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Rassegna Stampa
29.04.2017 Le mosse di Donald Trump di fronte a Benjamin Netanyahu e Abu Mazen
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Poche illusioni sulla pace in Medioriente»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 29/04/2017, a pag. 17, con il titolo "Poche illusioni sulla pace in Medioriente", l'analisi di Fiamma Nirenstein.

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Fiamma Nirenstein

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Benjamin Netanyahu con Abu Mazen

Grandi opportunità o grandi delusioni in arrivo? Se lo chiedono in questi giorni sia Israele che i palestinesi: la visita di Trump in Israele è stata annunciata ieri per il 22 maggio, mentre il primo appuntamento con il presidente dell'autonomia palestinese Mahmoud Abbas è per mercoledì prossimo, un giorno dopo la celebrazione del 69° anniversario dell'indipendenza israeliana.

Grandi opportunità o grandi delusioni in arrivo? Se lo chiedono in questi giorni sia Israele che i palestinesi: la visita di Trump in Israele è stata annunciata ieri per il 22 maggio, mentre il primo appuntamento con il presidente dell'autonomia palestinese Mahmoud Abbas è per mercoledì prossimo, un giorno dopo la celebrazione del 69° anniversario dell'indipendenza israeliana.

Obama solo al suo secondo mandato si decise a visitare Israele, Trump invece viene subito. La visita è il primo segnale di quanto Israele sia importante per il presidente lo Stato Ebraico. Obama venne in Medio Oriente e visitò l'Arabia Saudita e l'Egitto, e ritenne inutile dare un'occhiata a Gerusalemme. Anche Trump visiterà gli Stati sunniti moderati, ma è evidente che farlo nell'ambito di una visita in Israele ha un significato politico di ricerca di un nuovo equilibrio regionale, di cui Israele è il protagonista. Il coinvolgimento è sottolineato dal fatto che lo accompagneranno la figlia Ivanka e il marito Jared Kushner e la visita avverrà intorno alla data in cui ricorre l'anniversario della Guerra dei Sei Giorni, quindi con uno sventolio ideale di bandiere a stelle e strisce a fianco di quelle bianche e azzurre. Che cosa ci si deve aspettare dagli incontri dato che Trump ha dichiarato di avere intenzione di passare alla storia come il presidente americano che è finalmente riuscito a portare in porto il processo di pace? La pentola delle buone intenzioni bolle a tutta forza, gli incontri si susseguono senza freno, ma la questione è complicata.

Abu Mazen che va in visita fra pochi giorni ha alle spalle una popolazione che è stata educata nell'idea, oggi maggioritaria per il 44 per cento, che fra 25 anni Israele non esisterà più. Abu Mazen ha dichiarato di essere disponibile, ma è difficile capire che cosa sia effettivamente disposto a trattare quando l'epos coltivato nei libri di scuola, alla tv, sui giornali indica come maggiore obiettivo quello di cancellare gli ebrei con gli attentati terroristici, mentre l'Autonomia esalta la figura del «martire» attribuendo salari fissi ai detenuti per terrore o alle famiglie. Netanyahu ha messo sul tavolo la questione esortando pubblicamente Trump a chiedere ad Abbas conto dell'uso dei finanziamenti internazionali per finanziare il terrorismo.

I palestinesi discutono in queste ore su una piattaforma che li metta in condizione di non rinunciare ai benefici ricevuti dalla amministrazione Obama che ha scelto come obiettivo i confini del '67 garantiti e lo stop alle costruzioni. La risposta consiste nel gestire il terreno del business che Trump preferisce con un «do ut des» in cui: Trump si impegni a rimandare il trasferimento dell'ambasciata americana a Gerusalemme, si smetta di giocare sulla visione irrealistica di chi propone i confini del '67, chiedendo però invece che di cancellare gli insediamenti di bloccarne l'espansione, di accettare un conferenza regionale in cui i palestinesi facciano per la prima volta parte di un fronte anti Iran e accettino di discutere la situazione regionale realisticamente.

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