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israele.net Rassegna Stampa
28.07.2023 Due Israele contrapposti, a Tisha B’Av
Analisi di Michael Oren, da Israele.net

Testata: israele.net
Data: 28 luglio 2023
Pagina: 1
Autore: Michael Oren
Titolo: «Due Israele contrapposti, a Tisha B’Av»
Due Israele contrapposti, a Tisha B’Av
Analisi di Michael Oren, da Israele.net

A destra: la Corte Suprema

Michael Oren - Wikipedia
Michael Oren

Ciò che alla fine mi ha veramente colpito è stato il selfie. Al momento dell’approvazione del disegno di legge che priva la Corte Suprema della facoltà di annullare tutta una serie di possibili decisioni del governo sulla base del criterio della “ragionevolezza”, i parlamentari della coalizione si sono assiepati intorno al ministro della Giustizia Yariv Levin e si sono fatti un selfie. L’espressione dei loro volti era raggiante, trionfante. Gli uomini, ad eccezione di Levin, indossavano la kippà. Fuori dalla Knesset, decine di migliaia di manifestanti erano costernati e sgomenti per la perdita dell’Israele che amano e per cui hanno militato e si sono sacrificati. Eppure quei parlamentari gongolavano raggianti. Due giorni prima di Tisha B’Av (ricorrenza della caduta del Primo e Secondo Tempio ndr), il giorno in cui ricordiamo il terribile prezzo che comporta ebrei che odiano ebrei, quei parlamentari festeggiavano l’angoscia e l’umiliazione dei loro connazionali. Tutti hanno la propria storia su come si sono regolati di fronte alle agitazioni civiche innescate sette mesi fa dai piani del nuovo governo per la riforma giudiziaria. Molti sono scesi in piazza mentre altri schiumavano in casa, a favore o contro quei progetti. Alcuni di noi – immagino di non essere il solo – si sono trovati intrappolati tra due Israele in conflitto, tra Scilla e Cariddi ebraiche. Uno dei miei due Israele è simboleggiato dal circolo nautico sul fiume Yarkon dove molte mattine vado a vogare. Fondato nel 1935 da ebrei profughi della Germania nazista, il club è un maestoso edificio rivestito di pannelli di legno, completo di bar, che sarebbe più appropriato nella Boathouse Row di Filadelfia che in via Ussishkin a Tel Aviv. I miei compagni di club vivono quasi invariabilmente nella parte settentrionale della città e nei suoi eleganti satelliti. Sono professionisti, in gran parte ashkenaziti, politicamente di sinistra. Come prevedibile, una parte di loro ha manifestato contro il progetto di privare la Corte Suprema della sua essenziale funzione di controllo sul governo. La posta in gioco era il loro Israele: liberale, moderno, aperto e inclusivo, normale quanto può esserlo uno stato ebraico in Medio Oriente. Undici chilometri più a sud c’è l’altro mio Israele, quasi un altro paese. E’ l’Israele della comunità della mia sinagoga. Principalmente mizrachi, religiosi nazionali, conservatori e, in misura significativa, della classe operaia. Parlando con loro e con molti dei miei vicini, ho sentito ripetutamente sostenere che ai manifestanti non importa affatto della democrazia. Al contrario, è il governo che cerca di difendere la scelta “del popolo” dall’ingerenza di giudici non eletti e non rappresentativi. L’obiettivo dell’opposizione, dicono, è solo quello di preservare il potere perso alle urne dalla élite ashkenazita che fa quadrato attorno all’ultimo baluardo di quel potere, la Corte Suprema. Se non sul piano intellettuale, sul piano emotivo ero diviso tra questi due Israele. Durante il periodo in cui sono stato alla Knesset avevo presentato una proposta di riforma della Corte Suprema. Poiché i suoi giudici vengono scelti da un comitato che comprende, fra l’altro, giudici in carica e altri giuristi, la Corte tende a perpetuare la propria visione del mondo, mentre quella della Knesset si sposta e cambia riflettendo le tendenze dell’opinione pubblica. Questo divario ha posto le nostre due istituzioni centrali in rotta di collisione, cosa che, temevo, avrebbe potuto portare prima o poi a una legge di “prevalenza” della Knesset che avrebbe di fatto posto fine al controllo giudiziario, il pilastro di tutti i sistemi democratici. La mia proposta prevedeva di aumentare la facoltà del governo di nominare parte della Corte – il mio modello era l’America [che tuttavia è un sistema presidenziale a Costituzione scritta ndr] – e di delimitarne l’ambito di competenza, che è il più ampio del mondo. La democrazia sarebbe risultata rafforzata, sostenevo, pur preservando il controllo giudiziario. La riforma proposta dal governo affronta alcuni di questi nodi ma, fatalmente, abbandona il controllo giudiziario. Per di più, il piano è stata portato avanti con un iter legislativo precipitoso da una maggioranza relativamente ristretta, che rappresenta alcuni dei segmenti più controversi e inquietanti della società israeliana e si regge sul sostegno di ministri con precedenti penali. La coalizione, ne ho concluso, affrontava un problema vero, ma nel modo sbagliato e con gli sponsor sbagliati. Allo stesso tempo, sono rimasto contrariato dal rifiuto di molti dell’opposizione di prendere in considerazione qualsiasi riforma e, in ogni circostanza, di riconoscere la legittimità del governo. Sul piano intellettuale le cose mi apparivamo chiare, per cui ho esortato a congelare l’iter legislativo e andare avanti con le trattative multi-partitiche per la ricerca di un compromesso. Paventavo i precedenti creati dalla politicizzazione dell’esercito, delle comunità mediche e imprenditoriali, del sindacato Histadrut. Capivo quegli israeliani che non riuscivano a muoversi a causa delle manifestazioni. Capivo il timore di quei politici, sia della coalizione che dell’opposizione, di perdere i propri elettori scendendo a compromessi. Soprattutto, però, soffrivo alla vista di questo prezioso paese che veniva lacerato dai due Israele contrapposti. Sono rimasto combattuto tra i due, tormentato dal pensiero che non condividessero più un lessico comune e tanto meno una visione unita del nostro futuro. Entrambi si sono arrogati il ruolo di difensori della democrazia ed entrambi accusano l’altro di mirare a un colpo di stato. La mia unica consolazione risiedeva nella convinzione che, in fin dei conti, siamo ancora tutti israeliani, ancora parte di un popolo con un destino comune e un ricordo del nostro doloroso passato. Tutti ricordiamo Tisha B’Av. Poi è arrivato quel selfie. Invece di mostrare umiltà, invece di rivolgersi ai manifestanti e dire “anche se siamo appassionatamente in disaccordo, entrambi agiamo per amore del nostro paese e quell’amore deve sempre legarci”, invece i membri della coalizione hanno esultato e gioito. Anziché ricordare gli ebrei che uccidevano altri ebrei all’interno di Gerusalemme mentre i Romani la assediavano, e il déjà vu di israeliani che combattono altri israeliani mentre l’Iran ci assedia con terroristi, missili e armi nucleari, i membri del governo hanno gongolato per la vittoria. Anche se rimarrò in una certa misura intrappolato tra quei due Israele, l’immagine di quel selfie continua a perseguitarmi. Mi chiedo: quei parlamentari, che si vogliono religiosamente osservanti, digiuneranno come è consuetudine a Tisha B’Av? Leggeranno il Libro delle Lamentazioni: la gioia si è spenta nei nostri cuori, si è mutata in lutto la nostra danza [5:15]? Oppure, fra qualche generazione, guarderemo indietro con tristezza e ci chiederemo, come fecero i nostri antenati 2.500 anni fa: Come? Come è stato possibile? 
(Da: Times of Israel, 25.7.23)

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