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Rassegna Stampa
06.01.2012 Un paragone inaccettabile
Israele non è l'Afghanistan

Testata:
Autore: Manila Alfano
Titolo: «Naama e gli altri bambini che imbarazzano il potere»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 06/01/2012, a pag. 14, l'articolo di Manila Alfano dal titolo "Naama e gli altri bambini che imbarazzano il potere".


Hamid Karzai                                       Bibi Netanyahu

Nell'articolo vengono messi sullo stesso piano situazioni, episodi e Paesi che è impossibile paragonare. Com'è possibile mettere sullo stesso piano due democrazie come Israele e Gran Bretagna con l'Afghanistan?
La vicenda della bambina israeliana aggredita dagli ultraortodossi non assomiglia a quella della 15enne afghana massacrata dal marito perchè rifiutava di prostituirsi.
In Israele la vicenda di Naama Margolese ha suscitato scalpore perchè era un episodio grave e isolato. La legge non sta dalla parte degli ultraortodossi.
In Afghanistan, invece, un paio di anni fa Karzai approvò una legge che legalizzava lo stupro coniugale e le donne sono discriminate quotidianamente. Questo non rende meno grave l'episodio, ma non c'è similitudine fra Israele e l'Afghanistan.
Ecco il pezzo:

Il re è nudo. Quando vuoi svela­re l’imbarazzo del potere, la sua violenza, quella masche­ra gretta e meschina fatta di mise­ria, intolleranza, religione, pa­triarcato, menzogna, torna a guar­dare le storie dei bambini. Anche se fanno male, anche se in questo 2012 di crisi e profezie sembrano il segno di un mondo lontano. I bambini come vittime dell’assur­dità degli uomini e delle loro tradi­zioni, di leggi assassine e di morali­smi idioti. I bambini come cartina di tornasole dei costumi di una co­munità. I bambini contro cui sfo­gare odio e pregiudizi. I bambini che ancora fanno scandalo, che guardano l’obbiettivo dei fotogra­fi con gli occhi ancora lucidi di chi ha pianto. Eppure, quando la loro foto arriva sui giornali, vuol dire che ce l’hanno fatta. Che il peggio è passato.
A otto anni Naama Margolese è diventata un simbolo contro la se­gregazione delle donne in Israele.
Suo malgrado. Entrata nel mirino degli ultraortodossi per una ma­glietta con le maniche troppo cor­te e una gonna colorata che non copriva a sufficienza le ginocchia, è stata aggredita per strada dagli
estremisti religiosi. Punita con sputi, spintoni e qualche sassata lungo il tragitto di trecento metri tra casa e scuola. Agli occhi degli integralisti, errore imperdonabi­le quello di Naama, «provocante e scostumata. Immodesta».
La sua storia è iniziata a circola­re quando si è rifiutata di tornare a scuola. Gli si appannano ancora gli occhiali e le lacrime le scendo­no sulle guanciotte quando rac­conta ai giornalisti quello che ha passato. Nemmeno le critiche di Hillary Clinton, avevano scatena­to un tale putiferio: «Sembra di es­sere a Teheran», aveva detto, ma le sue parole infuocate non aveva­no fatto
centro come le lacrime di Naama. Lei ha smosso le coscien­ze, ha commosso tutti, ha costret­to Netanyahu a dire: «Israele è uno Stato democratico, occiden­tale, liberale. Non c’è spazio per persecuzioni o discriminazioni». La risposta degli ultra ortodossi non si è fatta attendere.
Migliaia hanno sfilato, vestiti con le uniformi a strisce dei campi di sterminio nazisti, hanno cucito sulle giacche dei bambini le stelle gialle. Ha fatto il giro del mondo l’immagine di un bambino con le mani alzate in segno di resa, che ri­corda tanto la foto del bambino terrorizzato nel ghetto di Varsavia
occupato dai nazisti. La battaglia è aperta, il coperchio si è alzato e d’ora in poi nulla sarà più come prima.
Le immagini di Sahar Gul, spo­sa bambina afghana di quindici anni picchiata e torturata dal mari­to e dalla suocera, sono riuscite quasi miracolosamente a rimbal­zare fin sulle pagine dei giornali occidentali. L’opinione pubblica internazionale si è mobilitata per la piccola. Indignazione, ira, sde­gno s­ono rimbalzate come un boo­merang nel villaggio nella provin­cia di Beghlan,
nel nord del Paese, fino a costringere Karzai a ordina­re un’inchiesta. Suocera e cogna­t­a della piccola sono già state arre­state, lei è stata trasferita in India per ricevere le cure necessarie, mai un caso simile era stato preso tanto a cuore dal presidente afgha­no, lì dove il caso di Sahar non è iso­lato. Qui una su tre subisce violen­ze fisiche e psicologiche. Secondo le Nazioni Unite il 25 per cento del­le donne sono state vittime di vio­lenza sessuale. A novembre, nella provincia di Kunduz, tre bambine tra i 12 e i 15 anni sono state brucia­te dall’acido da uno sconosciuto. La loro famiglia si era appena rifiu­tata di dare in sposa la figlia mag­giore ad un signore della guerra lo­cale.
Poi è arrivata Sahar a imba­razzare il potere. Il 2 gennaio Kar­zai ha rotto il silenzio. Impossibile continuare a far finta anche da­vanti alla terribile, atroce storia di Sahar. Ha promesso un Paese mi­gliore, più giusto. Forse non baste­rà, ma sicuramente è un piccolo, minuscolo passo in avanti per cambiare lo stato ingiusto di un Pa­ese tribale.
In Inghilterra, quando il potere è andato a bussare alla porta di Ri­ven Vincent, ha pensato per la pri­ma volta di potercela fare. La sto­ria di sua figlia Celyn, tetraplegi­ca, aveva colpito David Cameron, lui che ha perso un figlio di sei an­ni con la stessa malattia. In campa­gna elettorale aveva giurato alla madre che avrebbe tutelato le fa­miglie come la sua. Anche gli elet­tori ci avevano creduto. Poi sono arrivati i tagli alle amministrazio­ni e alla sanità. Celyn si è ritrovata sola.
Forse il declino di Cameron è iniziato già quel giorno.

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