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Il Fatto Quotidiano Rassegna Stampa
19.04.2016 Angelo D'Orsi, professione: odiatore di Israele e mistificatore. E il Fatto che lo pubblica non si smentisce
Stravolge la storia del Ghetto di Venezia e accusa Israele di ogni crimine

Testata: Il Fatto Quotidiano
Data: 19 aprile 2016
Pagina: 13
Autore: Angelo D'Orsi
Titolo: «Ebrei e veneziani, un racconto di integrazione»

Riprendiamo dal FATTO QUOTIDIANO di oggi, 19/04/2016, a pag. 13, con il titolo "Ebrei e veneziani, un racconto di integrazione", il commento di Angelo D'Orsi.

Il FATTO pubblica un intervento di Angelo D'Orsi, promotore di BDS e pronto in ogni occasione a sostenere la discriminazione contro gli ebrei, l'antisemitismo, e a diffondere l'odio contro Israele.
Nel pezzo che segue, sul Ghetto di Venezia, il carattere oppressivo e discriminatorio dei provvedimenti antiebraici è passato sotto silenzio.

Ma questo è niente, se confrontato alle righe che chiudono l'articolo: "
Perciò stupisce amaramente che oggi gli ebrei che hanno avuto uno Stato, dimentichino la storia, e creino ai danni dei palestinesi muri, e discriminazioni odiose. Possibile che la storia delle sofferenze patite non abbia vaccinato dalla tentazione di infliggere sofferenze ad altri?". Anche scrivendo del Ghetto di Venezia, che con Israele non ha nulla a che vedere, D'Orsi non perde occasione per spargere veleno contro lo Stato ebraico, a cui vengono rivolte le più tipiche e false accuse. Tra le righe il messaggio è chiaro: Israele = nazismo. Ed è inaccettabile che un qualsiasi giornale dia spazio a simili deliri antisemiti.

Ecco l'articolo:

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Angelo D'Orsi

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Quello che D'Orsi e i suoi degni accoliti vorrebbero

In questi tempi orribili, fatti di esclusioni, respingimenti, muri, filo spinato e quant'altro, un libro che ci racconta come nacque il primo ghetto d'Europa torna utile al di là del valore intrinseco della ricerca su cui si fonda. Ne è autrice una specialista di storia urbana e insieme di storia dell'ebraismo, come Donatella Calabi (Venezia e il Ghetto. Cinquecento anni del "recinto degli ebrei", Bollati Boringhieri, pp. 187, 15,00). Il libro nella sua piccola mole, assai denso di informazioni, anche di dettaglio (persino troppe, che rischiano talora di appesantire la lettura), ricostruisce il complesso rapporto che nel corso dei secoli si stabilisce tra comunità israelitica e i "gentili", ossi i non ebrei.

IL CASO DI Venezia è peculiare: città di frontiera, tra terraferma e mare, tra Oriente e Occidente, fra cristianesimo di varia confessione, islam, ebraismo. Dunque, votata all'interazione se non alla semplice integrazione, al confronto, allo scambio, tra commercio di beni e servizi e incontro di culture, da quella libraria a quella gastronomica. Ebbene, fu proprio Venezia a inventare il ghetto, la parola e la cosa: la prima deriva da "getto", riferendosi a luogo ove per consuetudine si gettavano le scorie della lavorazione del rame. Si vedevano in quella contrada file di carriole che scaricavano materiale: per cui fu chiamata appunto "Geto", parola, che nella pronuncia di larga parte di ebrei immigrati da zone germaniche suonava con la "gh" invece che con la "g". Ed ecco dunque che, il 29 marzo 1516, mezzo millennio fa, nasceva il "Ghetto".

Nasceva su sollecitazione sia di ambienti cattolici, sia soprattutto di ambienti mercantili che vedevano di mal occhio l'apertura domenicale delle botteghe e dei fondaci di ebrei, dei banchi di prestito, e le altre attività in cui quegli uomini e quelle donne mostravano particolare abilità e intraprendenza. Qui ci si imbatte nel primo paradosso: era l'economia veneziana che richiedeva prestatori di denaro, in particolare il prestito su pegno; ma poi questa occupazione, prevalente fra gli ebrei, finì per diventare un capo d'accusa. Ecco nascere lo stereotipo dell'usuraio, magari del naso adunco, che troveremo in una infinita serie di rappresentazioni, dalla letteratura alle arti, dal teatro al cinema.

Il ghetto è un piccolo villaggio, che, però, ha muri e porte, con guardiani cristiani (che vengono tuttavia pagati dagli ebrei!): eppure sia la città circostante, sia gli ebrei "ghettizzati", sono spinti, da ragioni innanzi tutto commerciali, ma poi anche culturali, o di rapporti fra persone, a incrociarsi. E comunque intanto il villaggio cresce, e ha bisogno di essere ampliato, e nel frattempo bonificato. Nascono altre zone per ebrei, che, più sono dichiarati esclusi, più si intridono della società veneziana, che ne ha bisogno, e in definitiva li accetta, facendoli diventare un po' alla volta suoi membri. Cannaregio, la Giudecca, diventano altrettante enclave per ebrei, ma mentre questi diventano via via più "veneziani", i gentili di Venezia apprendono usi, e abitudini da quella intraprendente comunità. E li fanno propri.

Il ghetto, nelle sue diverse dislocazioni, diventa luogo in cui si presta assistenza sanitaria, si impartisce l'istruzione, e si fanno commerci di vario genere. Compreso quello culturale. L'ebraico diventa lingua da studiare, al punto da essere spesso protagonista di una ricca produzione libraria (non dimentichiamo che Aldo Manuzio è appunto cittadino della Serenissima). E accade che sfidando le leggi, i più temerari e intraprendenti tragli israeliti si espandano, nei loro commerci, al di fuori degli spazi consentiti, e anche oltre le attività concesse da norme e regolamenti.

IN FONDO, quando nel 1797 la Repubblica di Venezia giunge a morte, e con Napoleone, si bruciano, simbolicamente, le porte lignee che delimitavano il primo Ghetto (12 luglio), si prende atto che non solo quelle barriere erano inique, ma erano inutili. Vengono abolite anche restrizioni, e "ogni contrassegno dell'abborrita separazione". Comincia un'era nuova, che vedrà progressivamente tutti gli abitanti di origine ebraica divenire cittadini a pieno titolo, veneziani doc che si esprimono in quella lingua musicale, avendo ormai acquisito abitudini, motti, e vezzi dei non ebrei.

La distinzione è diventata impossibile. E invece si giugerà al famigerato 1938, quando quella divisione si vorrà ristabilire e non soltanto a Venezia come è tristemente noto. Una distinzione, che, tuttavia, è il prologo a una discriminazione persecutoria che mirerà prima ai diritti, poi ai beni, infine alle vite delle persone.

Perciò stupisce amaramente che oggi gli ebrei che hanno avuto uno Stato, dimentichino la storia, e creino ai danni dei palestinesi muri, e discriminazioni odiose. Possibile che la storia delle sofferenze patite non abbia vaccinato dalla tentazione di infliggere sofferenze ad altri?

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