lunedi` 20 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Tuttolibri Rassegna Stampa
16.09.2012 I miei scrittori
Viaggio in Israele con Elena Loewenthal

Testata: Tuttolibri
Data: 16 settembre 2012
Pagina: 6
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Nella città di pietra nella città di sabbia»

Riportiamo da TUTTOLIBRI della STAMPA a pag. VI, l'articolo di Elena Loewenthal dal titolo "Nella città di pietra nella città di sabbia".


Elena Loewenthal

Appena è sceso al di là delle colline, verso l’invisibile occidente, viene un soffio di vento fresco, quasi algido - anche d’estate: spazza via la luce nitida del giorno e ne porta un’altra, pastosa e spessa, che dura fino al buio della notte e muore adagio, di malavoglia.

Di tutti i contrasti di cui la terra d’Israele è assai generosa, quello fra Tel Aviv e Gerusalemme è il più assurdo, sconcertante, travolgente. Le due città sono separate da una sessantina di chilometri di superstrada. Quando si comincia a salire, sul ciglio compaiono le carcasse di alcuni mezzi blindati: memoria della guerra d’Indipendenza, nel 1948, e delle vittime che lungo questa strada diventavano bersaglio dei cecchini nemici. Le carcasse metalliche sono ormai quasi mimetizzate nella folta vegetazione di pini. Boschi e boschi, primadiarrivarealluogocheper la tradizione ebraica sta più in alto di chiunque altro, anche dell’Everest. Gerusalemme è un nome duale, in ebraico. Significa «città della pace» ma la parola ne indica due: una del cielo e una della terra. La Gerusalemme che compare alla vista dopo la salita, abbarbicata qua e là sulle alture, è un po’ l’una e un po’ l’altra: città di materia e di storia, precipitato di nostalgia. Gerusalemme è una città doppia, gravida di sé e della propria vocazione alla santità. Racchiude in uno spazio minimo un concentrato di fedi: la moschea e il santuario della roccia sulla spianata, il muro del pianto lì addossato, il calvario e il santo sepolcro a quattro passi. In mezzo, la vita: i quattro quartieri - ebraico, arabo, cristiano e armeno - della Città Vecchia, il mercato che brulica, gente e volti che passano senza sosta, più o meno incuranti a vicenda. A Gerusalemme, malgrado tutto, si vive e si convive. Fuori dalla Città Vecchia, gli altri volti di Gerusalemme. Quello ad Est, arabo. Qua e là, i quartieri ebraici moderni: Rehavia e Moshavà Ghermanit con il loro sospiro intellettuale, Meah Shearim con il suo squallore affascinante che ti precipita nei borghi ebraici del Nord Europa di qualche secolo fa. Per me c’è anche, forse soprattutto, la Gerusalemme di Amos Oz, intorno a via dei Profeti, e la casa della sua infanzia, addossata alla roccia umida.

Se Gerusalemme è città di pietra, e di una pietra che quando riflette la luce la moltiplica, la espande, la ammorbidisce, Tel Aviv è città di sabbia, costruita con e sulla sabbia. Se Gerusalemme è eterna ma tremendamente fragile, Tel Aviv fa spalluce al tempo e pianta le unghie nella

sabbia che spunta fuori ovunque, per terra: dagli interstizi del marciapiede, fra le dita dei piedi nei sandali anche se stai passeggiando per un viale del centro.

Tel Aviv è stata fondata nel 1909 da un gruppo di ebrei che risiedevano a Giaffa e ne pativano l’affollamento, le malsane condizionidivita.Compraronounlotto di sabbia - dune cangianti dove qua e là spuntava un austero arbusto - e una mattina di aprile si sorteggiarono i lotti. Nel giro di breve tempo al posto della sabbia - anzi sopra di essa - c’erano delle villette, un unico lampione sotto il quale ci si trovava la sera dopo aver comprato la gazzosa al chiosco,esoprattuttoilliceoHerzliya, primo edificio pubblico della città chiamata «Collina di Primavera» (Tel Aviv). I primi studenti, che saranno la classe dirigente dell’yishuv, cioè lo stato ebraico con tutte le sue strutture e istituzioni, prima che nel 1948 nascesse ufficialmente, andavano a scuola tenendo i sandali in mano, e usavano una specie di marciapiede di legno, posto sopra la sabbia. Oggi, al posto del liceo c’è la torre Shalom, un grattacielo che è stato a lungo il più alto del Medio Oriente: adesso sembra un nanerottolo, in mezzo a tanti altri che lo guardano sdegnosamente dall’alto. Nell’atrio si trova un piccolo memoriale alla Tel Aviv che non c’è più: un plastico della città ai suoi albori, un mosaico di Nahum Gutman, che l’ha vissuta, raccontata e disegnata con pacato amore, e quel lampione di allora.

Se Gerusalemme è città di pietra, duale - ancorata tanto al cielo quanto alla terra -, Tel Aviv è inafferrabile nel suo pluralismo. Babele di lingue diverse che s’incrociano agli angoli di strada, di volti e colori diversi nelle facce. Città frenetica dal traffico insop-

portabile, eppure fitta di angoli quieti: merito anche degli immensi ficus che ombreggiano i viali e sospirano con la rassegnazione dei vecchi. Città di mare, dove tutto comincia e finisce, ma anche di agrumeti che s’affacciano al centro urbano. Città di conflitti sociali e pacificazioni - è stata di recente qualificata come la più gay friendly del mondo. Città nuova, anzi nuovissima - che cos’è un secolo, per una città? - eppure con una sua storia, un passato che affiora nella vetrina di qualche scalcinata bottega di via Diezengoff, nell’agglomerato di case Bauhaus - concepito da un manipolo di architetti profughi dalla Germania, è la cifra stessa di questo luogo tanto mediorientale quanto europeo, tanto reale quanto letterario. I miei scrittori, da Yaakov Shabtai a Yoram Kaniuk, amano raccontarla quando piove, d’inverno: il cielo s’incupisce all’improvviso, passano le nuvole, si fermano e scaricano un’acqua densa. Tutto succede in fretta. D’estate, a Tel Aviv fa molto caldo - ma c’è il mare che tratta l’afa con ironia, con un’aria di sufficienza.

GerusalemmeeTelAvivsonoi due estremi d’Israele, sacro e profano, fedeltà e trasgressione, passato e presente. All’apparenza si ignorano, come se l’una esistesse in un mondo senza l’altra. E invece si contagiano, dialogano in un incessante battibecco. E la terra d’Israele sta a guardare, con quella sua antica saggezza che è il frutto di una natura oltranzista più degli umani: niente sfumature, solo opposti che s’incontrano a distanza ravvicinata, colori nitidi come appena creati, paesaggiinincessanteondulazione fra passato e futuro, incuranti del presente.

Per inviare la propria opinione a Tuttolibri, cliccare sull'e-mail sottostante


tuttolibri@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT