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Rassegna Stampa
03.12.2007 Riconoscere lo Stato ebraico
il vero nodo del conflitto israelo-palestinese: l'analisi di Daniel Pipes

Testata:
Autore: Daniel Pipes
Titolo: «Accettare Israele come stato ebraico?»

Un articolo di Daniel Pipes pubblicato sul Jerusalem Post e tradotto in taliano sul sito it.danielpipes.org:

A sorpresa, qualcosa di utile è emerso dalla combinazione del mal concepito vertice di Annapolis e un debole premier israeliano, Ehud Olmert (secondo il quale "la pace va raggiunta con le concessioni"). Rompendo con la tradizione dei suoi predecessori, Olmert ha coraggiosamente chiesto che i suoi partner negoziali palestinesi accettino l'esistenza di Israele come stato ebraico, suscitando così una eloquente reazione.

A meno che i palestinesi non riconoscano Israele come "stato ebraico", ha annunciato Olmert l'11 novembre scorso, i colloqui di Annapolis avrebbero subito una battuta d'arresto. "Non intendo in alcun modo trovare un compromesso sulla questione dello stato ebraico. Ciò costituirà una condizione per il nostro riconoscimento di uno stato palestinese".

Il giorno dopo, egli ha confermato questi punti definendo il "riconoscimento di Israele come stato per gli ebrei" come il "trampolino di lancio per tutti i negoziati. È assolutamente fuori discussione il fatto che Israele sia uno stato degli ebrei". La leadership palestinese, egli ha osservato, deve "voler fare pace con Israele, inteso come stato ebraico".

Sollevare tale questione ha il vantaggio di focalizzare finalmente l'attenzione su quello che costituisce il punto nevralgico del conflitto arabo-israeliano: il sionismo, il movimento nazionalista ebraico, un tema che come al solito viene ignorato nel parapiglia dei negoziati. Pressoché sin dalla nascita dello stato, l'attenzione è stata focalizzata su grovigli di questioni secondarie come i confini, dislocamento delle truppe, il controllo degli armamenti e delle armi, i principi sacrosanti, le risorse naturali, i diritti di residenza, la rappresentanza diplomatica e i rapporti esteri.

La leadership palestinese ha replicato prontamente e inequivocabilmente alle richieste di Olmert:

  • The Higher Arab Monitoring Committee, di Nazareth, ha chiesto all'unanimità all'Autorità palestinese di non riconoscere Israele come stato ebraico.
  • Salam Fayad, "premier" dell'Autorità palestinese, ha così asserito: "Israele può definirsi come vuole, ma i palestinesi non lo riconosceranno come stato ebraico".
  • Yasser Abed Rabbo, segretario generale del Comitato esecutivo dell'OLP, ha così chiosato: "Tale questione non è negoziabile; è stata sollevata ad uso e consumo interno [israeliano]".
  • Ahmad Qurei, capo-negoziatore palestinese, ha così commentato: "Tale richiesta è del tutto inaccettabile".
  • Saeb Erekat, a capo del Dipartimento Negoziati dell'OLP, ha così asseverato: "I palestinesi non riconosceranno mai l'identità ebraica di Israele (…) Non esiste alcun paese al mondo dove l'identità religiosa e quella nazionale si intrecciano".

La generalizzazione di Erekat è al contempo curiosa e significativa. Non solo 56 paesi e l'OLP fanno parte dell'Organizzazione della Conferenza islamica; ma la maggior parte di questi membri, inclusa l'OLP, considerano la Shari'a (la legge islamica) come la loro principale, se non unica, fonte di legislazione. L'Arabia Saudita esige perfino che ogni suddito sia musulmano.

Inoltre, il nesso religioso-nazionale si estende ben oltre i paesi musulmani. Jeff Jacoby del Boston Globe fa notare che la legislazione argentina "autorizza l'appoggio governativo alla fede cattolico-romana. La Regina Elisabetta II è il governatore supremo della Chiesa Anglicana. Nel regno himalayano del Bhutan, la Costituzione proclama il Buddismo ‘patrimonio spirituale' della nazione (…) ‘La religione predominante in Grecia', dichiara il paragrafo II della Costituzione ellenica, ‘è quella della Chiesa Ortodossa Orientale di Cristo' ".

E allora, perché il rifiuto camuffato da principio di riconoscere Israele come stato ebraico? Probabilmente perché l'OLP vuole ancora eliminare Israele come stato ebraico.

Si noti l'utilizzo del verbo "eliminare", non distruggere. Sì, è vero, l'antisionismo ha prevalentemente assunto fino ad ora una forma militare, dal proclama di Gamal Abdel Nasser di "gettare gli ebrei in mare" a quello di Mahmoud Ahmadinejad che "Israele deve essere cancellato dalle carte geografiche". Ma la potenza delle IDF ha spinto l'antisionismo verso un più sottile approccio volto ad accettare uno stato israeliano, ma smantellando il suo carattere ebraico. Gli antisionisti prendono in considerazione diversi modi per conseguire ciò:

Demografia. I palestinesi potrebbero sopraffare demograficamente la popolazione ebraica di Israele, un obiettivo evidenziato dalla loro pretesa di esercitare un "diritto al ritorno" e dalla loro cosiddetta guerra dell'utero.

Politica. I cittadini arabi di Israele ricusano sempre più la natura ebraica del paese ed esigono che esso diventi uno stato binazionale.

Terrorismo. Il centinaio di attacchi sferrati settimanalmente dai palestinesi dal settembre 2000 al settembre 2005 cercarono di provocare il declino economico, l'emigrazione e l'appeasement.

Isolamento. Tutte quelle risoluzioni delle Nazioni Unite, le condanne editoriali e le aggressioni nei campus intendono intaccare lo spirito sionista.

Il riconoscimento da parte araba della natura ebraica di Israele deve avere la massima priorità diplomatica. Finché i palestinesi non accetteranno ufficialmente il sionismo, seguitando poi a porre fine a tutte le loro varie strategie per eliminare Israele, i negoziati dovrebbero essere interrotti e non riavviati. Fino ad allora, non c'è nulla di cui discutere.

Per inviare una e-mail al sito it.danielpipes.org cliccare sul link sottostante


meqmef@aol.com

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