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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
25.07.2013 Iraq:gli Usa se ne vanno, il potere nelle mani di Al Qaeda
Cronaca di Gian Micalessin

Testata:
Autore: Gian Micalessin
Titolo: «Il ritiro degli Usa dall'Iraq rafforza Al Qaeda»

Sul GIORNALE di oggi, 25/07/2013, a pag.15, con il titolo "Il ritiro degli Usa dall'Iraq rafforza Al Qaeda", Gian Micalessin racconta la fine delle speranze di libertà nella quale si trova l'Iraq dopo l'abbandono del paese da parte degli Usa.

                                                Terroristi di Al Qaeda in keffia

Settecento morti in scontri e attenta­ti dall’inizio di luglio, un attacco alla prigione di Abu Ghraib conclusosi lu­nedì con la liberazione di 500 detenuti jihadisti e, sullo sfondo, lo spettro del ri­torno di Al Qaida e della guerra civile. Da lunedì l’Iraq vive l’incubo di una ri­caduta nella guerra civile e negli orrori del 2006 quando attentati e scontri tra sunniti e sciiti facevano temere una drammatica partizione del paese. Un incubo sancito da numeri e fatti. I 700 morti contati dall’inizio di luglio rap­presentano il bilancio più sanguinoso dal 2008, da quando cioè il generale americano David Petraeus concluse il «surge», la cosiddetta «rimonta» che consentì di conquistare il favore delle tribù sunnite e stroncare l’attività al qai­dista. Oggi 18 mesi dopo il ritiro del di­cembre 2011 quei successi sono uno sbiadito ricordo. E Obama fa i conti con un fallimento ben più grave di quel­li di Libia ed Egitto perché l’Iraq eredi­tato da George W.Bush era un paese parzialmente stabilizzato. Un Paese dove Al Qaida era stata quasi neutraliz­zata e i rischi di una guerra civile tra sun­niti e sciiti erano stati ricomposti. Die­tro i successi di George W. Bush e del suo pro console David Petraeus c’era­no strategie precise basate sul control­lo del governo guidato dallo sciita Nou­ri Al Maliki, sul contenimento dell’in­fluenza iraniana e su una politica di ap­poggi politici ed economici alle tribù sunnite. Dopo il veloce ritiro voluto da Obama di tutto ciò non è rimasto trac­cia. Dopo il dicembre 2011 premier scii­ta Nouri Al Maliki- definitosi «un buon amico e un fratello dell’Iran» - ha dato il via ad una pesante campagna anti sunnita culminata con la condanna a morte e la fuga all’estero del vice presi­dente sunnita Tariq al Hashimi. La so­spensione degli aiuti americani alle tri­bù sunnite e la pesante politica di di­scriminazione sostenuta da un gover­no iracheno sempre più vicino a Tehran hanno trasformato centinaia di giovani sunniti in disponibili reclute di Al Qaida. A favorire questo ritorno al passato ha contribuito il sostegno offer­to da Washington ai ribelli sunniti in Si­ria. Le zone controllate oltre confine dai ribelli siriani rappresentano per gli alqaidisti iracheni un terreno franco dove- oltre a godere di libertà di movi­mento e assoluta impunità - possono attingere agli arsenali dei gruppi inte­gralisti siriani foraggiati da Qatar e Ara­bia Saudita. Le distrazioni di Obama e gli errori di valutazione sulla Siria han­no inso­mma trasformato i successi ira­cheni di Bush e Petraeus in una doppia sconfitta.Mentre i territori sunniti del­l’Iraq sono ridiventati enclavi di Al Qai­da, le zone sciite sono state riconsegna­te all’influenza iraniana. E ora l’incubo peggiore è di nuovo quello della parti­zione. I curdi del nord, anche loro ai fer­ri corti con Maliki, potrebbero rompe­re con Bagdad innescando uno scon­tro a tre con sunniti e sciiti capace di l’Iraq dalle carte geografiche.

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