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Rassegna Stampa
02.03.2013 Vaticano e primavere arabe: stessa crisi ?
Commento di Vittorio Dan Segre

Testata:
Autore: Vittorio Dan Segre
Titolo: «Cosa lega i problemi della Chiesa alla crisi delle 'primavere arabe'»

Sul GIORNALE di oggi, 02/03/2013, a pag.16, con il titolo ''Cosa lega i problemi della Chiesa alla crisi delle 'primavere arabe' '', Vittorio Dan Segre commenta le relazioni fra le due situazioni.

Sussulto profondo, emotivo nel mondo cristiano per le dimissioni del Papa; sussulto politico non meno emotivo nel mondo musulmano per la rivolta araba. C'è una connessio­ne fra questi due epocali eventi? Diretta­mente, certamente no. Ma osservando il parallelismo temporale di questi due sussulti storici, si possono captare aspetti che aiutano a meglio compren­dere due corsi di avvenimenti che han­no in comune un elemento apocalitti­co. Apocalittico è un termine che nel suo significato etimologico esprime ri­velazione, qui usato non nel senso bibli­co di fine del mondo, ma nel senso di qualcosa di nuovo esaltante, promet­tente e allo stesso tempo terrorizzante per l'energia che sprigiona (spesso mu­tuata in violenza) e per le sue imprevedi­bili conseguenze. Nei due casi si tratta di crisi profonde maturate in tempi dif­ferenti che toccano l'essenza stessa del potere e del funzionamento del potere: quello spirituale della Chiesa e quello nazionale dello Stato arabo. Entrambi debbono affrontare il problema della modernità; entrambi debbono far fron­te allo scontro fra autorità e consenso; fra disciplina e anarchia. Non sono com­petente per parlare della Chiesa. Da os­servatore esterno mi sembra che la deci­sione sorprendente e per molti incom­prensibile delle dimissioni di Benedet­to XVI in­dichi uno stato di profonda ten­sione fra la Chiesa istituzionalizzata e la cristianità. Da osservatore del mondo arabo musulmano mi sembra che l'esplosione socio-economica della ri­volta araba, già trasformata in controri­voluzione religiosa, indichi la profonda tensione fra lo Stato nazionale arabo fal­lito e quel­lo emergente islamico non an­cora ben strutturato. Nei due casi in co­mune c'é la volontà di rinnovamento e la ricerca di nuove forme di espressione di identità: dunque di bisogno di spe­ranza e di sviluppo diffi­cili da comprendere e misurare al momento ma che non debbono essere giudicate solo negativamente.
Detto questo è im­possibile non vedere le
abissali differenze fra le due crisi. La Chiesa possiede strutture di potere spirituale che il potere politico arabo non ha mai avuto. L'idea stessa di nazio­ne gli é estranea, importata dall'Europa coloniale. I suoi profeti indigeni- come il musulmano Nasser e il cristiano Aflaq cofondatore del movimento«Baath»si­ro- iracheno - non sono riusciti a far prendere radice al panarabismo nelle società locali. La tragedia della Siria, cul­la del «Risorgimento arabo», lo dimo­stra non meno della tribalizzazione de­gli altri Stati nazionali arabi. C'è poi, su un altro piano, quello della fede, una so­miglianza che- nonostante le differen­ze fra Islam e Cristianità- deve essere os­servata con rispettosa attenzione per­ché potrebbe avere conseguenze vera­mente apocalittiche nelle due società di credenti e in quelle laiche con cui coe­sistono.
Col fallimento delle ideologie euro­pee del XIX e XX secolo
e il crollo dei sistemi po­litici che avevano svi­luppato, con lo svilup­po dell'informazione globale, l'essere uma­no si sente sempre più isolato nella massa. Ha bisogno di una fede a cui aggrapparsi per da­re un senso e accettare la sua mortalità. Que­sto vale per i membri di tutte le religioni. Il risveglio dell'Islam non solo nei vecchi territori imperiali musulmani lo dimostra come l'espan­dersi della cristianesimo in Africa e nel­le Americhe. Sono movimenti cultura­li, migratori, di portata storica che si confrontano col problema del nuovo a cui le tradizioni faticano ad adattarsi. Lo fanno però, non senza incidenti di percorso, in direzioni opposte: la Chie­sa ricca di strutture forti, antiche e cen­tralizzate è alla ricerca di un nuovo lin­guaggio per affermare la sua autorità morale sulle masse dei suoi fedeli. L'Islam, che non ha chiesa centralizza­ta, cerca di sviluppare un nuovo lin­guaggio politico di guida per masse di fe­deli private dell'autorità statale. Non é un caso che i tre Stati musulmani- Tur­chia, Iran e Marocco- meno scossi dalla rivolta araba sono quelli in cui il potere politico e religioso hanno assieme ela­borato strutture, differenti fra loro, per rispondere alla sfida che la società lai­ca, democratica occidentale ha lancia­to a quei nuovi Stati (quello ebraico in­cluso) che tendono ad essere religiosi, moderni e democratici al tempo stesso.
Nessuno«specialista»islamico o vati­canista è oggi in grado di prevedere quello che succederà. Del resto, salvo qualche inascoltato esperto, nessuno ha previsto quello che sta succedendo. Per cui è pericoloso interpretare questi movimenti in base ad avvenimenti par­ticolari. Non ci sono solo complotti die­tro una decisione come quella del Pa­pa. Non ci sono solo Al Qaida e i Fratelli musulmani nella crisi tunisina, libica, egiziana, siriana e irachena. C'è qualco­sa di più profondo che ha elementi del­la rivolta luterana e della rivoluzione francese messe assieme ma con una im­portante differenza: l'Occidente ha avu­to vari secoli p­er digerire queste convul­sioni e a costi di sangue e di barbarie im­mensi;
il mondo arabo islamico le sta sperimentando in tempi molto più bre­vi e a una velocità incomparabile.

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