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Corriere del Veneto Rassegna Stampa
06.09.2016 Italia: 8 per mille alle moschee? Sarebbe un passo verso il suicidio
Marco Bonet intervista l'imam Kamel Layachi

Testata: Corriere del Veneto
Data: 06 settembre 2016
Pagina: 6
Autore: Marco Bonet
Titolo: «L'imam: 'L'8 per mille alle moschee, così si combatte l'islam radicale'»

Riprendiamo dal CORRIERE del VENETO di oggi, 06/09/2016, a pag. 6, con il titolo "L'imam: 'L'8 per mille alle moschee, così si combatte l'islam radicale' ", l'intervista di Marco Bonet a Kamel Layachi.

La proposta dell'imam Kalel Layachi - ottenere dallo Stato italiano l'8 per mille - non va nella direzione della lotta all'estremismo islamico ma verso quella del suo rafforzamento. In Italia, come ovunque nel mondo, le moschee sono spesso centri di fanatico proselitismo e spesso centri di reclutamento del terrorismo islamico. Fino a che questa sarà la realtà sarebbe un suicidio contribuire al suo finanziamento con l'8 per mille.

Ecco l'articolo:

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l'imam Kamel Layachi

Meriem che si trasforma e da un giorno all’altro non è più la stessa. Meriem che vive ad Arzergrande, 5 mila anime nel Padovano, ma sogna la Siria e il Jihad globale. Meriem che lascia la scuola e parte, teleguidata come un automa da chissà chi e chissà dove, chiama mamma e papà sotto le bombe e scompare senza che se ne sappia più nulla. Meriem Rehaily, che a vent’anni non vede l’ora di tagliare teste e adesso ha sulla testa un mandato di cattura internazionale, è una ragazza veneta di origine marocchine, «una veneta di seconda generazione» direbbero i sociologi.

Kamel Layachi, invece, è imam nelle comunità islamiche della nostra regione. A lui chiediamo come si spiega la fuga di Meriem, la sua radicalizzazione, e come si può evitare che altri ragazzi partano infatuati dall’idea di uccidere e farsi ammazzare a 3 mila chilometri da qui. «Ho letto con interesse l’inchiesta del Corriere del Veneto che conferma ciò che io e altri imam diciamo da anni: dobbiamo mantenere vivo il contatto con i giovani musulmani che non frequentano le sale di preghiera, creare spazi di ascolto dove possano raccontare il loro disagio, essere aiutati a capire una notizia e interpretare una realtà complessa senza correre il rischio di cadere nella trappola del web e dei manipolatori».

C’è chi pensa che la soluzione sia l’opposto: chiudere le moschee dove si anniderebbe il radic alismo. «Meriem non frequentava la moschea ma la Rete. E lì, vittima di una solitudine che forse non si sarebbe manifestata in questo modo se avesse avuto l’occasione di frequentare giovani musulmani equilibrati e inseriti nella società, ha incontrato manipolatori capaci di fare leva sulle sue fragilità».

Ed è partita. « Viveva una tragica suggestione, convinta com’era che questo fosse “l’Occidente miscredente” mentre l’Isis potesse offrirle un mondo consono e coerente alla sua fede e alla sua identità».

Quali contromisure si possono mettere in atto? «Alla commissione anti radicalizzazione voluta dal governo Renzi dirò che vanno create le condizioni affinché il giovane musulmano possa accrescere il suo senso di appartenenza e lealtà verso l’Italia senza che questo vada a discapito della sua fede religiosa e dei valori che gli sono stati insegnati. Ci vuole un punto di equilibrio».

Come si declina questo obiettivo nella pratica? «Occorre una comunità islamica organizzata, dotata di strumenti adeguati allo scopo. Rilancio la proposta a suo tempo avanzata da D’Alema di destinare anche all’Islam l’8 per mille. Per svolgere al meglio la nostra missione educativa, formativa e di prevenzione abbiamo bisogno di imam preparati e di una logistica accogliente, aperta, alla luce del sole, in cui i ragazzi si sentano a casa, al centro della città, non emarginati in un ghetto, in una banlieu in stile Molenbeek. Solo così potremo essere attori e non solo spettatori della lotta alla radicalizzazione. Più che una proposta, il mio è un grido d’aiuto».

Ma questo ruolo educativo non viene svolto dalla scuola e dalla famiglia? «Dalla scuola, certo, per quel che è di sua competenza. Quanto alle famiglie, la stragrande maggioranza vede genitori poco acculturati, che non hanno studiato, in difficoltà di fronte a figli che quasi non riconoscono più come tali. Molte mamme e molti papà sono analfabeti digitali, non sanno usare internet e pensano che la soluzione sia tenere i loro ragazzi a casa, non farli uscire. Neppure si rendono conto che è il mondo ad entrare in casa: basta accendere il computer in cameretta».

Proprio come ha fatto Meriem.

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corrieredelveneto@corrieredelveneto.it

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