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Riprendiamo dall' OPINIONE, l'analisi di Costantino Pistilli dal titolo "Terrorismo in Italia, suona l'allarme rosso"
Esiste un allarme terrorismo di matrice islamica in Italia? La risposta a queste domande è una: sì. L’occhio dell’islam radicale è puntato anche sull’Italia per diverse ragioni, fra cui la nostra posizione sulla crisi siriana e la presenza sul territorio di una complessa rete di associazioni e di individui che quella radicalizzazione propagandano e sostengono con mezzi e uomini. Dunque, per quanto riguarda il pericolo derivante dall’ISIS è utile ricordare quanto ha dichiarato il ministro dell'Interno Angelino Alfano parlando a Bruxelles a margine della conferenza su La Strategia per la sicurezza dell’Ue: “In Italia l‘allerta terrorismo è elevatissima: sui tremila foreign fighters in Siria e Iraq di cui ha parlato l’Unione Europea ci sono 48 combattenti dello Stato Islamico che sono passati dall’Italia o che sono comunque legati al nostro Paese”. Anche per il ministro della Difesa Roberta Pinotti i foreign fighters italiani “sarebbero una cinquantina” -e aggiunge- “sono numeri contenuti ma il problema è quando rientrano", mentre il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Marco Minniti, con delega ai servizi segreti di sicurezza ha già dichiarato: "L'ISIS rappresenta una minaccia senza precedenti per almeno due motivi: è un vero esercito con armi tradizionali impegnato in una guerra simmetrica. Ma è in grado anche di agire con azioni terroristiche, come si è visto, quindi in una guerra tipicamente asimmetrica, difficile da contrastare. Dovremo fare i conti con questi combattenti almeno per i prossimi dieci anni”. Queste dichiarazioni mostrano quali sono le preoccupazioni del governo e a seguito del vertice di Parigi dello scorso 2 novembre sembra che anche Alfano abbia pronto un intervento legislativo da presentare al Consiglio dei Ministri per contrastare il terrorismo internazionale. Intanto in Inghilterra i foreign fighters sospettati di attività jihadiste si vedranno ritirare il passaporto all'aeroporto e non potranno lasciare il Paese. In Italia ancora non sono chiare quali misure intenda prendere il Governo. Per ora è certo che la nostra nazione è una buona fucina di terroristi. Due degli attentatori di Londra, arrestati in tempo, abitavano a dici minuti da casa mia, provincia di Latina; due semplici adolescenti che sono cambiati quando uno zio arrivò da Londra per farli andare con lui; sono stati indottrinati -un’amica andò a trovarli e non riuscì a riconoscerli- e poi addestrati e reclutati per piazzare una bomba custodita in uno zainetto presso una stazione della metro della City. Eppure erano ragazzi, italiani, normali. “Normali” quanto il barbiere di Milano che dalla moschea di viale Jenner è arrivato fino a Guantanamo per poi tornare di nuovo in Italia per essere arrestato dopo poco tempo a Milano perché coinvolto in un’inchiesta nata dalle rivelazioni di due pentiti islamici. Storie (queste) raccolte dal settimanale L'Espresso dello scorso 7 agosto, dove leggiamo anche di Osman Rabei, l’ideologo del gruppo terroristico della strage di Madrid o dei braccianti nelle campagne tra Sicilia e Lazio, quelli che lavoravano onestamente in negozi, ristoranti e piccole imprese sparse per mezza Italia partiti per andare a combattere in Siria o in Libia. E poi altri casi: il genovese Giuliano Del Nevo, morto in Siria per la causa jihadista; l'imam della moschea di San Donà di Piave espulso dopo le frasi contro gli ebrei; Mohamed Game, il libico che nell’ottobre 2009 tentò di farsi esplodere all'ingresso dalla caserma Santa Barbara di Milano; e Musa Cerantonio, il numero tre degli influenti predicatori online, nato in Australia da padre calabrese e madre irlandese, convertito all’islam e con vasto seguito tra i combattenti occidentali che sognano la Siria, ha legami anche con la comunità islamica italiana: nel 2012 nel nostro Paese è stato ospite di un programma televisivo islamico su un’emittente bresciana e ha predicato e tenuto convegni da Imola a Pordenone, da Ferrara a Milano. Eppure, il pericolo del fondamentalismo islamico made in Italy è rappresentato (solo) in parte dal fronte ISIS e ci tocca (ci riguarda) da tanti anni, come ci dice Souad Sbai, giornalista e scrittrice italo-marocchina. Souad, già parlamentare ed esperta del fenomeno jihadismo sul nostro territorio e attiva nella difesa delle donne marocchine con la sua associazione ACMID (Associazione della Comunità Marocchina in Italia delle Donne), ha vissuto sulla propria pelle la minaccia dell’estremismo: è sopravvissuta a un tentativo di avvelenamento nel 2010 e recentemente ha ricevuto una fatwa: “Giuro su Allah che c'è la licenza per ucciderti, tu nemica di Allah e del Profeta'' le hanno scritto. Souad, come arginare il fenomeno dell’estremismo islamico in Italia? “Per contrastare il dilagarsi dell’estremismo islamico occorre innanzitutto sapere quali attività si svolgono durante gli incontri privati che avvengono molto spesso dopo la preghiera del venerdì. So, per certo, che durante questi incontri a porte chiuse in alcune moschee del nord Italia alcuni individui sono andati a dare lezione a gruppi ristretti di ‘fedeli’” Cosa si insegna durante questi incontri segreti? “Questi ‘corsi particolari’ hanno attirato molto la mia attenzione ormai da qualche anno, purtroppo è quasi impossibile parteciparvi per capire che cosa si dicono ma qualcuno ce l’ha fatta: mi hanno riferito che i loro discorsi sono molto, molto, molto radicali, di ispirazione wahabita o salafita. Dunque, almeno il sermone lo traducano in italiano e lo espongano. Inoltre, le moschee non possono aprire alle 2 del mattino perché quello che succede è che si va in moschea a quell'ora per parlare in maniera più tranquilla di altre faccende. In Marocco, ad esempio, questo non accade: le moschee dopo le preghiere vengono chiuse, non c’è possibilità di fare al loro interno altri incontri. Inoltre, il Marocco ha recentemente istituito una nuova legge che divide gli incontri religiosi da quelli pubblici. Mi spiego: con questa legge il religioso non potrà insegnare, non potrà entrare dentro un’amministrazione comunale di qualche città, né potrà fare politica. Farà solo il religioso. E sarà pagato dallo stato in quanto religioso, in modo che si concentri unicamente sugli studi teologici: ché l’imam faccia l’imam e ché l’insegnante faccia l’insegnante. E qui in Italia, aggiungo, non devono esserci scuole coraniche”. Difficile bonificare questo terreno… “Intanto non dobbiamo concentrarci solo sulle moschee: i negozi che si aprono, le macellerie halal, eccetera, da chi sono finanziate? Chi controlla queste attività commerciali? Il fondamentalismo è entrato nel nostro tessuto sociale, ad esempio, se in un palazzo dove nessuna donna ha mai indossato il velo, dopo poco entra una donna velata, è certo che dopo una settimana tutte le donne lo portano perché c’è sempre il marito più arrogante che comincia a imporre agli altri mariti di fare come lui altrimenti inizia a dire ‘Le vostre mogli non sono rispettose del Corano’, ‘Ecco sono prostitute’ e via discorrendo”. Parli di Rachida: Rachida Radi, una ragazza marocchina di trentacinque anni, vittima della ferocia del marito che, dopo un litigio, l’ha inseguita per casa colpendola talmente tante volte con un martello da ammazzarla. Era il 2011, a Sorbolo di Brescello, nel Reggiano. “Mi dispiace che la stampa italiana a volte sia miope. Rachida è la prima apostata in Italia, morta perché voleva diventare cristiana (:) tuttavia nessun giornalista ha speso almeno tremila battute sulla sua storia; eppure dopo essere stata assassinata la sua salma è rimasta chiusa addirittura per cinquantadue giorni in obitorio perché nessuno la voleva: i cristiani avevano paura d’intervenire, i musulmani l’hanno ripudiata finché non siamo intervenuti e l’abbiamo liberata dal quel gelo dell’obitorio”. Uccisa due volte. “Sì, uccisa due volte e il suo caso è servito da esempio per far capire a varie comunità musulmane come ci si deve comportare: chi esce dalla linea e si ribella alle regole anche da morto viene isolato. E non stiamo parlando di Afghanistan o del Sudan: stiamo parlando del nord Italia”. Per inviare all'Opinione la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante diaconale@opinione.it |
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