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Rassegna Stampa
13.07.2015 Nucleare, Obama beffato dagli ayatollah, mentre a Teheran bruciano bandiere israeliane e americane
Analisi di Fiamma Nirenstein, commento di Angelo Pezzana

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein - Angelo Pezzana
Titolo: «Nucleare, ride soltanto l'Iran»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 13/07/2015, a pag. 9, con il titolo "Nucleare, ride soltanto l'Iran", l'analisi di Fiamma Nirenstein; segue il commento di Angelo Pezzana.

IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Nucleare, ride soltanto l'Iran"

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Fiamma Nirenstein

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Per le strade di Teheran: ecco con chi Obama vuole stringere accordi, concedendo l'arma nucleare

Dunque l'accordo con l'Iran è dietro l'angolo. Kerry ieri si è mostrato soddisfatto, Laurent Fabius ha parlato di «ultimi metri». Ma se il leader del Paese con cui state per stringere un difficile patto che potrebbe cambiare la faccia del mondo riempie le sue piazze (a Teheran) di una folla che lo applaude entusiasta quando promette che, patto o no, resterete per sempre il solito nemico arrogante e prepotente, e la folla urla «morte all'America»; e se continuamente ripete che comunque la distruzione di Israele non è negoziabile... non è che vi assalirebbe qualche dubbio su tutti quei sorrisi, quelle virgole e quei punti, che in queste ore, proprio mentre scriviamo, stanno portando alla firma dell'accordo fra i P5 più uno e l'Iran degli ayatollah?

No, inghiottireste e sorridereste se foste il segretario di stato John Kerry, perché Obama lo ha caricato della sua definitiva, incontrovertibile volontà di arrivare a quella firma a tutti i costi che è il suo maggiore, forse unico, retaggio in politica estera, e al diavolo se gli Egiziani e i Sauditi sono furiosi e si nuclearizzeranno a loro volta: in questi ultimi 16 giorni, ma si può dire in questi ultimi anni, Kerry non ha risparmiato concessioni per firmare quelle 20 pagine di accordo più un'altra ottantina di annessi tecnici che fra ieri notte e stamani devono, salvo imprevisti, esser siglati dai ministri degli Esteri ieri arrivati all'Hotel Coburg a Vienna. Così, sembra sia stato raggiunto il più evitabile, il più impicciato e inaffidabile di tutti gli accordi: suo scopo centrale è interrompere la corsa dell'Iran alla bomba atomica, e avrebbe dovuto farlo con determinazione, se si guardano le vecchie dichiarazioni di Obama quando ancora non aveva sfogliato tutta la margherita delle concessioni.

Quel che resta oggi, per quel che si sa, è tale da consegnare nel giro di pochi anni all'Iran la possibilità di riavviare il motore per essere potenza atomica, con grave rischio per tutti noi. È finita la possibilità effettiva di fermare lo sforzo nucleare iraniano (dipende dalla sua volontà politica di accelerare o stare ai patti), e anche la giusta collera perché l'Iran ha un record spaventoso di violazioni dei diritti umani, dalle donne ai dissidenti agli omosessuali impiccati sulle gru, ed è uno dei maggiori sponsor del terrorismo in tutto il mondo. Di tutto questo non si è più parlato. Nelle ultime ore in cui si è cercato soprattutto di rispondere alle conditio sine qua non dell'Iran, quelle che Javad Zarif, il capo negoziatore gentile e durissimo, ha posto come punti intoccabili e fra poco sapremo se le ha ammorbidite: l'immediato sollievo dalle sanzioni, che dovrebbero sparire enro il primo quarto del 2016; l'interdizione dell'ingresso nelle strutture militari; la permanenza di un alto numero di centrifughe (6000) e la possibilità di utilizzarne di super moderne in caso di una tale decisione da parte del governo; controllo delle ispezioni, tema sul quale in questi ultimi giorni si è avuta una serie di incontri diretti fra la delegazione e l'Iaea, l'organizzazione mondiale di controllo del nucleare, il cui capo Yukiya Amano è riuscito a trovare una base di accordo per verificare strutture che non si erano mai potute visitare, e ha promesso il suo rapporto per la fine dell'anno.

È peraltro evidente che le ispezioni sono sempre molto volatili a fronte di un interlocutore che voglia trovare scuse, e che comunque si possono interrompere con qualsiasi tipo di accusa. Un altra pretesa iraniana è la fine dell'embargo Onu sulle armi: si capirà come va a finire ben presto, ma il Congresso americano sembra poco disposto a inghiottire questo come altri punti dell'accordo, e forse li impugnerà. I disegni egemonici dell'Iran in Iraq, in Siria, in Libano, in Yemen fanno capire che le armi non resterebbero impacchettae.

Così come si capisce bene che i 150 miliardi di dollari che con la fine delle sanzioni finiranno nelle casse dell'Iran, incrementerebbero operazioni di destabilizzazione del Medio Oriente e del mondo intero, se è vero che le operazioni terroristiche dell'Iran hanno insanguinato i cinque continenti e qui non se ne è parlato. L'Iran non è un partner di pace, è uno spregiudicato interlocutore che in tutti questi anni ha usato la Taqyyia, la dissimulazione permessa per motivi religiosi al mondo sciita minoritario e desideroso di emergere. Khomeini lo promise nel 1979, l'Iran avrebbe saputo avviare l'islamizzazione del mondo con la forza della storia sciita e di quella imperiale persiana.

Angelo Pezzana, commento da Gerusalemme

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Angelo Pezzana, Benjamin Netanyahu

Che gli Usa non abbiano mai avuto una visione chiara dei problemi di politica internazionale non è una novità. L’ha ricordato ieri sera Bibi Netanyahu, presentando sulle reti tv un breve video del 21 ottobre 1994, nel quale l’allora presidente Bill Clinton annunciava la firma dell’accordo nucleare con la Corea del Nord.

“Questo è un buon accordo per gli Stati Uniti“ affermava Clinton “la Corea del Nord bloccherà per poi annullarlo il programma nucleare. Alla Corea del Sud e ai nostri alleati sarà garantita ogni protezione. Il mondo intero sarà più sicuro, perché abbiamo fermato la corsa alle armi nucleari”. Continuava dicendo che le ispezioni internazionali avrebbero controllato il mantenimento dell’impegno della Corea del Nord, che così entrava nella comunità delle nazioni. 12 anni dopo, nel 2006, la Corea del Nord faceva esplodere il suo primo ordigno nucleare.

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Bill Clinton

Obama, circondato da molti Chamberlain europei, continua la tradizione. Solo Israele giudica i fatti, che non possono essere smentiti. Nel festeggiare nei giorni scorsi la festa di Al Quds – il nome arabo di Gerusalemme – a Teheran imponenti cortei hanno bruciato le bandiere americane e israeliane, mentre la folla urlava ‘morte agli americani, morte a Israele’. È questo l’Iran con cui quasi sicuramente verrà firmato l’accordo di Vienna.

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