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L'Osservatore Romano Rassegna Stampa
14.12.2018 Menzogna omissiva sul quotidiano ufficiale del Vaticano
I cristiani diminuiscono a Gaza e Betlemme, ma non spiega che il motivo è l'intolleranza islamista

Testata: L'Osservatore Romano
Data: 14 dicembre 2018
Pagina: 5
Autore: la redazione dell'Osservatore Romano
Titolo: «Il difficile Natale dei cristiani - Uniti per Betlemme»

Riprendiamo dall' OSSERVATORE ROMANO di oggi, 14/12/2018, a pag.5, i pezzi redazionali dal titolo "Il difficile Natale dei cristiani", "Uniti per Betlemme".

OR oggi scrive dei cristiani a Gaza e a Betlemme. I due pezzi sono però all'insegna dell'omissione, perché, pur riportando la diminuzione della presenza cristiana nelle due città - una controllata da Hamas, l'altra dall'Anp di Abu Mazen - non ne spiegano il motivo. La ragione della fuga dai territori sotto il controllo arabo palestinese dei cristiani è semplice: l'intolleranza islamista, che a Gaza raggiunge vette di violenza, ma è presente sotto forma di propaganda e violenza psicologica, oltre che limitazione dei diritti, anche sotto l'Anp "moderata". OR sceglie dunque ancora una volta la menzogna omissiva, lasciando credere che la responsabilità per le difficoltà dei cristiani vadano attribuite a Israele.

Ecco gli articoli:

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Gli ultimi cristiani nei territori dominati da Hamas o Anp

"Il difficile Natale dei cristiani"

Nonostante le festività, per i cristiani della striscia di Gaza si profilano giorni difficili. Alle tante altre pesanti sofferenze e privazioni si aggiunge quest'anno il quasi totale rifiuto, da parte delle autorità israeliane, dei permessi per attraversare la frontiera al valico di Erez e raggiungere familiari e amici a Gerusalemme, Betlemme e in altre città della Terra santa per celebrare insieme le festività. Secondo l'organizzazione Middle East Concern, come riferisce l'agenzia Fides, quest'anno le richieste di permesso di viaggio sono state quasi tutte respinte, e sono state accolte solo quelle presentate da persone di età superiore ai 55 anni, molte delle quali, viene però evidenziato, eviteranno comunque di lasciare Gaza, trattandosi per lo più di persone anziane e non in piena salute, che non possono viaggiare se non accompagnate. La comunità cristiana nella striscia di Gaza è molta ridotta. Si stima sia costituita da circa 800 persone, di cui 140 i cattolici, su una popolazione di due milioni di persone, con cui si condividono le enormi privazioni e il clima di perenne conflitto. Negli anni scorsi, molte delle richieste di permesso, presentate sodi Gaza prattutto attraverso i canali del patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme, avevano ottenuto risposta positiva. In occasione delle festività natalizie del 2016, i permessi concessi dalle autorità israeliane ai cristiani di Gaza erano stati più di seicento. Tuttavia, in occasione delle ultime festività pasquali era già stato utilizzato il criterio di concedere permessi solo a persone di età superiore ai 55 anni. Una disposizione che di fatto aveva reso irrisorio il numero di abitanti di Gaza interessati a approfittare dell'opportunità concessa dal governo israeliano. Pur essendo numericamente modesta, la presenza dei cristiani nella striscia di Gaza si distingue però per vivacità e attenzione alle necessità della popolazione. Vengono gestiti infatti un ospedale, una casa per disabili e tre scuole. «Una caratteristica dei cristiani di Terra santa è che non stanno mai con le mani in mano, ma operano non solo per custodire la loro presenza e la loro storia, ma anche per rafforzare le relazioni interreligiose e sociali», ha detto l'amministratore apostolico di Gerusalemme dei Latini, Pierbattista Pizzaballa, al termine della recente visita pastorale compiuta tra i fedeli di Gaza.

"Uniti per Betlemme"

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Una processione presso la Basilica della Natività, a Betlemme

«Fa riflettere che, mentre nel Medio oriente sembra che tutto venga distrutto, a Betlemme qualcosa viene conservato, riabilitato e rivalorizzato» spiega Giammarco Piacenti, parlando del suo lavoro. Dal 2013 la sua azienda, la Piacenti di Prato, è a Betlemme per occuparsi del consolidamento e il restauro della basilica della Natività, simbolo universale per la cristianità, patrimonio universale dell'Unesco, eretta intorno al 330 dall'imperatore Costantino e da sua madre Elena nel punto in cui i fedeli, e poi gli storici, ritennero di aver individuato la grotta in cui Maria diede alla luce Gesù. Il restauro ha ottenuto finora ottimi risultati, ma servono ancora fondi per completarlo. Lo scorso n dicembre a Roma, presso la sede dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, la Bethlehem Development Foundation, con l'ambasciata di Palestina presso la Santa Sede e il patronato del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, si è svolto un evento di beneficenza per rendere noto lo stato dei lavori e raccogliere donazioni. Nei locali storici affrescati dove sono risuonate le note del quartetto d'archi Le Archesse e del soprano Elisa Cenni, si sono alternate voci, immagini, testimonianze e dati che hanno fatto capire la complessità del lungo lavoro di coordinamento che ha portato ad avviare i restauri, coinvolgendo in un disegno di riconciliazione e di pace le comunità cristiane del cosiddetto Status Quo (cattolici, greco-ortodossi, armeno-apostolici), l'Autorità palestinese, diversi donatori internazionali pubblici e privati: l'auspicio espresso è che il 2019 veda la conclusione dei lavori. «Ciascuno di noi — ha detto il cardinale Sandri nel suo intervento — nella vita, anzitutto, ma anche attraverso il contributo che si potrà scegliere di offrire per i restauri, riflettendo la luce di Betlemme è come una di quelle centinaia di migliaia di tessere di mosaici — 1.566.096, come scientificamente mappate dall'eccellente lavoro della ditta Piacenti di Prato, un fiore all'occhiello della nostra Italia nel mondo — con il proprio colore e la propria inclinazione: ma ciascuna di quelle tessere, ciascuno di noi, da solo è nulla; sembrerebbe un pezzettino di pietra o di smalto da scartare. Soltanto stando insieme possiamo formare uno splendido mosaico, quali sono quelli della navata, ma anche dello splendido pavimento che ora è oggetto di intervento, sperando si possa giungere sino alla Grotta». Per la Bethlehem University Foundation sono intervenuti Samer S. Khoury, Mazen Karam, Nafez Husseini e Ziad Al Bandak, ciascuno illustrando i progetti della Fondazione, la sua storia, i lavori nella basilica della Natività e quanto ancora lì resta da fare. Il reverendo Jamal Khader ha offerto una breve riflessione su come di Medio oriente, Terra santa, Palestina e Israele si parli spesso come di un luogo di tensione e conflitto, mentre non si parla altrettanto spesso di un'iniziativa come quella che è stata avviata. Un piano condiviso che ha reso possibile un concorso internazionale di progettazione e sostegno, grazie alla collaborazione tra le chiese e il dialogo tra cristiani e musulmani (ma anche con la componente ebraica in Israele nel caso di altri restauri, quelli dell'Edicola del Santo Sepolcro). Tutti temi che fanno parte della vita di tutti i giorni in Terra santa, e che confermano la vocazione di Betlemme a simbolo di pace, luogo in cui all'accensione del grande albero di Natale si ritrovano insieme pellegrini e cittadini locali, cristiani e musulmani, tutti in attesa della festa della nascita di Cristo, Verbo della Vita. Betlemme, dunque — proprio come era nel desiderio del fondatore della Bethlehem Development Foundation, Said Khoury — come città ugualmente chiamata a una vocazione universale di pace e riconciliazione dei popoli. L'ambasciatore di Palestina presso la Santa Sede ha infine ricordato la recente visita del presidente Mahmoud Abbas al Papa e il tema, discusso durante i colloqui, della conclusione dei lavori nel 2019, con l'auspicio che il Natale dell'anno prossimo sia una chiamata alla grande preghiera per una pace giusta in Terra santa, e insieme, la data della benedizione ufficiale della basilica rinnovata — che pure è sempre rimasta aperta alle centinaia di migliaia di pellegrini in questi anni — creando un ponte con la basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, ove la tradizione vuole siano conservate le reliquie della culla di Gesù. All'appuntamento, oltre ai benefattori, erano presenti il rappresentante della custodia di Terra santa, il francescano Ibrahim Faltas, due sacerdoti del patriarcato latino di Gerusalemme, monsignor Ionut Strejac, officiale della sezione per i rapporti con gli stati della Segreteria di stato, e don Kuriakose Cherupuzhathottathil, officiale della Congregazione per le Chiese orientali.

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