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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
31.03.2013 Gilad Shalit, l' 'eroe' che ha avuto paura
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Israele contro Shalit, l'eroe' pauroso»

Sul GIORNALE di oggi, 31/03/2013, a pag.12, con il titolo "Israele contro Shalit, l'eroe' pauroso", Fiamma Nirenstein commenta le rivelazioni del giornalista israeliano Ben Caspit pubblicate sul settimanale "Sof Shavua" (Fine Settimana). Quell' Israele contro Shalit è un titolo forzato, mentre il pezzo di Fiamma Nirenstein  racconta la vicenda correttamente. Nessuno è contro Shalit, la verità è che Israele ama i propri eroi quando sono veri, non quando si viene a sapere che sono fasulli, come nel caso del povero Gilad, un ragazzino che si trovato dentro una storia del tutto impreparato. Fiamma Nirenstein ha colto questa verità e ce l' ha fatta conoscere. Per un giornalista serio, questo è informare.

Fiamma Nirenstein           Gilad Shalit

Ecco l'articolo:

Gilad Shalit non era un eroe. Era un ragazzo qualunque, co­me un compagno di scuola dei nostri figli, come il vicino della porta accanto... Chiunque egli fosse, per quel ragazzo, per strap­parlo dalle grinfie di Hamas, Isra­ele dette in cambio 1027 prigio­nieri. Il capo di Stato Maggiore Benny Gantz lo chiamò «un eroe»,e in effetti restar vivi e con­servare quel mezzo sorr­iso timi­do dopo cinque anni di privazio­ni e solitudine non è da tutti. Ma il ventenne timido e spilungone figlio di tutti noi, gli occhi noccio­la e l­e orecchie a sventola immor­talati da tutti i media del mondo mentre dopo cinque anni di reclusione cru­del­e tenta un saluto mi­litare di fronte a Bibi Netanyahu che lo rice­ve fra le sue braccia quando Hamas lo resti­tuisce il 18 ottobre 2011, il ragazzo adora­to da mezzo mondo compreso dalla giorna­list­a che l’ha anche co­nosciuto e che aveva come milioni di perso­ne le lacrime agli occhi quando fu rimesso in li­bertà, un eroe non era.
È quanto legge sui giornali in questi giorni tutta Israele: un arti­colo del famoso giornalista Ben Caspit racconta con dovizia di particolari le conversazioni del soldatino con gli investigatori che dopo la restituzione, e con af­fetto profondo, raccolsero da lui la verità del giorno del rapimen­to. Gilad l’ha raccontata con pre­cisione e sincerità, mostrando un quadro per cui ogni madre può essere sicura che, se per quel soldato imbranato e impau­rito è stato pagato quel prezzo,
ogni soldato israeliano avrà co­munque diritto allo stesso tratta­mento. Dunque, non c’è stato né eroismo né estremo corag­gio, ma solo shock da battaglia: neppure una pallotola è stata sparata nonosante le possibilità che si offrirono di reagire in quel giorno in cui Gilad fu rapito e, de­gli altri tre che sedevano nel suo Merkava 3, un carro armato di classe, due furono uccisi.
La mattina del 25 giugno 2006 era stato ordinato che nelle ore fra oscurità e aurora i quattro membri dell’equipaggio i solda­ti di guardia lungo il confine con Gaza, tutti svegli, mantenessero lo stato di allerta.C’era il sentore
di un attacco terrorista. Invece uno solo dei soldati era sveglio, il guidatore. L’artigliere (Shalit) era al suo posto,il comandante nella torretta e l’altro soldato ai loro posti, ma tutti addormenta­ti. Shalit non conosceva, ha det­to, il contenuto dell’allarme,an­che se aveva partecipato alle riu­nioni: ha raccontato agli investi­gatori che si affidava al suo co­mandante. Quindi gli erano ignoti gli avvertimenti su un’in­filtrazione possibile. Non sape­va neanche che vicino al suo tank c’erano altri soldati (a 200 metri) che avrebbero potuto cor­rere in aiuto. Shalit non aveva fat­to attenzione, ha detto. Quando iniziò l’attacco, dormiva senza elmetto, senza la giacca a prova di proiettile, attaccata alla sedia, e forse anche senza il gilet swat con le munizioni. Alle cinque meno cinque, il commando di Hamas colpisce il tank con un lanciarazzi. Gilad si sveglia in tempo per veder il comandante Hanan Barak e il guidatore Pa­vel Spitzer saltare giù dal carro armato. Probabilmente pensa­no che il tank sia in fiamme, cosa non vera: un Rpg come quello lanciato non danneggia più di tanto un Merkava 3. Barak e Spizter vennero uccisi, usciti per proteggere il tank e i due sol­dati rimasti dentro, e quasi nes­suno conosce il loro nome. Qui comincia la storia della scelta di Gilad, che resta dentro perché, ha raccontato, così si sentiva più sicuro. Potrebbe sparare a volon­tà, dato che il cannone del suo tank, come le tre mitragliatrici sono potenti e precisi. Bastereb­be toccare il grilletto, ma lo shock prende il sopravvento, Gi­lad si sente intrappolato, sta fer­mo, non spara, racconta che do­po il crepitare di un mitra capì che i due usciti erano morti o feri­ti. Shalit restò immobile senza sparare o girare la torretta per spaventare gli attaccanti (soltan­to due). Quando un militante getta una granata nella torretta. Shalit viene ferito molto legger­mente al fondo schiena e a un go­mito, probabilmente a salvarlo è la giacca antiproiettile appesa alla sedia. Spaventato dal fumo, fa l’ennesimo errore: sale, apre, vede il terrorista che si arrampi­ca con l’arma a ciondoloni die­tro la schiena, le mani occupate dall’arrampicata. Shalit non può sparare perché il suo M16 è rimasto abbandonato sul pavi­mento. È facile a questo punto per il terrorista puntargli l’arma addosso e intimargli di andare con lui. Qui comincia il rapimen­to del secolo, mai pianificato da Hamas come l’arma strategica che avrebbe fatto liberare 1000 terroristi. Adesso, quel ragazzo per cui Netanyahu compì il pas­so di l­asciar liberi mille pericolo­si nemici, è forse un simbolo an­cora più splendente di quanto valore dia Israele alla vita, non importa di chi, come, quando...

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