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Europa Rassegna Stampa
20.01.2006 L'atomica iraniana sarebbe un rischio anche per gli arabi
parola di Walid Jumblatt

Testata: Europa
Data: 20 gennaio 2006
Pagina: 2
Autore: Imma Vitelli
Titolo: ««Teheran è l’incubo di Beirut»»

Imma Vitelli intervista su Europa di venerdì 20 gennaio 2006 il leader druso libanese Walid Jumblatt che rivela quanto il programma nucleare (non certo pacifico) iraniano preoccupi anche il mondo arabo:

  «Gli iraniani ce la faranno ad avere la bomba atomica. E quando ce l’avranno, il mondo arabo sarà f inito». Walid Jumblatt non è di buon umore. Fa freddo sulle montagne dello Shouf, e anche dentro il castello ottomano di Mukhtara l’atmosfera è invernale. La primavera di Beirut è lontanissima, e non è solo una questione di stagioni.
Soltanto qualche mese fa, la residenza del capo dei drusi libanesi era sotto le luci dei riflettori: l’omicidio dell’ex premier Rafiq Hariri aveva scatenato l’intifada libanese, che a sua volta aveva provocato il ritiro delle truppe siriane dopo un’occupazione di 29 anni. All’epoca, sembrava davvero che il Libano potesse diventare quel modello di democrazia araba sfuggente in Iraq. Ma questi mesi sono stati impietosi: bombe hanno falciato politici, giornalisti e intellettuali. La gente ha paura.
Dalla Mukhtara esce una delegazione del Congresso Usa, ma i visitatori americani a Walid Jumblatt non hanno fatto spuntare un sorriso: «I neocon non sono più al potere a Washington, purtroppo lo sono a Teheran. E ciò per il Libano è una bruttissima notizia», dice in un’intervista a Europa il filiforme politico libanese.
Perché egli teme le ambizioni atomiche di Teheran è presto detto: il suo nemico numero uno è il presidente siriano Bashar Assad, il quale è però anche l’alleato numero uno del raìs persiano Mahmud Ahmadinejad, da ieri in visita ufficiale a Damasco (la sua prima bilaterale).
Il problema di Walid J umblatt è che i mullah controllano e f inanziano, assieme al regime alawita, la milizia sciita Hezbollah. Ci sarebbe una risoluzione dell’Onu che ne chiede il disarmo, ma il fragile governo libanese non ha la forza per metterla in pratica. Da qui il pellegrinaggio dei congressmen americani alla Mukhtara e alla corte di altri politici libanesi. Giacché disarmare gli Hezbollah significherebbe non solo amputare gli artigli ai più stretti alleati della Siria nel paese; avrebbe anche il risultato di rimuovere i missili a lungo raggio puntati su Israele come deterrente, hai visto mai allo stato ebraico venisse in mente di bombardare le centraline nucleari iraniane.
In ballo ci sono, insomma, i futuri equilibri della regione e Jumblatt teme «che alla fine il Libano finisca ancora una volta per essere la pedina di scambio nel suq mediorientale».
Lo teme a tal punto che dall’ultima autobomba, quella che il 12 dicembre scorso uccise Gebran Tueni, editore, giornalista e grande amico del leader druso, da allora Jumblatt rilascia dichiarazioni incendiarie.
È vero, chiediamo, che ha detto al Washington Post che l’America dovrebbe fare in Siria ciò che ha fatto in Iraq? «Non sono un ipocrita.
L’ho detto e lo penso. Lei vorrebbe vivere in un Medio Oriente sotto il giogo di iraniani e siriani?» L’incubo del signore della Mukhtara, è che alla fine la Siria ce la   faccia a riallungare i suoi tentacoli sul Libano, e che americani e francesi, finora sponsor principali dell’indipendenza di Beirut, finiscano col farsi distrarre dal più pressante file iraniano. Nelle scorse settimane si è poi parlato molto di un piano egiziano-saudita per salvare la testa di Bashar Assad dalle maglie dell’inchiesta Onu sul delitto Hariri.
Clamoroso è stato, soprattutto, il voltafaccia di Riyadh: a fine dicembre, dopo tutto, fu la tv finanziata dai Saud, al Arabiya, ad ospitare il j’accuse del vice presidente siriano Abdel Halim Khaddam contro il regime di Assad. Nel giro di pochi giorni, però, le interviste che Khaddam doveva rilasciare ad altri media di proprietà saudita sono state cancellate; e la stessa fine ha fatto un testa a testa con Jumblatt in programma sempre su al Arabiya. «Credo che Bashar abbia ricattato sauditi ed egiziani.
Che abbia detto loro “guardate che dopo di me ci sono i Fratelli musulmani”. Credo anche che abbia spaventato i sauditi minacciandoli di colpirli attraverso al Qaeda, che guarda caso la Siria controlla in Iraq».
Jumblatt è convinto che il voltafaccia sia dovuto a una divergenza di opinioni interna alla famiglia reale: «Il ministro degli esteri (Saud al Faisal, ndr) è uno che ha l’ossessione della stabilità e per questo sostiene lo status quo. Bandar bin Sultan (ex ambasciatore a Washington oggi a capo del consiglio per la sicurezza nazionale, ndr) è invece meno rigido. Per fortuna il piano egiziano saudita è fallito, e per questo dobbiamo ringraziare ancora una volta Condoleezza Rice e Jacques Chirac». Non che adesso il lord dei drusi sia tranquillo: «Un modo efficace per far sapere agli arabi che le loro attenzioni non sono gradite sarebbe la creazione di un tribunale internazionale sul delitto Hariri, con il potere di interrogare le persone sotto inchiesta, come Bashar Assad, per esempio». Sarebbe un segnale forte all’insegna dell’illegalità internazionale, insiste Walid Jumblatt. Un modo per uscire dall’inverno libanese; un modo, anche, per neutralizzare un alleato di Teheran: «Gli iraniani fanno davvero paura. A differenza dei siriani, che possono essere molto stupidi, gli iraniani sono inquietanti, perché sanno essere molto pazienti. Del resto, bisogna essere molto pazienti per intrecciare tutti quei tappeti».

Peccato che a questo pezzo di buona informazione si accompagni una colonna dedicata a sostenere una tesi priva di riscontri. Per Fabrizio Pagani:"La crisi iraniana ridà forza al ruolo dell’Onu" a noi sembra invece che confermi la mancanza di forza di questa organizzazione. 

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