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L'Opinione Rassegna Stampa
12.04.2011 Il conformismo dei giornaloni americani
Il New York Times ha rifiutato di pubblicare la smentita di R. Goldstone prima del Washington Post. Cronaca di Dimitri Buffa

Testata: L'Opinione
Data: 12 aprile 2011
Pagina: 9
Autore: Dimitri Buffa
Titolo: «Il New York Times ha rifiutato di pubblicare la smentita di Goldstone prima che lo facesse il Washington Post»

Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 12/04/2011, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo "Il New York Times ha rifiutato di pubblicare la smentita di Goldstone prima che lo facesse il Washington Post".

Un nuovo scandalo in America lambisce l’olimpo dell’editoria di sinistra: il “New York Times” si è rifiutato di pubblicare, pochi giorni prima che lo facesse il “Washington Post”, la lettera con cui Richard Goldstone ritrattava sostanzialmente il proprio rapporto su “Cast lead”, cioè la guerra di Israele contro hamas del gennaio 2009. Lettera in cui si ammetteva che mai i soldati israeliani hanno sparato deliberatamente contro civili inermi palestinesi, tantomeno bambini.
E’ lo stesso editore del New York Times a riconoscere questa incredibile autocensura.
Ma si protesta innocente: “è vero c’era un opzione di pubblicazione che noi avevamo per la lettera di Goldstone sin dal 22 marzo scorso ma il testo era differente da quello poi pubblicato dal Washingtono Post”. Tutto qui. Su cosa si basasse tale differenza non è dato sapere. 
Chi, disperato per la pochezza del giornalismo italiano ancora si voleva illudere che in America fosse meglio, oggi ha motivi per ricredersi e per consolarsi. Giustamente adesso la stampa israeliana fa notare che “quelli del NYT non hanno mostrato la stessa riluttanza allorchè proprio in data 29 settembre 2009 Goldstone proprio sul giornale della sinistra americana newyorkese pubblicò il proprio editoriale dal titolo “Justice in Gaza”, cioè “Giustizia in Gaza”. In pratica proprio quello che straparlava di deliberate uccisioni di civili tra cui donne e bambini. D’altronde lo stesso Goldstone ha fatto una seconda marcia indietro dopo che, in seguito alla ritrattazione pubblicata dal “Post”, la stampa araba lo aveva attaccato come “servo di Israele”. Quello che si capisce, in questo sporchissimo gioco della comunicazione, è che la verità quando c’è di mezzo Israele è sempre un’incognita variabile. Cosa che negli anni passati si è vista con clamorosa evidenza allorchè i giudici francesi hanno smascherato il caso del giovanissimo Mohammed Al Dura e del reportage montato ad arte in maniera mistificatoria sulla sua presunta morte da parte di France 2. Oggi tutti sanno che Mohammed Al Dura probabilmente non è mai morto o, se è stato ucciso, lo deve al fuoco amico dei palestinesi, ma per anni la leggenda metropolitana della sua morte in braccio al padre (circostanza palesemente falsa) ha nutrito tutti i pregiudizi anti israeliani e anti semiti del mondo arabo e di quello occidentale.
Il rapporto Goldstone sui crimini israeliani a Gaza è un bis di quell’altra orrenda storia: e i media della sinistra occidentale fanno a gara con quelli arabi quando c’è da nascondere le notizie o quando bisogna falsificarle. Ora che che il glorioso “New York Times” è stato colto con le mani nel sacco è iniziata una gara di arrampicamento sugli specchi. Così se qualcuno si chiedesse del perchè della crisi dell’editoria su carta stampata avrà anche una possibile e ragionevole risposta.

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