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Rassegna Stampa
16.02.2017 Trump-Netanyahu: le premesse del cambiamento
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Netanyahu da Trump: Israele e l'America seppelliscono Obama»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 16/02/2017, a pag. 15, con il titolo "Netanyahu da Trump: Israele e l'America seppelliscono Obama", l'analisi di Fiamma Nirenstein.

A destra: Benjamin Netanyahu durante l'incontro di ieri a Washington

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Fiamma Nirenstein

L'East Room alla Casa Bianca è solo per le grandi occasioni, giammai Benjamin Netanyahu ci ha messo piede al tempo di Obama: ieri invece qui si è svolta la conferenza stampa congiunta di Donald Trump col leader israeliano. Le strette di mano, gli abbracci delle mogli, gli accenni entusiastici a un futuro di successo per la pace forse non rappresenteranno la soluzione dell'annosa questione israelo-palestinese, ma segnano una grande svolta. Forse più importante dei programmi, che il Medio Oriente costruisce spesso sulla sabbia, è il fatto che finalmente, dopo Obama, gli Usa e Israele tornano ad essere i grandi amici di sempre. I due leader hanno sottolineato l'identità nei valori e negli intenti con vero calore, le mogli si sono sorrise contente, e questa è la tessera più importante nel mosaico mediorientale striato dal sangue del terrorismo.

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Le due maggiori forze antiterroriste sono di nuovo insieme, proprio qui dove si è sviluppata la più disastrosa fra le politiche di Obama, che ha portato a centinaia di migliaia di morti, ha fomentato lo scontro sciita-sunnita, ha dato fuoco alle polveri delle ambizioni imperialiste iraniane e degli Hezbollah mentre l'Isis arrotava i coltelli, ha spinto alla fuga milioni di profughi e ha lasciato crescere il terrorismo mentre la Russia approfittava del caos. Trump ha descritto Israele come l'eroe della sopravvivenza del popolo ebraico alle persecuzioni antisemite, della sua presenza millenaria nell'area, come combattente di prima fila contro il terrorismo. L'islam politico è stato chiamato per nome e cognome dai due leader, decisi a combatterlo. I due leader hanno toccato in maniera simile e assertiva tutti i temi più importanti. Processo di pace: Trump vuole avere successo dove nessun altro è riuscito, il suo piano è non inside out ma out inside. Cioè, vuole placare il conflitto israelo-palestinese partendo dal mondo arabo, e non viceversa, come Obama e l'Europa. Prevede sorprendenti sviluppi provenienti da un nuovo clima coi sunniti moderati, e anche Netanyahu spiega che ormai il mondo arabo moderato è pronto. Gli insediamenti, i confini vengono lasciati all'incontro decisivo fra le parti, anche se Trump si aspetta compromessi da parte di Israele.

Nello stesso tempo accusa duramente la politica di odio nelle scuole e nella propaganda palestinesi. Netanyahu ripete le sue condizioni: i palestinesi accettino l'esistenza dello Stato ebraico e non si oppongano al controllo di sicurezza israeliano nella valle del Giordano, che di fatto è la barriera indispensabile contro il terrorismo. Gerusalemme: Trump valuta con grande attenzione la possibilità di trasferire l'ambasciata. L'Iran è l'altro elemento centrale: «Il peggiore di tutti gli accordi possibili», così Trump definisce di nuovo gli accordi di Obama, e annuncia possibili nuovi sanzioni. Anche Netanyahu denuncia il ruolo dell'Iran nel terrorismo internazionale e di pericoloso mestatore in Medio Oriente.

La svolta di Trump nasce dall'idea che la pace è sempre stata inseguita e mai raggiunta perché puntava su un'inesistente decisione palestinese di dividere con gli ebrei la terra da cui hanno invece sempre sognato di espellere lo Stato di Israele: a lui quindi non importa se si arriverà a due Stati, uno Stato... e l'ha detto. Gli interessa il business della pace, e il successo di quello che considera un amico caro e leale, Israele. Una visione semplice che può, se cavalcata a dovere, consentirgli una posizione rivoluzionaria di successo. La fase Obama ha sempre segnalato disapprovazione, nervosismo, insofferenza, disgusto per Israele. Insomma una profonda dissonanza: ma il popolo americano è sempre stato filoisraeliano per il 62 per cento, e solo per il 15 per cento filopalestinese secondo l'indagine Gallup. Non si è mai sognato di considerare gli insediamenti un problema mortale. Trump in sostanza è libero di immaginare con Netanyahu scenari che tengano conto del trauma terrorista di cui i palestinesi sono parte, e che rappresentino, invece che fantasmi di soluzioni impossibili, pure scuse per l'antisemitismo, vere ipotesi concrete. E ce ne sono.

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