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Il Fatto Quotidiano Rassegna Stampa
13.03.2017 Un articolo sull'arte che nasconde un attacco alla legittimità di Israele
Il pezzo di disinformazione di Luana De Micco

Testata: Il Fatto Quotidiano
Data: 13 marzo 2017
Pagina: 16
Autore: Luana De Micco
Titolo: «Palestina, un museo senza patria e pareti»

Riprendiamo dal FATTO QUOTIDIANO di oggi, 13/03/2017, a pag. 16, con il titolo "Palestina, un museo senza patria e pareti", il commento di Luana De Micco.

L'articolo del Fatto Quotidiano è una miniera di disinformazione. Diversamente da altre volte, però, in questo caso, la disinformazione e l'ostilità verso Israele è più sottile, è il tono dell'articolo a disinformare. Lo stesso argomento è apparentemente laterale rispetto alle questioni politiche centrali (una collezione di opere d'arte). A partire da qui, però, l'articolo dipinge Israele come uno Stato di occupazione e di apartheid, paragonandolo al Sudafrica fino agli anni '80. L'argomento apparente è l'arte, in realtà si tratta di un attacco alla legittimità stessa dello Stato ebraico.
Marco Travaglio, da giovane giornalista allievo di Indro Montanelli a direttore di un giornale tra i più fanaticamente anti israeliano. Cosa non si fa per la cadrega.

Ecco l'articolo:

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Elias Sanbar, diplomatico dell'Autorità palestinese all'Unesco

Per ora è un museo in esilio che confida sulla solidarietà degli artisti di tutto il mondo. Ma un giorno il Museo nazionale di arte contemporanea di Palestina, che non ha ancora né un tetto né pareti, ma conta già un centinaio di opere, aprirà le porte al pubblico, tra cinque, dieci anni, forse venti, chissà. Ma sarà a Gerusalemme Est e da nessun'altra parte: "Perché non dovremmo essere ambiziosi? Questo museo è una sfida sul futuro. Capisco che qui l'idea di base del nostro progetto possa sembrare esplosiva: ci battiamo per avere anche noi delle giornate banali, come ce l'hanno tutti. E portare i nostri figli a visitare un museo fa parte di una vita normale".

ELIAS SANGAR, poeta, scrittore e traduttore, nato a Haifa nel 1947, vive in esilio praticamente da sempre, per forza prima (la sua famiglia fuggì in Libano nel 1948 dopo la creazione dello Stato d'Israele), per scelta poi. E' anche un sognatore, ma un sognatore lungimirante e ostinato. L'intellettuale si era battuto perché la Palestina diventasse uno stato membro a pieno titolo dell'Unesco, e ci è riuscito. Dal 2012 ne è l'ambasciatore. Da alcuni anni lavora al progetto di creare il primo museo pubblico d'arte di Palestina. Un museo vero, con una collezione ambiziosa, in un edificio moderno, opera di architetti di fama e con sede nella capitale. Ha già individuato il terreno dove sarà costruito: "Ma non posso dire di più. Ricordo - sottolinea Sanbar - che lavoriamo in territorio occupato". Nel 2015 è stata creata un'associazione franco-palestinese ed è stato firmato un partenariato con l'Institut du monde arabe di Parigi. Il suo direttore, Jack Lang, il 77nne ex ministro della Cultura di Francois Mitterrand, inventore della festa della Musica, ha aperto le porte dell'Ima alle opere d'arte della futura collezione, quelle già riunite e quelle che verranno, per tutto il tempo che sarà necessarlo.

Il museo di Palestina in attesa di avere una casa propria è dunque ospite di Parigi a tempo indeterminato. Qualche giorno fa Elias Sanbar e Jack Lang hanno riunito un gruppo di giornalisti di diversi paesi per mostrare una selezione di opere (esposta fino al 26 marzo), far conoscere il progetto anche al di fuori della Francia e lanciare un appello: gli artisti "solidali" di tutto il mondo sono chiamati a partecipare. Anche israeliani? "Tutti sono benvenuti - risponde Sanbar -. Non chiediamo il passaporto a nessuno". Soldi per acquisire le opere non ce ne sono. Il futuro museo si fonderà sul dono e sul passaparola, proprio come nei primi anni 80 era stato per il museo degli Artisti contro l'Apartheid nato quando Nelson Mandela era ancora in prigione. La collezione era stata riunita grazie ai doni di decine di artisti internazionali, aveva fatto il giro del mondo e, alla fine del regime razziale, si era stabilita a Città del Capo, in Sudafrica.

ALL'EPOCA Ernest Pignon Ernest aveva coordinato il progetto. Più di trent'anni dopo, l'artista francese, a 75 anni, coordina anche la creazione del futuro museo palestinese. In Italia lo conosciamo anche perché nell'88 aveva tappezzato con i suoi suggestivi collage di opere di Caravaggio i muri dei palazzi nelle strade di Napoli. Alla Palestina ha donato un'opera fotografica su cui figura il collage che l'artista ha realizzato sul muro di un palazzo in rovina di Ramallah, nel 2009. Un ritratto a grandezza reale del poeta palestinese Mahmoud Darwich, morto nei 2008, che militò per la liberazione della Palestina e visse in esilio più di trent'anni. Ernest Pignon Ernest è stato diverse volte a Ramallah, dove "gli artisti lavorano molto, ma sono isolati. Un po' meno grazie a internet".

In Palestina ci sono dei musei, ma sono tutti privati e spesso occupano locali molto piccoli. Ogni operazione logistica è complicata, trasferire le opere, far arrivare dall'estero il materiale necessario, organizzare delle esposizioni. "Bisogna dare a questo popolo l'accesso alla bellezza - osserva Elias Sanbar, mentre ci fa visitare la mostra -. Ho conosciuto artisti a Gaza che non hanno mai visto un quadro in tutta la loro vita, se non riprodotto sui giornali o nei l ibri".

ERNEST Pignon Ernest ha già raccolto un centinaio di opere di un'ottantina di artisti francesi. Ci sono i lavori di Hervé Di Rosa, Gérard Fromanger, Errò, Hervé Télémaque, Gérard Voisin. "Per ora sono artisti della mia generazione, perché li conosco - ha spiegato - ed è stato più facile". Ma, poiché il passaparola sta già funzionando, diversi artisti francesi della giovane generazione hanno già promesso un dono. Tra questi, lo street artist C215 e il fotografo JR, noto tra l'altro per il suo collage fotografico gigante nelle favelas di Rio. Sono già nella collezione anche scatti di Henri Cartier-Bresson e Robert Doisneau, e illustrazioni di Tardi. "Il nostro scopo non è di accettare tutto solo perché ci viene donato - ha spiegato Ernest Pignon Ernest -. Bisognerà organizzare la collezione per correnti stilistiche come in un museo vero. Chiedo a ogni artista di donare un'opera che testimonia la sua ricerca. Alcuni mi hanno invitato nel loro atelier e mi hanno chiesto di scegliere".

Dopo Parigi le opere saranno esposte in Europa e nel mondo. La prima tappa però si farà al Palestiniam Museum, un museo privato dedicato alla storia di Palestina e alla diaspora che apre a settembre a Bir Zeit, in Cisgiordania. Ma che per nascere ci ha messo vent'anni. "In Palestina non si è padroni del proprio destino. Bisogna imparare a essere pazienti. Aprire un museo - dice Sanbar - è un atto di fede, per dire che la vita sarà più forte e che l'arte può essere terreno di riconciliazione".

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