

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Sono i frutti di un’informazione troppo spesso tesa non a raccontare i fatti del Medio Oriente, ma a schierarsi per demonizzare Israele. A cominciare da molti opinionisti e cosiddetti esperti che spesso - chissà perché - sono di area comunista. Solo con un’informazione così faziosa un cittadino europeo può arrivare a odiare non solo lo Stato ebraico, ma tutti gli ebrei. Fermiamoci a pensare: è mai accaduto che dei cittadini belgi di origine russa fossero aggrediti e picchiati per la guerra che Mosca ha fatto in Cecenia? Nessun francese di origine cinese è stato buttato giù dalla finestra del proprio appartamento dopo la strage di Tienanmen o la rivolta di Hong Kong. E’ insomma chiaro come le tante aggressioni agli ebrei europei sono spinte anche dalla demonizzazione di Israele. Nel mondo arabo per esempio – e purtroppo anche per non pochi giornalisti europei di estrema sinistra- la parola sionista è diventata sinonimo di criminale. O, per riprendere l’esempio di sopra, di “infame”. Ovvero se etichetti un ebreo come “sionista” allora diventa legittimo aggredirlo e – perché no? – ucciderlo. E’ successo tante, troppe volte, nell’Europa di questi ultimi 20 anni. Eppure il sionismo non è altro che un movimento di rinascita nazionale, come quelli che hanno avuto tanti popoli europei e arabi a cavallo tra l’800 e il ‘900. La tecnica di disumanizzazione è stata usata anche da Al Qaeda, che per giustificare le stragi dei cristiani li chiamava “crociati”. Ora, tutto questo linguaggio di odio è comprensibile – ma non giustificabile - da parte di terroristi e fanatici di destra e sinistra. Quando però sono i nostri media a utilizzare certe parole, c’è qualcosa che non va. Non sto chiedendo un trattamento di favore per Israele, ci mancherebbe. Dico solo che se venisse trattato come un Paese normale, che compie i suoi errori come fanno tutti gli altri, allora nella nostra società certi germi dell’intolleranza farebbero più fatica ad attecchire. Lo dico per il bene di tutti, non solo di quello degli ebrei. Il popolo ebraico è spesso il primo a subire l’intolleranza, ma mai il solo a esserne colpito. Puntualmente essa si espande a tutto il resto della società, come ci insegna la storia.

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