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La Gazzetta dello Sport Rassegna Stampa
05.01.2009 La politica estera sul quotidiano rosa: che disastro !
minusier, fa 'l to misté !

Testata: La Gazzetta dello Sport
Data: 05 gennaio 2009
Pagina: 35
Autore: Giorgio Dell'Arti
Titolo: «Ma perchè Israele vuol riprendersi Gaza ?»
Sulla GAZZETTA dello SPORT di oggi, 05/01/2009, con il titolo "Ma i palestinesi potrebbero vincere ? " , Giorgio Dell'Arti scrive l'articolo che pubblichiamo. Ci stupisce la sua visione unilaterale e gli errori (il più madornale è quando scrive che Gaza è territorio israeliano ). Strano, Dell'Arti gran lettore di giornali, e attento e preciso nelle citazioni, forse ha perso familiarità con le pagine di politica estera. Tutto il pezzo è comunque orientato da una parte sola, non degno di un bravo giornalista ( quale ritenevamo Giorgio Dell'Arti fosse). Invitiamo i nostri lettori a protestare con la GAZZETTA dello SPORT cliccando sulla e-mail dopo l'articolo.
 
Gli israeliani ieri sera erano arrivati alla periferia di Gaza City, avendo ammazzato nella loro marcia quaranta palestinesi e tra questi una famiglia di cinque persone che stava in macchina ed è stata centrata da un colpo di cannone sparato da un tank. È probabile che stamattina i soldati di Tel Avivi – o Tsahal, come viene chiamato l’esercito di Israele – abbiano conquistato posizioni ancora più avanzate: poiché tutti i reparti sono dotati di visori notturni, gli israeliani tentano i loro affondi dopo il tramonto del sole, quando i palestinesi, resi ciechi dal buio, non possono che nascondersi nei bunker, nelle case, negli scantinati senza poter quasi opporre una qualche resistenza. Anche per questo, sabato, all’offensiva di terra si diede inizio a sera.

Quanti sono i palestinesi? È ipotizzabile che ricaccino indietro gli attaccanti?
No. L’esercito palestinese – per dir così – è fatto da 15 mila persone. Di questi, 13.000 sono giovanissimi, carichi di furore ma male armati e privi di addestramento. Dei restanti 2.000, 1.500 appartengono alle brigate Ezzedim al Qassam, quelli che sparano i razzi su Israele, e 500 provengono dal jihad, cioè dalla guerra santa (sono i candidati martiri). Si tratta di uomini esperti, che sono stati addestrati al sabotaggio da 150 istruttori provenienti dall’Iran e dal Libano. Questi istruttori tra l’altro, per quanto ne so, stanno ancora lì: gli egiziani hanno ammassato truppe alla frontiera e tentano di limitare per quanto possibile l’esodo palestinese. Quelli di Hamas si trovano con le spalle al muro: hanno il mare dietro e davanti Israele.

Ma possono gli israeliani ammazzarli tutti?
Il sottosegretario Ovid Yehezkel e, qui da noi, l’ambasciatore Ghideon Meir assicurano che non resteranno nella Striscia e che restituiranno Gaza ai palestinesi non appena saranno sicuri cghe altri razzi non ne saranno sparati. Questa dichiarazione non rassicura su nessun punto, naturalmente. Potrebbero volerci anni per «essere sicuri».

Ma Gaza non era loro? E non l’hanno lasciata volontariamente?
Gaza è ancora territorio israeliano e quindi, tecnicamente, l’attacco a Gaza è un attacco a se stessi. Oppure va letto come un’operazione di polizia, una tremenda operazione di polizia.

Ma perché gli israeliani se ne andarono?
Israele, nel 1967, vinse la guerra dei Sei giorni contro Egitto, Siria e Giordania e occupò di conseguenza la Striscia, sostenendo che solo in questo modo avrebbe garantito la propria sicurezza. Tra le proteste di mezzo mondo fece poi in modo che a Gaza e dintorni si insediassero coloni: l’idea era di cambiare la natura di quel territorio trasformandolo da palestinese in israeliano. Sicché, ad ogni tentativo di trattare, la prima richiesta era quella di sgombrare da lì, operazione sempre più difficile man mano che gli insediamenti si moltiplicavano. Ma nel 2005, il giorno di Ferragosto, Israele decise autonomamente di ritirarsi. L’ordine venne dal premier Ariel Sharon, lo stesso che, nel 1980, aveva inventato la politica dei coloni. I coloni, gridando di rabbia, furono costretti a trasferirsi in Cisgiordania. Sharon aveva ragionato così: nella striscia di Gaza vivevano un milione e 400 mila palestinesi che sarebbero diventati in un paio di decenni tre milioni. Gli israeliani di Gaza erano in tutto poco meno di novemila. I palestinesi erano poveri e, per un terzo, vivevano in campi profughi. Al 60 per cento erano disoccupati. La metà aveva meno di 14 anni. Come avrebbe potuto Israele governare una situazione simile? Da tutti i punti di vista, era meglio andarsene. Inoltre il ritiro unilaterale avrebbe forse favorito il processo di pace.

Non lo favorì.
Sharono ebbe un ictus pochi mesi dopo ed è ancora lì che aspetta di morire. Quasi negli stessi giorni i palestinesi diedero la maggioranza assoluta ad Hamas, che s’era presentato alle elezioni e si trovò in mano le leve del potere. La responsabilità di governo avrebbe dovuto e potuto cambiare quell’organizzazione. Che invece restò uguale a se stessa e attestata su un’unica linea: Israele andava annientata. Questi due eventi vanificarono il ritiro dalla Striscia, che oggi gli israeliani si stanno riprendendo. Non è estranea a questi avvenimenti la profonda crisi che vive la classe dirigente israeliana. Il premier Olmert non si presenta alle elezioni perché implicato in una serie di scandali finanziari, il presidente della Repubblica Moshe Katsav s’è dovuto dimettere perché incriminato per stupro. Netanyahu, Barak, la Livni sperano di far dimenticare tutto questo il giorno delle elezioni, anche grazie all’operazione Gaza. Potrebbero riuscirci, ma non devono commettere errori.


gda@gazzetta.it

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