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L'Osservatore Romano Rassegna Stampa
25.01.2019 Menzogna omissiva e demonizzazione di Israele sul giornale della Santa Sede (S.S.)
Nel pezzo di Fabrizio Contessa, che scrive di 'discriminazione dei cristiani in Terra Santa'

Testata: L'Osservatore Romano
Data: 25 gennaio 2019
Pagina: 6
Autore: Fabrizio Contessa
Titolo: «Occasione di fraternità con la Terra Santa»

Riprendiamo dall' OSSERVATORE ROMANO di oggi, 25/01/2019, a pag.6 il commento di Fabrizio Contessa dal titolo "Occasione di fraternità con la Terra Santa".

L'Osservatore Romano riporta con enfasi la "preoccupazione" delle comunità cristiane in "Terra Santa" (il nome con cui i media cattolici sono soliti sostituire "Israele" per non nominarlo neppure) affinché i cristiani non vengano "discriminati". Sosteniamo,scrive OR "i cristiani israeliani e tutti coloro che affrontano la discriminazione, e sosteniamo la loro richiesta di proteggere il pluralismo del paese", che più avanti supera ogni limite e sottolinea che i cristiani in Israele "si ritrovano sistematicamente discriminati ed emarginati".

Il quotidiano della Santa Sede (S.S.) non è nuovo alla disinformazione contro Israele, ma nel pezzo di oggi raggiunge il suo massimo. Da una parte, infatti, sceglie la menzogna omissiva non citando neppure la situazione dei cristiani sotto regimi islamici (a partire da quelli arabi palestinesi di Gaza e Ramallah), dall'altra sostiene che Israele metta in campo politiche di discriminazione anticristiana senza addurre la minima prova a sostegno di questa assurda tesi, e ignorando il fatto che i cristiani israeliani godono di pieni diritti civili e politici come qualunque cittadino dello Stato ebraico.

Ecco l'articolo:

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Una processione di cristiani a Gerusalemme

«Un pellegrinaggio di grande significato utile per andare oltre le letture parziali o incomplete di quanto accade in Terra Santa, che spesso apprendiamo dai media, per conoscere da dentro la realtà in cui vivono gli abitanti, tra i quali anche i nostri fratelli cristiani». E un bilancio positivo quello che don Martin Michalíéek, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (Ccee), traccia del recente pellegrinaggio di solidarietà dell'Holy Land Coordination (Inc), organismo composto da presuli di Stati Uniti, Canada, Europa e Sud Africa. Appuntamento ormai tradizionale che quest'anno, tra il 12 e il 17 gennaio, si è svolto tra Gerusalemme, Haifa e Jenin, passando per il villaggio cristiano di Zababdeh. Confrontandosi sul tema «Cristiani in Israele, sfide e opportunità», i presuli hanno avuto modo d'incontrare, tra gli altri l'arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato di Gerusalemme dei Latini, il nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina, Leopoldo Girelli, le comunità locali, leader religiosi islamici, ebrei, drusi e bahai. Oltre a rappresentanti delle istituzioni culturali e accademiche. Nel documento finale, i 15 vescovi firmatari esprimono «vicinanza» ai cristiani di Israele e fanno propria la «preoccupazione» da loro espressa circa la legge che stabilisce Israele come «Stato-Nazione» del popolo ebraico. «I leader cristiani locali — si legge nella dichiarazione dell'Hlc — hanno segnalato che questa legge crea una "base costituzionale e legale per la discriminazione" contro le minoranze, minando gli ideali di uguaglianza, giustizia e democrazia. Sosteniamo i cristiani israeliani e tutti coloro che affrontano la discriminazione, e sosteniamo la loro richiesta di proteggere il pluralismo del paese». Infatti, viene sostenuto, «i cristiani di Israele desiderano vivere come cittadini a pieno titolo, con i loro diritti riconosciuti in una società pluralista e democratica». Tuttavia, viene osservato, nonostante «il contributo vitale che essi apportano alla società attraverso scuole, ospedali e il coinvolgimento nella vita pubblica cercando di costruire ponti tra le diverse fedi», essi «si ritrovano sistematicamente discriminati ed emarginati» insieme ad «altri cittadini arabi palestinesi e migranti che vivono in Israele». Una preoccupazione, dunque, che, non riguarda solo i cattolici e che acquista un significato particolare anche nel clima che tradizionalmente nel mese di gennaio accompagna la preghiera per l'unità dei cristiani. «Riaffermiamo la nostra solidarietà a tutte le chiese qui presenti — scrivono i presuli dell'Hlc — e preghiamo affinché i cristiani possano lavorare più strettamente insieme nella ricerca della giustizia e della pace». Grave preoccupazione viene anche espressa riguardo alle condizioni della popolazione in Palestina, dove «la sanità, l'istruzione e altri servizi di base per i rifugiati sono sempre più minacciati, esacerbando le continue violazioni della loro fondamentale dignità umana». Questo, sostengono i presuli, «non può essere ignorato o tollerato». Una situazione, viene specificato, «ulteriormente aggravata da gravi tagli ai finanziamenti umanitari da parte del governo degli Stati Uniti». Nella dichiarazione finale del pellegrinaggio, i vescovi lanciano pertanto un appello ai rispettivi governi «perché contribuiscano a colmare le lacune del finanziamento ora affrontate dall'Unrwa, l'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino oriente, e a intensificare i loro sforzi per una soluzione diplomatica, con due stati sovrani democratici di Israele e Palestina in pace, uno accanto all'altro». In questo senso, aggiungono, «rinnoviamo la stima e la vicinanza alle nostre sorelle e ai nostri fratelli che vivono in Terra Santa perché non perdano la speranza e ci impegniamo con la preghiera, il pellegrinaggio e la solidarietà concreta, a mantenere viva questa speranza». Una prospettiva in cui si inserisce la riflessione di don Michalíéek che, alla sua prima partecipazione al pellegrinaggio, si dice «favorevolmente impressionato dal fatto che i nostri cristiani di Terra Santa non cercano tanto un sostegno economico quanto una vicinanza spirituale e morale necessaria per sostenere le sfide che arrivano da una situazione difficile sotto il punto di vista sociale e politico provocata da un conflitto pluridecennale che non vede la fine». I pellegrinaggi, infatti, possono infatti diventare reali occasioni di fraternità. «Da una parte — ha dichiarato il sacerdote slovacco all'agenzia Sir — aiutano economicamente le comunità cristiane locali e dall'altra offrono anche quella vicinanza morale e spirituale di cui hanno bisogno. Per questo è molto positivo l'aumento record dei pellegrini registrato nel 2018». Come Ccee, assicura il segretario generale, «cercheremo di concretizzare questa esperienza attraverso la sensibilizzazione delle Conferenze episcopali europee a gemellaggi con le parrocchie di Terra Santa, ad attivare progetti condivisi a livello religioso e sociale. Ma soprattutto a venire in pellegrinaggio in Terra Santa per conoscerla. Il pellegrinaggio diventa così un segno di vicinanza della Chiesa universale ai fedeli di Terra Santa e un modo per dire loro che non li lasciamo soli nella lotta per i diritti». Concetto ripreso anche da monsignor Rodolfo Cetoloni, vescovo di Grosseto e rappresentante dell'episcopato italiano all'Hlc, per il quale «questi giorni in Terra Santa hanno confermato come sia importante avere un contatto diretto e ripetuto per conoscere meglio le situazioni sul terreno e un confronto diretto con chi ci vive». Anche perché, aggiunge, «ciò che abbiamo visto in questo pellegrinaggio sono anche tante opportunità che provocano e invitano le comunità cristiane locali a riscoprire le loro scelte e le loro radici cristiane». Nella convinzione che «il conflitto, i rifugiati e i profughi, il tema del diritto e dell'autodeterminazione sono questioni storiche, antiche e mai risolte». E che, dunque, «finché non si troveranno delle soluzioni queste resteranno delle radici malate destinate a segnare ancora per molto la vita di questa terra».

 

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