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Rassegna Stampa
21.12.2014 I rampolli del Califfato allevati a odio e Corano
Commento di Gian Micalessin

Testata:
Autore: Gian Micalessin
Titolo: «I rampolli del Califfato allevati a odio e Corano»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 21/12/2014, a pag.10, con il titolo " I rampolli del Califfato allevati a odio e Corano", l'analisi di Gian Micalessin.


Gian Micalessin

Guardateli. Alcuni hanno meno di dieci anni, ma hanno un'arma in mano. Alcuni sono già morti perché costretti a seguire i genitori sui campi di battaglia. Altri assistono ad una decapitazione. Altri ancora la replicano nei loro giochi con bambole e pupazzi. Sono la «generazione orrore». Sono i rampolli del Califfato. Sono i figli dei suoi militanti e simpatizzanti. Sono i piccoli mostri che crescono. Per ora sono solo delle vittime, ma se nessuno aprirà le porte dell'incubatrice in cui vengono nutriti a odio, fanatismo e violenza seguiranno le tracce dei loro padri. Diventando i carnefici di domani. Le foto che vedete fioriscono e si moltiplicano su twitter, facebook e su tutti i social network frequentati dai militanti dello Stato Islamico e dai suoi simpatizzanti. La più agghiacciante è quella lanciata su twitter il 22 agosto - pochi giorni dopo la decapitazione del giornalista americano James Fooley - da un tal Abu Bakr Al Janabi. Nella foto un bimbo incappucciato davanti ad una bandiera nera dell'Isis, con tutta probabilità il figlio dello stesso Al Janabi, tiene un coltello in una mano e una bambola vestita con una tuta arancio nell'altra. «Un po' di divertimento - scrive orgoglioso Al Janabi - per la prossima generazione di Mujaheddin...#Isis». Divertito è sicuramente Abu Al Abd Al Shami, un bel bimbo con un caschetto biondastro ritratto accanto al proprio lettino con un kalashnikov più alto di lui e descritto - nel tweet lanciato dal padre il 20 ottobre - come «il più giovane mujahid (combattente) dello stato islamico». Qualcuno il figlio non si accontenta di fotografarlo mitra in mano, ma lo porta dritto in battaglia. E perfino, come dicono da quelle parti, al martirio. Se non ci credete guardate le foto postate su twitter il 7 ottobre scorso da @ISTimes1. Sono le foto di Abu Ubaida, un bimbo ritratto in precedenza mentre imbraccia una mitragliatrice nel soggiorno di casa, mentre indossa un giubbotto esplosivo o mentre - in mimetica e mitra in spalla - marcia alle spalle di altri combattenti. In quelle prime apparizioni Abu Ubaida viene descritto come uno dei «più giovani combattenti dell'Isis». Uno status ormai ampiamente superato. Il ragazzino - annunciano infatti un tweet e un filmato di YouTube del 7 ottobre - è stato dilaniato dalle bombe mentre combatteva con papà sulla prima linea di Kobane diventando uno dei più giovani martiri del Califfato. Chi non porta alla morte la propria prole non perde l'occasione di farle assaporare la dimensione di orrore e fanatismo in cui è destinata a crescere. «Dolore per tutti voi apostati ed infedeli da una generazione cresciuta nel piacere di mozzare teste e tagliare», scrive fiero di se un tal SahawaTN descrivendo un tweet del 31 ottobre in cui lo si vede sorreggere il figlio, di sì e no tre anni, che scalcia una testa mozzata. Chiunque si chieda dove quell'essere abbia trovato una testa mozzata su cui far giocare il bimbo scorra le foto ufficiali dello Stato Islamico che documentano le decapitazioni e le crocifissioni eseguite a settembre a Manbij, una cittadina del governatorato di Aleppo. Tra la folla assiepata tutt'intorno al boia e alle sue vittime si distinguono numerosi ragazzini. Quelli in piedi accanto al ceppo su cui posa la testa il condannato non sono semplici spettatori, ma protagonisti a tutti gli effetti della cerimonia e della sua lugubre coreografia. Un adolescente con il mitra tiene in pugno un foglio da cui viene letta la sentenza di morte del condannato mentre i due compagni ai suoi fianchi sventolano gli stendardi dell'organizzazione. In altri casi, meno terribili, ma sicuramente non meno traumatici per la loro educazione e formazione i bambini vengono utilizzati come comparse al servizio della macchina propagandistica dell'organizzazione. Una fila di sorridenti e felici orfani, seduta su un lungo divano e dietro la bandiera nera dell'organizzazione sorretta da tre di loro, raffigura l'attenzione del Califfato per i figli dei propri caduti. Ma la ricaduta è immediata quando l'Isis propone l'immagine di un ragazzino malato di cancro costretto, anche lui, ad esibirsi con lo stendardo del Califfato. Tutto per farci sapere che "lo Stato Islamico si prende sempre cura dei propri bambini".

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