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Rassegna Stampa
04.10.2012 La povertà a Teheran fa scoppiare la rivolta del bazar
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La povertà a Teheran fa scoppiare la rivolta del bazar»

Sul GIORNALE di oggi, 04/10/2012, a pag.12, con il titolo "La povertà a Teheran fa scoppiare la rivolta del bazar", Fiamma Nirenstein commenta la situazione economica iraniana.
Ecco l'articolo:

Teheran, il mercato coperto                        Fiamma Nirenstein

È comunque una grande no­tizia, anche se non ne sap­piamo affatto l’esito, ma un dato di fatto è chiaro: esiste di nuo­vo un Iran co­raggioso, non tutto è stato sommerso nel bagno di san­gue in cui affo­garono le prote­ste del 2009.
Grande notizia, le sanzioni fun­zionano! Esiste un Iran stufo e spaventato dal­le sanzioni che hanno ucciso l’economia per­siana. L’esito di una operazio­ne che appari­va inconsisten­te, invece eccolo là, si vede nel gas dei fumogeni che la polizia del regi­me, in assetto di guerra, ieri ha spa­rato nelle vie di Teheran.
Non si tratta delle decine di mi­gliaia del 2010, nè di un immenso pubblico di giovani che chiede de­mocrazia. Si tratta invece del suk, della classe media, il bazar con la sua pazienza talora pusillanime, il suo ruolo di perno della stabilità, la piccola borghesia che però quan­do
si arrabbia si arrabbia e crea i cambi di regime: questo mondo si è stufato. Centinaia di persone han­no chiuso i commerci del bazar, giu­stificandolo poi con motivi di sicu­rezza, ma la verità è la rabbia per la miseria che attribuiscono alla fol­lia atomica del regime; sono stati fermati dalla polizia e minacciati. Molti dimostranti hanno gridato la loro rabbia sia alla banca centrale che a una banca di via Ferdowsi.
Agenzie di stampa si sono rincor­se con notizie che riguardavano an­che il fermo degli agenti di cambio di moneta straniera, accusati di aver causato con la caccia alla mo­neta forte il disastro, l’inflazione.
Un dollaro che veniva pagato 10mi­la rial ora costa intorno a 34.500. L’inflazione è cresciuta, secondo dati ufficiali, del 25 per cento in tre giorni, ma la realtà suggerisce addi­rittura che sia giunta al 50 per cen­to.
Le perdite di lavoro toccano tutti i settori, dall’industria al commer­cio e anche il lavoro intellettuale. Nemmeno i contratti dei ricercato­ri vengono rinnovati. Secondo l’opinione dell’economista irania­no
residente a Londra Mehrdad Emadi,consigliere dell’Unione Eu­ropea, «vedremo presto masse di disoccupati in coda per il pane». Il governo che elargiva generosi sus­sidi di stimolo all’impresa basata sul petrolio, non è più in grado di farlo. Le esportazioni di petrolio so­no declinate del cinquanta per cen­to nell’ultimo anno, e così i guada­gni della più vasta fonte di reddito sono calati del quaranta per cento. Quali conseguenze può avere questa nuova situazione? Il tono minaccioso, le minacce di guerra a Israele, le dichiarazioni di disprez­zo per l’Europa e gli Stati Uniti che Ahmadinejad ha rinnovato al­l’Onu sono il ruggito inane di un animale ferito. Ed è interessante che Netan­yahu, il premier israeliano, ab­bia ripetuto a NewYorkilrifiu­to dell’atomica iraniana, ma contonidiquie­ta attesa strate­gica e di riconci­liazione con Obama. Ades­so, si prepara a unviaggioinEu­ropa, in visita da Merkel e Hol­lande per con­vincerli a raffor­zare le sanzio­ni. Ovvero: Isra­ele, che fino a poco fa ritene­va fallimentare la politica di sanzioni cui di fatto il regime non ha mai risposto con qualche se­gnale di acquiescenza, che ha spin­to per anni Obama a attaccare le strutture nucleari, lascia in pace gli Usa nell’imminenza delle elezioni e ritiene invece che l’Europa possa giuocare un ruolo dirimente, ap­punto con le sanzioni.
C’è dietro la speranza del cam­bio, di mandare a casa gli ayatol­lah? Per ora è una speranza quasi inesistente. Non ci sono leader lai­ci in vista, non lo erano del resto neppure Hussein Mousavi e Meh­di Karroubi nel 2009. Essi comun­que, ambedue confinati agli arresti domiciliari, sono leader inagibili, e l’ex presidente«moderato»Khata­mi andando a votare per le elezioni parlamentari ha segnalato una qualche vicinanza al regime.
Per ora il famoso
regime change non è in vista. Si può prefigurare semmai un eventuale rallentamen­to. Ma, al contrario, si può anche ipotizzare che l’Iran punti tutto sul­la bomba per ricattare il mondo a far cessare le sanzioni. No, per ora il cambio di regime non è il titolo di te­sta. Forse, quello di governo. Ep­pure, non si può fare a meno di sperarci un poco.

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