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Il Fatto Quotidiano Rassegna Stampa
25.03.2015 Qatar: un Paese terrorista e schiavista ospiterà i mondiali di calcio nel 2022
Lo racconta Luana De Micco

Testata: Il Fatto Quotidiano
Data: 25 marzo 2015
Pagina: 17
Autore: Luana De Micco
Titolo: «Qatar, nuovi schiavi in nome del Dio pallone»

Riprendiamo dal FATTO QUOTIDIANO di oggi, 25/03/2015, a pag. 17, con il titolo "Qatar, nuovi schiavi in nome del Dio pallone", il commento di Luana De Micco.

Per una volta riprendiamo con piacere un buon pezzo pubblicato sul Fatto Quotidiano, molto carente in politica estera e spesso ostile a Israele.

La popolazione del Qatar è certificata in 2 milioni di persone, delle quali però soltanto poco più di 200.000 sono cittadini del Qatar, gli altri 1.800.000 sono immigrati, di fatto dei lavoratori-schiavi, al servizio dei padroni locali.
Abbiamo parlato più volte della sistematica violazione dei diritti umani in Qatar, per esempio alla pagina http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=57379

Ecco l'articolo:

Anshu testimonia con un finto nome perché teme di finire in prigione. Ha 40 anni, è indiano e lavora come operaio per la QDVC, la filiale in Qatar del gruppo Vinci, gigante francese delle costruzioni, sul cantiere della metropolitana di Lusail City, la nuova città che si costruendo da zero, con 38 miliardi di euro a una quindicina di chilometri da Doha.

Anshu è uno dei nuovi schiavi che tirano su gli stadi e le altre faraoniche infrastrutture che ospiteranno nel 2022 i Mondiali di calcio. Si sveglia alle 4 del mattino e lavora 66 ore a settimana in condizioni estenuanti per 2000 riyal, circa 500 euro al mese. Ma lui è un operaio specializzato. I non specializzati ricevono se va bene 700 riyal, 176 euro. I documenti gli sono stati confiscati: “Impossibile rompere il contratto, lasciare il paese o cambiare attività senza il permesso del datore di lavoro. Siamo senza passaporto e senza libertà”.


La Ong Sherpa

Quella di Anshu è una delle tante storie di sfruttamento nel ricchissimo emirato del Golfo. Come lui sono circa 1,2 milioni di operai poveri (l’80% degli abitanti) che arrivano da India, Nepal, Bangladesh e finiscono col vivere in baraccopoli per poi andarsi ad ammazzare sui cantieri della Coppa del mondo. Tanti muoiono di stenti.

I 50 gradi all’ombra che ci sono in estate hanno già ucciso molti operai (mentre la Fifa ha rinviato la competizione sportiva all’inverno per evitare il caldo torrido a pubblico e calciatori). Le condizioni disumane di lavoro sono state già denunciate da Amnesty International o Human Right Watch. Ora l’organizzazione non governativa francese Sherpa ha denunciato Vinci per “lavoro forzato” e “riduzione in schiavitù”.

“È LA PRIMA VOLTA che viene sporta una denuncia di questo tipo contro una multinazionale”, ha detto a Le Parisien la direttrice dell’associa zione Laetitia Liebert. Un’inchiesta è stata aperta a Nanterre. Per la Sherpa è solo l’inizio: “Il gruppo ha ottenuto diversi milioni di contratti, e impiega migliaia di persone direttamente o tramite società in subappalto. Questa prima azione - ha aggiunto Libert deve aprire una breccia verso la fine della violazione dei diritti umani da parte delle multinazionali in Qatar”.

Nel dicembre scorso l’Unione delle confederazioni sindacali e 90 associazioni per la difesa dei diritti umani avevano già contato 1200 decessi. “Facciamo sforzi permanenti per migliorare la sorte dei lavoratori migranti”, hanno riferito dall’ambasciata del Qatar in Francia. Si promettono più ispezioni nei cantieri. Si starebbero riformando le condizioni di vita e di lavoro, a partire dal versamento degli stipendi via bonifico bancario fino ad un allentamento della “kafala” (“sponsorizzazione”), il sistema che appunto toglie al lavoratore ogni libertà di movimento.

Il direttore della QDVC , Yanick Garillon, non vuole sentire parlare né di lavori forzati né di schiavitù: “Non abbiamo avuto un solo incidente mortale negli ultimi quattro anni”, ha detto. Vinci, che impiega 3500 persone in Qatar, ha annunciato che sporgerà una contro denuncia contro la Sherpa per diffamazione: “A più riprese abbiamo aperto i nostri cantieri a ong e giornalisti – si legge in una nota - e hanno potuto constatare che facciamo del nostro meglio per rispettare il diritto locale del lavoro e i diritti fondamentali”.

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