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israele.net Rassegna Stampa
13.06.2023 Quattro miti del conflitto arabo-israeliano smontati da un incidente terroristico “di routine”
Analisi di Stephen M. Flatow, da Israele.net

Testata: israele.net
Data: 13 giugno 2023
Pagina: 1
Autore: Stephen M. Flatow
Titolo: «Quattro miti del conflitto arabo-israeliano smontati da un incidente terroristico “di routine”»
Quattro miti del conflitto arabo-israeliano smontati da un incidente terroristico “di routine”
Analisi di Stephen M. Flatow, da Israele.net

Stephen M. Flatow Archives - JNS.org
Stephen M. Flatow

Ilan Pappe: “Jenin non dimenticherà il massacro israeliano”
Jenin

A volte si può apprendere tutto ciò che c’è da sapere sul conflitto arabo-israeliano da un incidente relativamente minore. Lo scontro a fuoco avvenuto a Jenin lo scorso 29 maggio tra soldati israeliani e terroristi arabi palestinesi potrebbe sembrare un incidente di routine. Le truppe israeliane sono brevemente entrate in una città governata dall’Autorità Palestinese all’inseguimento di terroristi ricercati. Bersagliati da fuoco fitto, i soldati israeliani hanno reagito e un terrorista di nome Ashraf Mohammad Ibrahim è rimasto ucciso. Sembra il tipo di episodio che abbiamo già visto ripetersi decine e decine di volte. Ma uno sguardo più attento ai dettagli, e alle loro implicazioni, contribuisce a smontare quattro dei miti più radicati sul Medio Oriente.

Mito 1. Un’Autorità Palestinese dotata di adeguate forze di polizia, le userà per combattere il terrorismo (aprendo la strada a ritiri e concessioni da parte di Israele ndr). Questa fu una delle principali premesse alla base degli Accordi di Oslo (1993-95). Israele acconsentì alla creazione di una forza di sicurezza palestinese di 10.000 uomini. L’amministrazione Clinton si offrì di addestrarli e armarli. Negli anni, l’Autorità Palestinese ha gradualmente gonfiato la sua polizia fino a 30.000 uomini, rendendola una delle forze di sicurezza più grandi al mondo in proporzione alla popolazione. Ma invece di arrestare i terroristi, chiudere i loro covi e confiscare i loro depositi di armi, l’Autorità Palestinese permette ai terroristi di operare liberamente e anzi li protegge dall’arresto da parte delle forze israeliane (la polizia palestinese reprime con pugno di ferro solo i gruppi politici o armati che minacciano il potere di Abu Mazen e soci ndr). Peggio ancora, molti di questi “poliziotti” dell’Autorità Palestinese sono anche attivi nei gruppi terroristi. Ashraf Mohammad Ibrahim, il terrorista morto nello scontro a fuoco a Jenin del 29 maggio, era un ufficiale del Servizio di Intelligence Generale dell’Autorità Palestinese, stando a quanto riferito dall’agenzia di stampa dell’Autorità Palestinese, Wafa.

Mito 2. Fatah ha abbandonato il terrorismo. Un altro dei precetti fondamentali degli Accordi di Oslo era che Fatah – la più grande fazione dell’Olp e dell’Autorità Palestinese – aveva sinceramente ripudiato il terrorismo. In realtà, Fatah ha semplicemente formato una nuova unità terroristica, le “Brigate Martiri di al-Aqsa” (come negli anni ’70, quando aveva inventato Settembre Nero ndr) e ha continuato le sue attività omicide sotto quel nome (vantandosene ndr). La stessa pagina Facebook di Fatah descrive apertamente le Brigate Martiri di al-Aqsa come il “braccio militare” di Fatah. Nel 2005 uno studio del Servizio ufficiale di ricerca del Congresso degli Stati Uniti riferiva: “Il 18 dicembre 2003 Fatah ha chiesto ai capi delle Brigate Martiri di Al-Aqsa di entrare nel Consiglio di Fatah, riconoscendole ufficialmente come parte dell’organizzazione di Fatah”. Ashraf Mohammed Ibrahim era appunto “un combattente delle Brigate Martiri di Al-Aqsa”, come riferito da YnetNews (al funerale, la salma di Ashraf Ibrahim era adornata da una kefia con la scritta “Brigate Martiri di Al-Aqsa ndr).

Mito 3. E’ la povertà che provoca il terrorismo. Spesso e volentieri gli “esperti” affermano che i terroristi arabi palestinesi sono specificatamente dei giovani disoccupati e “senza futuro”, spinti al terrorismo dalle loro gravi condizioni socio-economiche personali. Ashraf Mohammed Ibrahim non era né giovane né disoccupato. Aveva 38 anni e aveva un lavoro fisso e ben pagato come ufficiale dell’Intelligence Generale dell’Autorità Palestinese. Secondo la televisione palestinese, “si stava preparando a sposarsi”. Stando agli “esperti”, Ibrahim era il candidato meno probabile per diventare terrorista. Aveva tutto da perdere. Eppure ha impugnato la sua arma e ha cercato di uccidere ebrei. Perché? Perché la causa principale del terrorismo non è la povertà o la disperazione. E’ l’ideologia: nazionalismo arabo oltranzista, fondamentalismo musulmano, vieto antisemitismo.

Mito 4. E’ l’occupazione israeliana la causa del perdurare del conflitto. L’occupazione israeliana sui palestinesi è terminata nel 1995, quando Israele ha ritirato le sue truppe e la sua amministrazione militare dalle regioni dove risiede il 98% degli arabi palestinesi, e che da allora sono controllate dall’Autorità Palestinese. Nei successivi 28 anni, un’intera generazione di arabi palestinesi è cresciuta sotto il governo dell’Autorità Palestinese: hanno frequentato scuole dell’Autorità Palestinese, hanno ascoltato la radio dell’Autorità Palestinese, hanno guardato la televisione dell’Autorità Palestinese, hanno prestato attenzione a predicatori nominati dall’Autorità Palestinese. Forse che l’Autorità Palestinese li ha educati ad abbracciare la pace e la convivenza non violenta? No, tutt’altro. In quanto residente nella Jenin governata dall’Autorità Palestinese, Ashraf Mohammed Ibrahim era un prodotto del sistema scolastico ed educativo dell’Autorità Palestinese. L’Autorità Palestinese avrebbe potuto insegnargli a essere un cittadino pacifico. Invece Ibrahim trascorse i suoi anni scolastici imparando che gli ebrei sono malvagi e meritano di essere assassinati. Da adulto non ha fatto altro che agire in base a ciò che i “cattivi maestri” dell’Autorità Palestinese gli avevano insegnato. Anche gli altri abitanti di Jenin sono stati nutriti con una dieta a base di odio. Se l’Autorità Palestinese avesse fatto pedagogia di pace, oggi proverebbero imbarazzo e vergogna per il fatto che uno di loro è diventato un terrorista. Invece, esaltano Ibrahim come un eroe e un martire. Vaste folle sono accorse al suo funerale. I funzionari della città hanno proclamato un giorno di sciopero generale per onorarlo. Invece di ripudiare il terrorista, lo celebrano e glorificano. Questo è il risultato di trent’anni di governo e di educazione dell’Autorità Palestinese sugli abitanti di Jenin.

Ecco dunque quattro utili insegnamenti che si possono trarre da un incidente di routine. Non è necessario essere laureati ad Harvard o esperti di un think tank per comprendere il conflitto arabo-israeliano. Basta seguire con attenzione le notizie.

(Da: Jerusalem Post, 4.6.23)

 


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