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Ottant’anni dopo, l’eco di Wannsee risuona ancora
Analisi di Matthias Kuntzel
(da Israele.net)
Matthias Kuntzel La villa della conferenza a Wannsee Le Guardie Rivoluzionarie iraniane si vantano che “raderanno al suolo il regime sionista in meno di otto minuti”. Il documentario televisivo iraniano A 7 minuti da Tel Aviv esibisce filmati di attacchi simulati contro obiettivi chiave in Israele, tra cui il reattore nucleare di Dimona, la Knesset, centri culturali e commerciali di Tel Aviv. La Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, ha proclamato che al più tardi entro il 2040 Israele non esisterà più e a Teheran un orologio tiene il conto alla rovescia dei giorni che mancano alla fine decretata per Israele. Khamenei ha persino riutilizzato un termine del protocollo della Conferenza di Wannsee: “soluzione finale”. Tutti sanno cosa significava quel termine. Khamenei è il primo leader mondiale che lo adotta come obiettivo. Sulla sua homepage ha promosso in diverse lingue un poster che proclama: “La Palestina sarà libera. La soluzione finale: resistenza fino al referendum”. Per Hitler, la “soluzione finale della questione ebraica” era l’annientamento degli ebrei. Per Khamenei, la “soluzione finale” della questione israeliana è l’annientamento di Israele. La maggior parte della popolazione iraniana rifiuta l’odio del regime nei confronti di Israele, che è indissolubilmente legato a una visione del mondo antisemita, con tanto di la negazione della Shoà e deliri complottisti. Il regime iraniano usa i termini “sionista” e “sionismo internazionale” esattamente nello stesso modo in cui Hitler usava i termini Jude e Weltjudentum (ebreo e giudaismo mondiale): come l’incarnazione del male. Ne segue, in entrambi i casi, uno spietato scenario distopico: come la “pace tedesca” di Hitler richiedeva lo sterminio degli ebrei, così la “pace islamica” della dirigenza iraniana richiede l’eliminazione di Israele. Torna alla mente un’osservazione di Elie Wiesel: quando qualcuno dice che vuole ucciderti, credigli. La comunità internazionale, tuttavia, non vuole riconoscere questa ambizione omicida. Evita persino di chiamare con il suo nome l’antisemitismo del regime iraniano. Ma le parole contano. Modellano il nostro modo di pensare e determinano le nostre azioni. Il termine “antisemita” ha una dimensione storica. Parlare di antisemitismo significa ricordare la conferenza di Wannsee e quindi i pericoli associati a quella mostruosa follia. Significa mobilitare non solo la nostra conoscenza storica, ma anche la nostra attuale responsabilità storica. Sono passati ottant’anni dalla Conferenza di Wannsee. Ma l’eco di Wannsee risuona ancora, con la sua volontà di estendersi e preparare un nuovo genocidio. Oggi il nostro primo dovere è impedirlo.
(Da: Times of Israel) http://www.israele.net/scrivi-alla-redazione.htm |
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