(di Virginia Di Marco) (ANSAmed) - ROMA - Il controverso muro di separazione tra Israele e Cisgiordania compie 10 anni: e in Italia arriva un docufilm, già premiato al Sundance Festival, dedicato alla resistenza popolare palestinese.

Il 14 aprile 2002 l'allora premier israeliano, Ariel Sharon, annunciava urbi et orbi la costruzione di una «barriera difensiva» tra lo Stato ebraico e i territori palestinesi. Erano gli anni della seconda Intifada (2000-2005) e la funzione dichiarata del muro era di proteggere la popolazione dai terroristi kamikaze provenienti dalla Cisgiordania. Ma il tracciato della barriera fu progettato senza rispettare la Green Line (il confine internazionalmente riconosciuto tra Israele e i territori occupati nella guerra dei Sei giorni).

E Israele, pur avendolo modificato varie volte, ha di fatto annesso porzioni di territorio palestinese. «L'85% del percorso passa dentro i territori palestinesi», denuncia Haggai Matar, giornalista israeliano liberal. Un dato che spiega perché dieci anni non sono bastati a placare le polemiche sul progetto, né le proteste dei palestinesi. Proteste di cui il villaggio di Bil'in (meno di duemila abitanti, a 4 km dalla Green Line) è diventato un simbolo: i suoi abitanti manifestano ormai da anni, tutti i venerdì, contro la barriera, di cui chiedono al rimozione. Sostenuti, peraltro, anche da attivisti israeliani e internazionali. «Lo scopo principale del muro è confiscare terre palestinesi»: l'accusa senza mezzi termini è del regista israeliano Guy Davidi, che insieme al palestinese Emad Burnat, ha realizzato il docufilm '5 Broken Cameras' sull'impatto della costruzione del muro sulla vita di una famiglia di Bil'in. L'antiprima italiana sarà domenica prossima, al 'Film Middle East Now' di Firenze.

«Dire che si tratta di una barriera difensiva - dichiara Davidi ad ANSAmed - è falso. Se qualcuno sceglie la violenza, non basta un muro a fermarlo. Guardate cosa succede con Gaza: il confine è sigillato, ma questo non impedisce continui attacchi e lanci di ordigni». Eppure, negli ultimi anni il numero di attentati perpetrati da palestinesi della Cisgiordania è sceso drasticamente. «Dipende solo da un cambiamento culturale degli abitanti dei territori, che in questo momento non credono nella resistenza violenta». «Ma certo - conclude il regista - il vento potrebbe cambiare». (ANSAmed).

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