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Corriere del Trentino Rassegna Stampa
21.07.2020 Monaco 1972: la strage vista da Mennea
Commento di Marcello Malfer

Testata: Corriere del Trentino
Data: 21 luglio 2020
Pagina: 7
Autore: Marcello Malfer
Titolo: «Monaco 1972: la strage vista da Mennea»
Riprendiamo dal CORRIERE del TRENTINO di oggi, 21/07/2020, a pag.7, con il titolo "Monaco 1972: la strage vista da Mennea", il commento di Marcello Malfer, Presidente dell'Associazione trentina Italia Israele.

5 settembre 1972: a Monaco iniziava il massacro degli atleti ...
I volti degli atleti israeliani assassinati

Ho sempre considerato lo sport non solo un terreno atto a misurare e ammirare il talento e i successi degli atleti, ma anche e soprattutto un mondo di valori, nel quale i campioni devono essere tali non solo sulle piste e i campi da gioco, ma anche nella vita. Fra i primissimi posti di una classifica (che è anche la mia) figurano due personaggi che hanno dimostrato di essere davvero dei grandi uomini non solo nello sport, e trovo singolare che la grande ammirazione da me nutrita per loro sia maturata quando le loro non comuni doti umane non erano pienamente conosciute: Gino Bartali e Pietro Mennea. Dell'eroismo di Bartali — che durante la guerra , mettendo a grave rischio la sua stessa vita, salvò da morte certa decine di ebrei, infatti si è avuta notizia solo in tempi recenti (dopo la sua morte) in quanto tra gli straordinari meriti del campione, c'è stato anche quello della innata modestia, che sempre lo portò a evitare onori e pubblicità (simile in ciò, a un altro immenso, Giorgio Perlasca ). Quanto a Mennea, sono stati conosciuti l'impegno civile e la grande umanità solo in questi giorni e abbiamo avuto modo di apprendere di un'altra importante medaglia da aggiungere alla sua prestigiosa collezione. Una medaglia di un metallo molto più prezioso dell'oro, rappresentata da un toccante libro postumo (appena pubblicato, con una nota introduttiva della moglie del velocista, Manuela Olivieri Mennea che spiega le ragioni della ritardata pubblicazione del volume), e una prefazione dello stesso autore in cui la «freccia di Barletta» racconta la terribile esperienza della strage di Monaco 1972, di cui, in quanto membro della nazionale italiana di atletica, fu testimone diretto. Dalle pagine del volume, traspare tutto il raccapriccio, lo sgomento, l'incredulità del giovane atleta che partito perla città bavarese con l'unico obiettivo di onorare i colori della sua bandiera, le note del suo inno nazionale e prima di tutto, i millenari valori di lealtà, fraternità e solidarietà alla base degli ideali olimpici, si trovò improvvisamente al cospetto del più brutale, abominevole e ripugnante dei crimini. Un atto che, se vivessimo in un mondo normale, avrebbe dovuto suscitare un immediato, universale, incondizionato moto di esecrazione. Furono pochi, allora, e anche in seguito, a condividere l'indignazione del campione: il Cio rifiutò di sospendere i giochi nemmeno per un solo giorno, alla cerimonia di chiusura parteciparono tutti — tranne la delegazione israeliana — come se niente fosse successo, e negli anni successivi, non si è mai voluto dedicare una cerimonia in memoria degli atleti massacrati. Mennea ricorda come le richieste di maggiori misure di sicurezza, da parte di Israele, fossero andate disattese, e ricorda anche, con precisione e puntualità, la lunga meticolosa operazione che portò con grande dispendio di energie alla rappresaglia messa in atto dal governo di Gerusalemme e alla eliminazione dei responsabili. La bibbia ammonisce a «non gioire quando il nemico cade», e non può essere motivo di letizia. Ma in quel caso, non si può non esprimere la più assoluta e incondizionata solidarietà verso quegli uomini dei servizi di sicurezza che misero in atto l'operazione «Wrath of God» (Vendetta di Dio). Se si fosse vissuto in un mondo normale, avrebbe dovuto essere l'intera comunità internazionale a rispondere immediatamente. Ma il mondo era in tutt'altre faccende, e le vite degli ebrei, in Germania, solo ventisette anni dopo la caduta del nazismo, evidentemente non valevano più di quanto valessero ventisette anni prima. Israele era solo. Dovette agire da solo, e lo fece. Quella di Israele fu un'azione di giustizia. Il tempo non cancella il ricordo di quella tragica olimpiade. Onore alle dodici vittime e agli uomini dei servizi di sicurezza di Israele che fecero giustizia. E onore al grande Pietro Mennea che a sette anni dalla sua scomparsa ce lo ricorda nelle sue memorie e continua a correre, più veloce della luce.

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