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Rassegna Stampa
03.09.2010 I cattivi sono sempre israeliani, le vittime solo palestinesi, l'intifada è 'resistenza'
La storia a senso unico nel film di Julian Schnabel e Rula Jebreal

Testata:
Autore: Pedro Armocida
Titolo: «La storia a senso unico di Schnabel e Jebreal»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 03/09/2010, a pag. 29, l'articolo di pedro Armocida dal titolo " La storia a senso unico di Schnabel e Jebreal ".


Julian Schnabel, Rula Jebreal

Venezia - Sui titoli di testa la mappa dei territori palestinesi appare sfuocata. Poi, invece, la descrizione della storia di quella regione dal 1948, anno di nascita dello Stato d’Israele, agli accordi di Oslo del 1993, presto naufragati, è molto più nitida, precisa, minuziosa. Una lunga zoomata sul conflitto israelo-palestinese visto però sempre e solo da parte araba. Ma certo Miral di Julian Schnabel, passato ieri in concorso a Venezia e da oggi nelle nostre sale, non poteva essere diverso. Perché tratto dall’autobiografico La strada dei fiori di Miral edito da Bur e scritto da Rula Jebreal. Sì la ex giornalista di Annozero che nel 2006 mentre intervistava Antonio Di Pietro si beccò, da una voce fuori onda non meglio identificata, lo sgradevole epiteto di «gnocca senza testa». Sentenza quanto mai sballata, oltre che di cattivo gusto, perché Rula Jebreal è una tosta che sa bene cosa vuole e come ottenerlo. E Miral, da lei stessa sceneggiato, ne è la dimostrazione. Perché oltre ad avere dietro la macchina da presa un artista del calibro di Schnabel (prima ancora che regista, pittore quotatissimo ma anche compagno della Jebreal) ha produttori diversi e di peso come Tarak Ben Ammar, la francese Pathé e l’italiana Eagle. Insomma i mezzi non sono mancati per far sì che la storia autobiografica e complicata di Rula Jebreal, dalle pagine di un libro arrivasse sul grande schermo con il bellissimo volto di Freida Pinto (l’acclamata attrice indiana di The Millionaire) e un cast importante (Hiam Abbas, Willem Dafoe, Vanessa Redgrave).

La fiction è poca, i personaggi veri: «Parlo di una terra grande e di una bimba piccola di nome Miral che oggi rappresenta tante ragazzine che aspettano un aiuto», dice la Jebreal su cui si ieri s’è concentrata quasi tutta l’attenzione visto che Freida Pinto non è potuta essere al Lido. Tutto ha inizio nel 1948 in una Gerusalemme consumata dalla guerra quando una donna, Hind Husseini, incontra per la strada un nugolo di bambini ormai orfani. Li porta con sé, li sfama e li accoglie la notte. Nel giro di qualche settimana diventeranno duemila e la casa si trasformerà nell’istituto Al-Tifl Al-Arabi tutt’ora operante nonostante la morte nel ’94 della fondatrice. Un luogo dove Miral ha modo di conoscere tante amiche dalle storie più disperate. Ecco Nadia, Fatima e poi Miral stessa dal nome di un fiore rosso. Capitoli che scandiscono il film e la vita di Rula: «Dopo che ho lasciato Gerusalemme per recarmi in Europa, ho sentito che i miei ricordi, la mia identità mi erano stati rubati. Ho capito che dovevo raccontare la mia storia, unire il mio passato con il mio futuro, non solo perché era importante per me ma per tutte le ragazze che hanno vissuto queste stesse cose e che le vivono tutt’ora. Miral in parte sono io... ma è anche tutte queste ragazze».
La bambina viene portata dal padre, con cui starà solo nei fine settimana, nella scuola a 7 anni nel 1978 in seguito alla morte della madre. A 17 anni durante la prima Intifada va a insegnare nei campi profughi e lì conosce un fervente attivista politico di cui si innamorerà. Le toccherà però scegliere se combattere oppure se seguire gli insegnamenti di «mama» Hindi secondo cui la mediazione, la conoscenza e l’istruzione sono l’unica strada per la pace. La scelta le sarà facilitata dall'assassinio dell’uomo per faide interne ai movimenti palestinesi. «Il mio libro - dice la scrittrice - è un omaggio a quella che è per me è stata una madre e a mio padre. Mi hanno insegnati i valori della tolleranza e dell’educazione che spesso è negata. E oggi in Medio Oriente una donna è in grado di poter fare delle scelte solo se ha cultura». Il messaggio del film sarà di pace ma la serie di tragici eventi che descrive sono tutti provocati dagli israeliani oppressori. Carri armati, checkpoint, prigioni dove si pratica la tortura, soldati che sparano, buttano giù case e arrestano. E i palestinesi? L’Intifada è un movimento di resistenza. Di kamikaze neanche l’ombra. Al massimo si vede lasciare un’auto-bomba vicino a un traliccio a spegnere qualche luce della città. Curiosa la spiegazione del regista, ebreo americano: «Diceva Jean Renoir: Il problema è che al mondo ognuno ha le sue ragioni. Io volevo vedere la storia dall’altro punto di vista».

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