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IL Rassegna Stampa
22.08.2014 Quando la critica a Israele diventa antisemitismo, le ragioni del sionismo, Gaza prigioniera di Hamas
Commenti di Christian Rocca, Sofia Ventura, Rolla Scolari

Testata: IL
Data: 22 agosto 2014
Pagina: 21
Autore: Christian Rocca - Sofia Ventura - Rolla Scolari
Titolo: «Criticare Israele si può, ma così è nuovo antisemitismo - Perché non possiamo non dirci sionisti - Il dramma di Gaza e l'esausta ricerca della normalità»
Riprendiamo da IL , supplemento al SOLE 24 ORE di oggi,  22/08/2014, a pagg. 21-22 l'articolo di Christian Rocca dal titolo " Criticare Israele si può, ma così è nuovo antisemitismo", a pagg. 22-23 l'articolo di Sofia Ventura dal titolo " Perché non possiamo non dirci sionisti " , da pag. 23 l'articolo di Rolla Scolari dal titolo " Il dramma di Gaza e l'esausta ricerca della normalità".



Manifestanti anti-israeliani a Parigi

Di seguito l'articolo di Christian Rocca, al quale diamo un meritato bentornato:

Christian Rocca

Non si leggono mai appelli ad Hamas e simili affinché smettano di lanciare razzi, praticare violenza e diffondere odio antiebraico. Non è credibile che tutti i governi israeliani dal 1948 a oggi, di destra e di sinistra, siano stati criminali. Forse c'è altro di Christian Rocca Mai un appello di intellettuali occidentali rivolto ad Hamas o ad Al Qaeda o agli Ayatollah affinché rinuncino alla violenza, all'odio razzista, ai missili, ai kamikaze, al terrorismo. Mai. Nemmeno un tweet. Gli intellettuali.oceidentall si appellano solo a Israele, perché si ritiri, perché rimuova l'embargo, perché fermi l'esercito. E poi boicottano. Boicottano gli studenti israeliani, i professori Israeliani, anche le aziende israeliane di acqua gassata. In teoria, ma solo in teoria, tutto questo potrebbe anche avere un senso perché Israele è un Paese democratico con un'opinione pubblica che può influenzare le scelte del governo, mentre le altre sono organizzazioni terroristiche di stampo religioso non particolarmente sensibili alle prediche peace&love. Ma è inutile girarci intorno: l'antisionismo è il nuovo antisemitismo. E una versione aggiornata, ipocrita e politicamente corretta dell'antico pregiudizio antiebraico ben radicato a destra come a sinistra nella tradizione europea. Non c'è altro esempio di Paese messo in discussione in quanto tale. Non c'è altro esempio di Stato circondato da nemici che non ne riconoscono l'esistenza e da detrattori internazionali che lo mettono costantemente in discussione. Non c'è altro esempio di nazione criticata perché si difende da attacchi continui e ripetuti contro la sua popolazione e nonostante sia sempre pronta a deporre le armi. come ha già fatto, nel momento esatto in cui le autorità vicine smettano di voler spillare sangue al «porci» e alle «scimmie. ebree. Certo che è lecito criticare il governo di Israele. come quello di qualsiasi altro Paese. Certo che è giusto piangere le troppe vittime civili di un conflitto armato drammatico c infinito. Epperò quando si criticano le politiche russe o tedesche o siriane o iraniane o nordcoreane nessuno nega ll diritto di russi, tedeschi, siriani, iraniani o nordcoreani a vivere serenamente in uno Stato, fianco a fianco con vicini rispettosi e pacifici. Nessuno vuole cancellare la Russia, la Germania, la Siria, I'lran o la Corea del Nord dalla canina geografica. Nessuno li chiama con disprezzo «entità» né definisce «razzlsta» con egida Onu il diritto alla loro esistenza. Qual è dunque la differenza tra le critiche a questi e altri Paesi e quelle a Israele? Una soltanto: Israele è lo Stato degli ebrei. Come è possibile, inoltre, criticare il governo di Israele sempre, comunque e in ogni occasione, quando è di sinistra ma anche quando è di destra, quando è di unità nazionale e quando è di minoranza, quando cerca la pace con i vicini e quando non si fida degli interlocutori? Possibile che questo governo sia sempre criminale, ogni singolo giorno dell'anno dal 1948 a oggi? Che cosa nasconde la critica indistinta e imperitura al «governo di Israe• Il trionfo e la tragedia di un Paese cinico e crudele anche perché assediato da chi vorrebbe una Palestina Judenfrei *** le» sia che lo guidi Begin sia che lo guidi Rabin, quando 11 leader è Sharon e quando lo è Peres, se al potere c'è Barak e anche se c'è Netanyahu? Delle due l'una: o dietro questa fanatica e ingiustificata ossessione anti israeliana ci sono le ultime scorie ideologiche delle dottrine comuniste, antimperialiste e antiliberall oppure, appunto, è una critica radicata nell'antisemitismo. In entrambi i cast siamo In zona spazzatura della storia, e senza necessità di raccolta differenziata. Ai firmatari degli appelli contro lo Stato ebraico evidentemente non importa che Harnas abbia come obiettivo principale dl-struggere Israele, instaurare la Legge Islamica e proclamare una Palestina Judenfrei. Non gli interessa che le guerre mediorientali di aggressione araba siano cominciate il giorno stesso della proclamazione all'Onu dello Stato di Israele. Non gli risulta che lo Stato palestinese non sia nato, contemporaneamente a quello israeliano come previsto dalla risoluzione Onu 181, per espressa scelta dei Paesi arabi che invece hanno preferito attaccare gli ebrei per provare a impedire la nascita di Israele. Non importa che da sessantasei anni Israele non faccia altro che difendersi e per questo sia diventato più che sospettoso dei suoi interlocutori e vieppiù arrogante, spietato e crudele con i nemici (sul trionfo e la tragedia di Israele leggete My Promised Land del giornalista pacifista israeliano dl Haaretz Ari Shavit e scaricate la nuova serie tv della Bbc The Honorable Woman con Maggie Gyllenhaal). Ma che deve fare, Israele, farsi gentilmente annientare? Gli israeliani, per i firmatari degli appelli, non si possono difendere del tutto, non devono esercitare la loro superiorità militare, forse dovrebbero morire un po' di più in modo da pareggiare i conti con le vittime dell'altra parte. L'ebreo buono è sempre quello che muore, e non è nemmeno detto. In L'eterno antisemita, Henryk Broder cita uno psichiatra Israeliano, Zvi Rex, che offre una spiegazione apparentemente paradossale e grottesca del rancore e del risentimento occidentale contro gli ebrei noto come "antisemitismo secondario": «I tedeschi non perdoneranno mal gli ebrei per Auschwitz». Qui i tedeschi non c'entrano niente, ma su certi intellettuali da appello meglio non scommettere.

Di seguito, l'articolo di Sofia Ventura:



Sofia Ventura


La colpa dello Stato ebraico, agli occhi dei tanti odiatori, è di essere nato. Un giudizio che si basa su ignoranza dei fatti e un sentimento che ha radici da dimenticare di Sofia Ventura Lo Stato di Israele è parte della storia europea, delle sue tragedie e rivolgimenti, così come di quella del Medio Oriente, della sua instabilità e complessità. Cosi è se volgiamo lo sguardo agli ultimi due secoli. Eppure esso è percepito in parte dell'opinione pubblica occidentale come un "disturbo" della Storia, fonte di problemi in virtù della sua colpa originaria: essere nato. I drammi e le sofferenze che hanno connotato il farsi dl altri popoli, il sorgere di altre entità statuali sono ricondotti al corso della storia e il giudizio non inficia la legittimità dell'esistenza. Cosi non è per Israele. ll sionismo non gode della stessa legittimità di movimenti nazionali che sorgono nella stessa epoca (ultima parte del XIX secolo) in Europa. Nel discorso comune, così come in quello di intellettuali, politici e organizzazioni sovranazionali, è identificato con l'idea di un'usurpazione violenta, colonialista e razzista (nel 1975 l'Onu definisce il sionismo «una forma di razzismo»). Come se la storia nel suo farsi concreto non contasse. Allo stesso modo la cronaca inserisce il conflitto israelo-palestinese nella narrazione di uno Stato usurpatore contro un popolo inerme depredato della propria terra, con l'uso di concetti che trasfigurano la realtà come quelli di "genocidio" o "crimini di guerra". E in occasione del riaccendersi del conflitto che dall'Onu giunge l'accusa di «aver commesso possibili crimini di guerra», con riferimento alle numerose vittime civili fra i palestinesi (ma che differenza passa, allora, tra crimini e atti di guerra che inevitabilmente provocano vittime?). Il trattamento riservato a Israele si fonda sull'ignoranza di molti fatti. Da parte di noi europei si dimentica che il sionismo politico - dare una terra al popolo ebraico - nasce come risposta all'ondata di antisemitismo (e La storia impone valutazioni più equilibrate e che non arrivi al punto di banalizzare la Shoah di pogrom) che scosse l'Europa a partire dagli anni Ottanta dell'Ottocento. Si dimentica che Israele non nasce come l'invasione da parte di una qualche potenza di uno Stato abitato da un popolo, ma da progressive migrazioni (aIlyot) in un territorio dell'impero ottomano (poi mandato britannico) abitato da arabi; che gli Insediamenti prendono forma anche attraverso accordi con le autorità locali e acquisti di terre incolte e che se di colonizzazione si vuole parlare, non cl si deve riferire al colonialismo delle potenze europee, ma piuttosto al movimento di coloni in cerca di una vita normale (in un'epoca dove la colonizzazione era accettata come legittima). Si dimentica anche che da parte delle autorità arabe, di fronte alla presenza di popolazione ebraica nei territori palestinesi (circa mezzo milione di persone alla vigilia della Seconda guerra mondiale), si rifiutò, anche prima della risoluzione dell'Onu del 1947, di trovare una soluzione nella creazione di entità politiche separate e si preferì aizzare la popolazione arabo-palestinese contro gli ebrei e poi, nel 1948, quando i Paesi arabi attaccano il neonato Stato. farne massa di manovra istigandola ad abbandonare le proprie terre. Ma i fatti, che consentirebbero valutazioni più equilibrate, non possono molto contro un odio che porta a utilizzare criteri di giudizio platealmente diversi per Israele e per quanto accade anche solo in altri Paesi dell'area e che è giunto a banalizzare la Shoah, sia paragonando gli israeliani ai nazisti, sia con l'accusa (grottesca se si conosce la tragica complessità del rapporto di Israele con la distruzione degli ebrei d'Europa) di un uso strumentale dello sterminio per legittimarsi davanti al mondo. Ma questa banalizzazione, che tende a rovesciare la colpa, insieme alla visione distorta degli eventi, ci dicono che, forse, lo sguardo ostile verso Israele che ancora alberga negli occhi di tanti occidentali ancora esprime quel sentimento di diffidenza e paura verso un popolo diverso e particolare che Abraham Yehoshua pone alle radici dell'antisemitismo. Un sentimento che permane anche di fronte alla soluzione "normalizzante del sionismo, paradossalmente, ma non troppo, perché quella soluzione ha dato a quel popolo una nuova forza, quella dello Stato.

Di seguito, l'articolo di Rolla Scolari:


Rolla Scolari

Quando Israele si è ritirato, la popolazione della Striscia sperava in un futuro diverso, ma è rimasta intrappolata in un fuoco incrociato che sembra non voler finire mai di Rolla Scolari Qualche settimana prima del ritiro israeliano, nell'estate del 2005, per le strade del centro di Gaza erano stati appesi cartelloni da ente del turismo di una qualsiasi cittàdi mare. La scritta diceva qualcosa come: «Gaza, riprendiamoci la nostra gemma». Sullo sfondo, c'erano il Mediterraneo e la spiaggia, la stessa dove nei giorni di guerra, appena unatraballante tregua lo permette, gli abitanti cercano rifugio dalla tragica realtà del combattimenti. Pochi mesi dopo, in seguito allo sgombero di oltre settemila israeliani dai 21 Insediamenti della Striscia e il passaggio della sovranità all'Autorità nazionale palestinese, la nuova leadership ha aperto per la prima volta il valico con l'Egitto, per poche ore. Migliaia di palestinesi si sono riversati gioiosi nella parte egiziana della cittadina di Rafah. Sono rientrati a sera, con pacchi di biscotti, stecche di sigarette, una lavatrice, un abito da sposa: pezzi di una banale normalità che negli anni gli abitanti della Striscia non hanno mai avuto e mai ritrovato, intrappolati nel fuoco incrociato di un conflitto che continuerà a rigenerarsi ciclicamente - o almeno così promettono nella loro freddezza le analisi dei giornali internazionali. Dal 2007, da quando il gruppo islamista Ha-mas controlla Gaza, Israele ha imposto un blocco delle frontiere e, dall'altra parte, lo stretto controllo egiziano del confine meridionale sigilla la Striscia, rendendo ardua l'entrata di materiali e il passaggio di persone in quella fetta di territorio costiero lunga 40 chilometri - la distanza tra Bergamo e Milano - e larga dieci - dal Colosseo al Grande raccordo anulare. Il bene che più manca è la libertà di prendere e andarsene. Lo raccontano soprattutto I più giovani, alcuni dei quali ti sorprendono con un perfetto inglese e la sconvolgente rivelazione di non essere mai usciti da quei 36o chilometri quadrati di case In cemento grigio, governati Una generazione araba stremata, costretta a vivere (e a morire) senza contatti con il mondo esterno dall'ipocrisia di un gruppo armato che lancia razzi dai loro cortili e puniti dai bombardamenti israeliani per una scelta mai avuta. Più della metà della popolazione di Gaza ha meno di i8 anni e questo dato fotografa come l'infanzia e l'adolescenza di un'alta percentuale dl abitanti sia stata marcata soltanto da conflitti, in cul le scene di palazzine crollate su famiglie ed esplosioni sulla spiaggia dei bambini sl sostituiscono con terrificante ricorrenza a un'agognata normalità, fomentando nuovi odi. In sette anni, cl sono state una guerra intestina tra palestinesi, due operazioni di terra israeliane, una campagna aerea e migliaia di morti civili. Nel 2007, Hamas ha conquistato militarmente Gaza. Negli scontri con altre fazioni arabe sono morte centinaia di persone. Nel dicembre 2008, Israele, per fermare il lancio di razzi sul sud del paese, ha risposto con l'operazione Piombo Fuso - via aria e via terra - che in 22 giorni ha causato la morte di oltre mille persone. Nel 2012, per lo stesso motivo, l'aviazione israeliana ha bombardato per giorni Gaza. I morti sono stati circa 160. Oggi, ancora una volta dopo un lancio di razzi, la risposta israeliana ha ucciso oltre 1.400 persone e ne ha obbligate zoomila a lasciare le proprie case in quei quartieri roccaforte di Hamas nel cui sottosuolo s'intersecano le gallerie d'attacco a Israele, costate migliaia di dollari nonostante 40mila funzionari pubblici non ricevano lo stipendio da mesi. La popolazione di Gaza è esausta, ferita da morti e distruzioni di un conflitto sempre più disumanizzato, dove gli unici israeliani in carne e ossa che gli abitanti hanno visto negli anni sono quelli in uniforme verde durante le incursioni di terra. E se sulla ristretta finestra dei social media l'indignazione contro Israele lascia ogni tanto spazio alla semplicità di frasi come «voglio soltanto una vita normale», dietro alle affiliazioni politiche, alla retorica della "resistenza" c'è una costante linea di fondo: il desiderio di routine, di mamme in attesa dei figli davanti alle scuole, di supermercati aperti. «I negozi sono chiusi anche a Sderot? Avranno problemi anche loro», chiedeva durante le bombe del 2012 ad alcuni giornalisti un commerciante di Gaza, riferendosi alla vicina città israeliana su cui piovono da anni i razzi palestinesi. La sua curiosità nei confronti dei "nemici" rivelava la pragmatica necessità comune di un ritorno al «business as usual"

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