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L'Osservatore Romano Rassegna Stampa
16.01.2018 Menzogna omissiva sull'Osservatore Romano
A proposito delle dichiarazioni ipocrite di Abu Mazen

Testata: L'Osservatore Romano
Data: 16 gennaio 2018
Pagina: 1
Autore: la redazione dell'Osservatore Romano
Titolo: «Abbas denuncia la fine degli accordi di Oslo»

Riprendiamo dall' OSSERVATORE ROMANO di oggi, 16/01/2018 a pag.1, l'editoriale "Abbas denuncia la fine degli accordi di Oslo".

Come abbiamo già sottolineato ieri su IC (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=69124) Abu Mazen afferma - e non è la prima volta - la fine degli accordi di Oslo che avrebbero dovuto portare all'esistenza di due Stati in pace e sicurezza entro confini chiari e stabiliti. Oslo è naufragata in realtà perché la dirigenza araba palestinese ha sempre rifiutato, a partire da Arafat, ogni genere di proposta avanzata da Israele. Le parole di Abu Mazen, dittatore "moderato", sono perciò ipocrite. Ancora oggi manca il riconoscimento di Israele quale Stato degli ebrei da parte palestinese. Si può dialogare con chi nemmeno ti riconosce?

L' Osservatore Romano mette in grande risalto le dichiarazioni di Abu Mazen, in prima pagina, dando per buona la sua versione e ignorando invece l'opinione del governo e delle istituzioni israeliane. Ancora una volta OR è dunque fazioso, operando in base al principio della menzogna omissiva: disinformare scegliendo che cosa scrivere e che cosa ignorare sistematicamente. Chi lavora al "dialogo ebraico-cristiano" è cordialmente invitato a tenere presente la costante disinformazione che caratterizza gli organi di stampa del Vaticano.

Ecco l'articolo:

Immagine correlata
Abu Mazen

 

“Israele ha posto fine agli accordi di Oslo”. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha usato queste parole intervenendo, ieri a Ramallah, al Consiglio centrale dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina). Abbas ha criticato la decisione statunitense di riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele, annunciata dal presidente Donald Trump lo scorso 6 dicembre. «Abbiamo detto no a Trump, non accetteremo il suo progetto». I palestinesi, ha aggiunto Abbas, «hanno ricevuto uno schiaffo in faccia da Washington. Non accetteremo più alcuna mediazione americana». Le dure parole di Abbas arrivano al termine di un periodo segnato da un'escalation di violenze scattate proprio dopo la decisione su Gerusalemme. Negli ultimi giorni sono decine i feriti palestinesi in Cisgiordania negli scontri con la polizia israeliana. E nelle prossime ore la tensione potrebbe ulteriormente salire: domani, infatti, l'amministrazione Trump dovrebbe annunciare la drastica riduzione dei fondi all'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi palestinesi. I contributi dovrebbero scendere dagli attuali 125 milioni di dollari a non più di 6o. Trump aveva motivato il taglio affermando che i palestinesi «non vogliono un accordo con Israele». Abbas, all'epoca a capo del dipartimento per i negoziati dell'Olp, è stato uno dei principali artefici — insieme all'ex ministro degli esteri, premier e presidente israeliano Shimon Peres — dei cosiddetti accordi di Oslo che nel 1993 sancirono non solo il reciproco riconoscimento tra Israele e Olp, ma anche la nascita dell'Autorità palestinese, che voleva essere il primo nucleo di un futuro stato palestinese autonomo in grado di vivere in sicurezza e pace accanto a Israele.

Gli accordi di Oslo furono la tappa culminante di un processo iniziato con la conferenza di Madrid nel 1991 e di lunghi negoziati svolti grazie alla mediazione della Norvegia. In sostanza, le intese prevedevano il ritiro delle forze israeliane da alcune aree della striscia di Gaza e della Cisgiordania, e affermavano il diritto palestinese all'autogoverno in tali aree per un periodo di cinque anni in vista di un accordo definitivo per la soluzione del conflitto. Negli anni, tuttavia, gli accordi di Oslo sono lentamente entrati in crisi, nonostante i numerosi tentativi di rilanciarne lo spirito. I negoziati tra israeliani e palestinesi sono ormai fermi da almeno tre anni. Commentando le dichiarazioni di Abbas, Mahmud Al Aloul, vicepresidente di Al Fatah (forza maggioritaria dell'Olp), ha precisato che nei prossimi due giorni il Comitato centrale dell'Olp dovrà prendere una serie di decisioni critiche e fra queste vi è la sospensione del riconoscimento palestinese di Israele. «Saranno decisioni difficili, ma responsabili» ha anticipato Al Aloul. «Il popolo palestinese ha grandi aspettative e noi dobbiamo tenerne conto poiché siamo giunti a un bivio per la questione nazionale palestinese». Nel frattempo, Israele mantiene elevata la pressione nei confronti di Hamas, il movimento palestinese (che non fa parte dell'Olp) che controlla la striscia di Gaza. La scorsa notte l'aviazione israeliana ha pesantemente colpito un'area vicina a Rafah (nel sud della Striscia) dove si trovava un tunnel scavato da Hamas sotto al valico commerciale di Kerem Shalom. Si tratta del principale punto di approvvigionamento per i due milioni di abitanti della Striscia, che ora sarà chiuso per motivi di sicurezza. Un altro tratto del tunnel, lungo complessivamente un chilometro e mezzo, è stato distrutto dal genio militare in Israele. Un terzo tratto ancora, che si spingeva entro il Sinai settentrionale, è stato segnalato alle autorità egiziane. Secondo un portavoce militare il tracciato della galleria passava sotto i depositi di carburante e di gas di Kerem Shalom, approntati a beneficio degli abitanti di Gaza. Fra i pericoli ipotizzabili una gigantesca esplosione al valico, l'infiltrazione di unità palestinesi per la cattura di prigionieri israeliani e il contrabbando dal Sinai verso Gaza di armi sofisticate. Hamas, dal canto suo, ha accusato Israele di essere responsabile di un attentato dinamitardo compiuto ieri a Sidone, in Libano, e nel quale è rimasto ferito un membro del gruppo palestinese.

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ornet@ossrom.va

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