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Tempi Rassegna Stampa
20.08.2004 Dall'Italia ( e dall'estrema sinistra) a Gerusalemme, per amore dell'arte di educare
la storia di Nessia Laniado

Testata: Tempi
Data: 20 agosto 2004
Pagina: 1
Autore: Angelica Calò Livnè
Titolo: «Educazione, o del genio ebraico»
Sul settimanale Tempi del 5-08-04 Angelica Calò Livnè firma l'articolo "Educazione, o del genio ebraico". La storia di un'ebrea italo-egiziana, dalla militanza nell'estrema sinistra all'incontro con il grande pedagogista ed educatore israeliano Reuven Feuerstein, con le proprie radici ebraiche, Israele e il sionismo.
Ecco il pezzo:

Nel 1956, quando Nasser salì al potere, scacciò tutti gli stranieri dall’Egitto. Nessia Laniado aveva 3 anni e suo fratello 10. Ai loro genitori fu permesso di prendere con sé una somma che equivaleva a 20 euro di oggi. Il padre, un dirigente della General Motors, prelevò tutto il denaro che possedeva in banca e comprò ai figli abiti e accessori di tutte le misure. Nessia, che in ebraico significa "miracolo di D-o", non comprò più un vestito fino a 18 anni.

Da Avanguardia Operaia a Jonathan
Fuggirono su una nave per dirigersi verso il Brasile, l’unico paese che aveva offerto loro un visto permanente. Quando la nave giunse a Livorno il padre si ricordò che alla fine del 1800 un suo antenato era stato iscritto alla Comunità ebraica. Scesero e controllarono nei libri: Abramo Laniado aveva visto giusto. Non si era mai cancellato da quella Comunità, conosceva il destino degli ebrei e sapeva che prima o poi qualcuno si sarebbe svegliato una mattina e avrebbe deciso di cacciarli via tutti dal proprio paese. Cosi iniziò l’odissea della famiglia Laniado. Una delle migliaia di storie accadute agli ebrei dagli albori dei secoli. Ma questa è una storia diversa. Una storia di cambiamento totale. Di evoluzione. Di legami profondi con personaggi radicati nella morale ebraica che nella sua autenticità diviene un esempio universale per tutti.
Nessia e la sua famiglia cominciano a girare per l’Italia. Vicenza, Catania, Verona, Milano. Parlano sei lingue, riescono a riacquistare la posizione di prestigio che avevano in Egitto ma nessuna casa è la loro casa. Nata nel ’53 incontra il ’68 nel periodo dell’adolescenza e viene soggiogata dal fascino di quegli anni: entra nel movimento studentesco, si impegna nelle lotte operaie. Il vagare continuo dovuto alle sue origini crea in lei un rigetto per tutto ciò che è ebraismo e Israele. Vuole essere cittadina del mondo, frequenta i compagni di sinistra e sionismo è sinonimo di negatività e potere. è attiva in Avanguardia Operaia. è sempre stata diversa, ora vuole essere uguale agli altri. Comincia a lavorare al Quotidiano dei lavoratori ed è convinta che gli ebrei debbano assimilarsi ai popoli tra i quali vivono. Non crede nel sionismo, non prova nessun sentimento per l’ebraismo né verso gli ebrei e la sua famiglia, profondamente laica, non giudica le sue scelte.
Quando nasce Jonathan, il primo figlio, il padre chiede inaspettatamente se gli verrà fatta la circoncisione. Nessia, sorpresa di questa richiesta risponde negativamente. è Filippo, suo marito, cattolico, che capisce il sentimento del padre che alla reazione della figlia risponde mestamente «allora non avrò nessun nipote ebreo?», che la convince a circoncidere il bimbo per rispetto del padre.

Scoprirsi ebrei
Non conoscono nessun ebreo. Non hanno neanche 10 amici per fare Minian, il numero minimo per poter pregare insieme. è un primo segno. Il primo flebile richiamo delle sue origini. Nasce anche Micol e Nessia si rende conto che i suoi figli sono il tesoro più grande della sua vita. è all’inizio di una brillante carriera giornalistica, scrive su riviste di gastronomia, di viaggi, riceve cariche importanti ma è diversa dalle colleghe. Quando parlano dei propri figli si esprimono dicendo: «Da quando c’e questo qui», come se il figlio fosse un peso, un intruso, e Nessia non riesce a condividere con nessuno la sua esigenza viscerale di madre e donna che lavora e che continua faticosamente ad adempiere a tutti i suoi doveri di madre, di moglie, di dirigente. L’educazione diventa il suo interesse principale. Legge Selma Freiberg, Bruno Bettelheim, Erich Fromm, B.T. Brazelton. Non vuole ammettere tale scoperta, ma tutti questi autori hanno qualcosa in comune: sono di origine ebraica. Quando per caso per le vacanze estive arriva a Crans Montana in Svizzera, c’e un gruppo di famiglie della Comunità ebraica di Milano e qualcosa succede. C’e qualcosa nel modo in cui quelle madri si rivolgono ai propri figli. Qualcosa di famigliare. è una sensazione strana. Mai provata da anni. La sensazione di "essere a casa". Per la prima volta sente quella sensazione di "appartenenza" che aveva respinto, aborrito. Avrom Hazan, un ebreo Lubawitch del gruppo, le fornisce libri e letture sull’educazione, la tradizione e i valori ebraici. Nessia si appassiona a queste letture e riscopre qualcosa di atavico che era in lei. Comincia a studiare il Talmud, la Bibbia, vuole sapere di più sul concetto dell’educazione come parte integrante della tradizione ebraica. Del bambino come fulcro delle attenzioni e della trasmissione dei valori. Nella cultura occidentale il concetto dell’infanzia è nato nel 1800 con Rousseau, il Talmud da sempre insegna che a un bambino bisogna parlare con un linguaggio di bambini per poter far sì che capiscano un concetto per adulti. Nel 1989 dirige il giornale Donna e mamma, nel ’93 dirige Insieme. Sente il bisogno di dare ascolto ai suoi figli. Di dar loro un posto sicuro.

L’incontro con Feuerstein
è in quell’anno che conosce il professor Reuven Feuerstein dell’International Center for Enhacement of Learning Potential di Gerusalemme. Un ebreo romeno scampato alle camere a gas che da anni dedica la sua vita all’educazione in Israele e nel mondo. Arriva a Milano e spiega il suo lavoro educativo con ragazzi handicappati, la sua teoria sull’intenzionalità dell’educazione, sul ruolo dei genitori come mediatori, sulla possibilità di cambiare ed educare persone anche in età adulta, di sviluppare le proprie facoltà di pensiero, di morale e di comportamento attraverso lo studio delle proprie radici, dei simboli e della cerimonia per consolidare la propria identità.
Dopo qualche mese, per la prima volta e solo per lavoro, non certo per le proprie origini, Nessia arriva in Israele per approfondire i suoi studi sulle teorie di Feuerstein. L’Israele che appare ai suoi occhi è una creatura completamente diversa dal mostro sionista tentacolare che le aveva disegnato nella mente il suo passato di militante di estrema sinistra. Mi dice Nessia: «Era un paese in fermento, in funzione di vecchi e bambini. Una panchina ogni cento metri per far riposare gli anziani, autisti di autobus che si fermavano per far bere una bambina. E il lavoro straordinario di Feuerstein: ragazzi down che si occupavano di malati di Alzheimer, perché l’ideale è utilizzare le risorse umane. I ragazzi down ricevono un diploma dopo aver seguito un corso di preparazione nei centri creati da Feuerstein e divengono i migliori assistenti di malati di Alzheimer poiché lavorano più lentamente ed hanno più pazienza, caratteristica fondamentale per poter curare amorevolmente questo tipo di malati. Tutto questo avvalorato dalla teoria dell’intenzionalità: tu impari qualcosa e lo fai con amore perché sai che in seguito ai tuoi sforzi potrai essere utile a qualcun’altro. «In Israele mi sentivo a casa. Era una sensazione inimmaginabile per me. Quando tornai l’impatto fu grande: "Non sarai mica diventata sionista?" mi domandavano i miei amici scandalizzati da questo improvviso entusiasmo per Israele. Ed io non potevo dimenticare ciò che avevo visto. Cose come il volontariato obbligatorio nei licei, ragazzi che lavoravano con disabili, con obiettivi ben precisi con cui dovevano misurarsi, e risultati che venivano valutati all’esame di maturità come la matematica, la storia o la filosofia. O bambini delle elementari che alle 7 del mattino e alle 13, cioè all’entrata e all’uscita di scuola, con una divisa gialla bloccavano le macchine davanti all’entrata e aiutavano i loro compagni ad attraversare la strada dopo aver seguito a scuola un corso per vigili. I ragazzi imparavano a gestirsi e a gestire. A prendere responsabilità, ad essere parte integrante della propria comunità.
Ero completamente innamorata. Io quelle cose le sognavo, le scrivevo sui miei giornali di educazione e lì, in Israele, venivano messe in pratica quotidianamente».

Ritorno a Israele
Gli studi sull’educazione e l’ebraismo si intensificano. Nessia approfondisce la sua conoscenza delle teorie di Feuerstein. La sua intuizione, «l’uomo è modificabile» è un segno di speranza per tutti: per i disabili, per i genitori senza risposte, per i popoli in guerra.
Nel 1996 con suo marito e i suoi due figli, Nessia si trasferisce in Israele. Si impegna a divulgare il pensiero educativo di Feuerstein, spiega la sua opera in una serie di libri avvincenti, scritti con grande semplicità e amore che spiegano Come insegnare l’intelligenza ai vostri bambini, Come stimolare, giorno per giorno, l’intelligenza dei vostri bambini. Piccoli manuali ispirati alle teorie e al lavoro sisifico di Feuerstein e del suo staff per cercare di dare a ognuno una dignità, per sviluppare il senso della responsabilità, della collettività, della tolleranza, della fiducia nelle proprie facoltà. Attraverso l’esercizio si possono cambiare le connessioni neuronali, si può cambiare strutturalmente un cervello. Si puo dare a tutti un’opportunità. Si può migliorare la vita di un disabile e utilizzare al massimo le facoltà di chiunque sottoponendolo a stimoli che parlano al suo spirito, che lo rendono parte di un qualcosa, che lo fanno sentire utile e indispensabile e chi lo circonda. A tre anni Feuerstein sapeva leggere la Torà, quando ne aveva dieci, era ancora in Romania, un tassista ebreo lo pregò di insegnare a suo figlio, che non poteva leggere e scrivere per un ritardo mentale, a recitare il Kaddish, altrimenti nessuno avrebbe potuto recitarlo quando sarebbe morto. Il giovane Reuven ci riuscì. Fu quello l’inizio. «Se vuoi che l’insegnamento sia radicato, devi dargli un obiettivo morale. Siamo fatti a Sua immagine e siamo qui per continuare la Sua opera. Siamo qui per trasmettere ed insegnare a trasmettere, come sta scritto, "E lo ripeterai ai tuoi figli e ne parlerai con loro, quando andrai per la strada, quando ti coricherai di sera e ti alzerai al mattino".
Educare è un dovere».
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