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israele.net Rassegna Stampa
04.05.2023 Giustificare l’uccisione di civili israeliani non è “pro-palestinese”: è solo terrorismo anti-ebraico
Commento di Eitay Mack, da Israele.net

Testata: israele.net
Data: 04 maggio 2023
Pagina: 1
Autore: Eitay Mack
Titolo: «Giustificare l’uccisione di civili israeliani non è “pro-palestinese”: è solo terrorismo anti-ebraico»
Giustificare l’uccisione di civili israeliani non è “pro-palestinese”: è solo terrorismo anti-ebraico
Commento di Eitay Mack, da Israele.net

Shireen Abu Akleh's killing should come as no surprise – Israel admits it  targets journalists | The Independent
Eitay Mack

Giustificare l'uccisione di civili israeliani non è

Molte questioni nel nostro mondo possono e devono essere discusse, ma una cosa non può essere contestata: sussiste un divieto assoluto di uccidere deliberatamente civili non combattenti, indipendentemente dal gruppo etnico, religioso, sociale, sessuale e nazionale a cui appartengono. Il diritto alla vita è protetto da ogni trattato generale sui diritti umani e dal diritto consuetudinario. Ciononostante, vi sono fin troppe persone che non si vergognano di sostenere o legittimare le deliberate aggressioni e uccisioni di civili ebrei israeliani. Non ci sono scuse. O uno è favorevole oppure è contro la deliberata aggressione e uccisione di civili non combattenti. Non c’è nulla che legittimi l’aggiunta di “se” e “ma” o di chiose del tipo “non si può ignorare il contesto dell’occupazione”, “i palestinesi non hanno altra scelta” o “non si può giudicare il metodo di lotta per la libertà scelto dai palestinesi”. Purtroppo questi esempi sono relativi a casi relativamente “lievi”. Disgraziatamente vi sono anche troppi casi in cui l’aggiunta include affermazioni secondo cui non esistono ebrei israeliani che siano autentici civili, sono tutti coloni e colonialisti e sono tutti ex soldati o potenziali soldati (bambini compresi ndr) o soldati della riserva, e in base a questo potrebbero o dovrebbero essere bersagli legittimi. Per inciso, queste posizioni non si discostano molto da quelle delle frange più estreme della destra israeliana ed europea secondo le quali tutti i musulmani e tutti i palestinesi rappresentano indistintamente una minaccia alla sicurezza in quanto terroristi, e dunque sarebbero un obiettivo legittimo per attacchi letali. Esiste anche una versione formulata in modo più ” giuridico” e avvocatesco, secondo la quale il fatto che esista una occupazione negherebbe a Israele il diritto di difendere i propri civili dagli attacchi mortali di palestinesi armati. Questa affermazione è in contraddizione con tutte le pertinenti convenzioni del diritto internazionale umanitario, nonché altre convenzioni delle Nazioni Unite che si occupano dell’uso della forza, che proibiscono la punizione collettiva e gli attacchi mortali mirati contro i civili. La verità è che ogni paese ha il diritto e il dovere di proteggere la vita dei civili non combattenti, come definiti dal diritto internazionale. Negli ultimi anni si è sollevato un putiferio nei partiti politici europei, nel mondo accademico, nei sindacati, nelle organizzazioni generali per i diritti umani e nelle specifiche organizzazioni di solidarietà palestinese riguardo alla definizione operativa di antisemitismo redatta dall’Alleanza Internazionale per la Memoria della Shoà (IHRA). Sostengono che la definizione sia troppo ampia e che venga utilizzata per mettere a tacere chi critica Israele e per impedire una discussione onesta del fenomeno dell’antisemitismo che in alcune delle sue versioni si manifesta in relazione allo stato d’Israele. La polemica sulla definizione dell’IHRA distoglie l’attenzione dalla realtà di fatto che il problema dell’antisemitismo è reale e doloroso, e che in troppi luoghi è dilagante. Vien da pensare che se le stesse energie e risorse investite nell’acceso dibattito contro la definizione dell’IHRA venissero dedicate a lottare contro l’antisemitismo, forse il fenomeno si ridurrebbe. Dunque non sorprende che negli ultimi anni parecchie lettere e petizioni contro l’adozione della definizione IHRA da parte di stati e istituzioni pubbliche contengono una sorta di disclaimer in cui i firmatari ammettono che in effetti esiste un problema reale di antisemitismo che mette in pericolo le comunità ebraiche nel mondo, ma l’ammissione sembra “escludere” la popolazione civile ebraica d’Israele, o come minimo relegarla ai margini della notazione. Molto probabilmente, se le petizioni includessero un riferimento esplicito ed evidente al fatto che esiste anche un serio problema di antisemitismo in relazione agli ebrei israeliani, e che vi sono fin troppe persone che approfittano delle critiche a Israele per manifestare posizioni antisemite e sostenere o legittimare l’aggressione contro ebrei, almeno una parte dei firmatari toglierebbe la propria firma. Per via delle regole di buona condotta nella moderna società democratica, le persone naturalmente negano di essere razziste e cercano di tutelare se stesse e il proprio status sociale da tale accusa. Ecco perché non ha senso che i sondaggi chiedano direttamente alle persone se sono antisemite o se hanno opinioni antisemite. Come in una visita medica, non si chiede al paziente di auto-diagnosticare la propria malattia. Bisognerebbe invece descrivere situazioni diverse e chiedere cosa l’intervistato vede o prova, e solo così cercare di arrivare a una conclusione. Un altro passo è scoprire se si tratta di un problema momentaneo o cronico. Le stesse persone che sostengono o legittimano l’uccisione deliberata di ebrei israeliani non affermano mai allo stesso modo che sia tollerabile uccidere deliberatamente civili russi a causa delle guerre in Ucraina e Siria; uccidere civili britannici a causa del conflitto in Irlanda del Nord; uccidere civili americani, britannici e australiani a causa delle guerre in Afghanistan e Iraq. Analogamente, nessuno sostiene che vada bene ammazzare civili britannici e norvegesi a causa delle industrie di armi dei loro paesi; ammazzare civili cinesi a causa del Tibet e dello Xinjiang; ammazzare civili indiani a causa del Kashmir; ammazzare civili francesi a causa del forte coinvolgimento militare della Francia nelle guerre civili in molti paesi africani; ammazzare civili norvegesi per la responsabilità della loro industria del petrolio e del gas nei cambiamenti climatici; o ammazzare civili dell’Unione Europea a causa di quel cimitero di richiedenti asilo che è diventato il Mar Mediterraneo. La maggior parte delle persone che glorificano come eroi i palestinesi che hanno sequestrato e dirottato aerei con civili a bordo probabilmente si guarderebbero dal celebrare i dirottatori degli aerei dell’11 settembre o i responsabili dell’attentato di Lockerbie che fece esplodere nel cielo della Scozia un aereo civile con a bordo centinaia di passeggeri. Non serve precisare le persone specifiche che fanno tali affermazioni. Le loro opinioni sono apertamente pubblicate in articoli di giornale e sui social netowork, e diversi di loro hanno costruito la propria capacità di influenza sociale sostenendo di essere stati messi a tacere, di essere vittime di campagne diffamatorie o di essere in altro modo perseguitati dai “filo-israeliani”. Se dalla “visita medica” risulta che, secondo loro, gli unici civili al mondo che non hanno diritto alla vita e a qualsiasi protezione sono gli ebrei israeliani, non è necessaria la definizione dell’IHRA o di qualsiasi altra organizzazione. Basta usare il buon senso per riconoscere in questo luna manifestazione per antonomasia della malattia dell’antisemitismo. Solo allora si può passare alla fase successiva ed esaminare se si tratta di una dichiarazione antisemita estemporanea, che può essere scusabile, o di una persona antisemita affetta da una forma cronica di odio e razzismo. Questo è l’elefante nella stanza. La maggior parte di costoro non oserebbe mai sostenere o legittimare pubblicamente l’uccisione di ebrei nelle strade di Londra, Parigi, Oslo o Berlino. Sanno che farlo potrebbe segnare la fine della loro carriera e che finirebbero socialmente ostracizzati. Ma i governi europei e i loro servizi di sicurezza sanno bene che, per i gruppi armati, la distinzione tra “comunità ebraiche” ed ebrei israeliani è del tutto artificiosa e irrilevante. I governi europei sono costretti a investire continuamente vaste risorse umane, finanziarie e di intelligence per prevenire attacchi sanguinosi a potenziali obiettivi israeliani ed ebraici nei loro territori: sinagoghe, scuole ebraiche, negozi e centri comunitari devono essere costantemente sorvegliati e tenuti in sicurezza. Gli aerei che partono dalle capitali europee verso Tel Aviv necessitano di speciali misure di sicurezza per garantire che non vengano dirottati o fatti saltare in aria. Dopo aver letto circa 500 fascicoli del Ministero degli Esteri negli archivi di stato israeliani che trattano del rapporto tra Germania e Israele fino agli anni ’90, ho constatato che per decenni il governo tedesco si è costantemente adoperato per prevenire attacchi contro obiettivi ebraici e israeliani nel suo territorio, principalmente da parte di organizzazioni armate palestinesi e talvolta di organizzazioni di estrema destra o estrema sinistra che agivano separatamente o in collaborazione con le organizzazioni armate palestinesi. Il massacro alle Olimpiadi di Monaco fu solo una goccia in un mare di piani e tentativi di attacco che vennero prevenuti. E si è visto il caso drammatico di Buenos Aires, capitale dell’Argentina, dove il 18 luglio 1994 l’edificio del Centro della comunità ebraica venne fatto esplodere uccidendo 85 persone e ferendone 330. (…) I partiti politici europei, il mondo accademico, i sindacati, le organizzazioni generali per i diritti umani e le organizzazioni specifiche di solidarietà per i palestinesi dovrebbero prendere seri provvedimenti nei confronti di coloro che esprimono sostegno o legittimano l’aggressione e l’uccisione deliberata di civili non combattenti: che siano ebrei, palestinesi o altri.
(Da: Ha’aretz, 30.4.23)

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