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L'Opinione Rassegna Stampa
13.01.2010 Israele non teme il ricatto economico di Obama
L'analisi di Michael Sfaradi

Testata: L'Opinione
Data: 13 gennaio 2010
Pagina: 11
Autore: Michael Sfaradi
Titolo: «Obama contro Israele usa l'arma spuntata del ricatto economico»

Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 13/01/2010, a pag. 11, l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo " Obama contro Israele usa l'arma spuntata del ricatto economico ".


Michael Sfaradi     George Mitchell

Di statistiche, si sa, ne esistono di tutti i tipi e noi non sappiamo se ne esiste una sulle brutte figure fatte dalle amministrazioni statunitensi durante il primo anno al potere. Se qualcuno si fosse preso la briga di fare uno studio di questo genere l’attuale amministrazione occuperebbe certamente i primi posti della classifica.
Dal momento in cui il tanto osannato Barack Obama, il più incomprensibile premio Nobel per la pace che sia mai stato assegnato si è insediato alla Casa Bianca, ha inanellato una quantità tale di errori che ha prevaricato anche le più pessimiste previsioni dei suoi denigratori.
Il presidente, convinto che a lui tutto fosse permesso, si era probabilmente illuso che bastasse accarezzare il mondo arabo per il verso giusto e lasciargli per un po’ in pasto Israele, per risolvere con le buone ciò che non era riuscito, con le cattive, al suo predecessore.
Però, dopo le ripetute figuracce rimediate dai suoi servizi segreti nella sicurezza e nell’antiterrorismo, per le quali si è dovuto pubblicamente scusare, e con i sondaggi in caduta libera, con una quasi annunciata sconfitta alle prossime elezioni di medio termine, Barack Hussein Obama sta rivedendo la sua politica estera che ora somiglia sempre più a quella del tanto bistrattato George W. Bush.
Il vento di questo cambiamento non ha però influenzato le opinioni dell’inviato per il Medio Oriente George Mitchell che, durante un’intervista televisiva a pochi giorni dalla sua partenza per Israele, ha dichiarato che l’amministrazione è stanca del comportamento di Israele che perde “occasioni” per trattare con Abu Mazen.
Ha anche minacciato l’interruzione della fideiussione internazionale sui crediti israeliani nel caso in cui Netanyahu si rifiutasse di accettare le precondizioni palestinesi per l’apertura di un tavolo di trattative.
Innanzitutto bisognerebbe capire di quali precondizioni si tratta, visto che negli ultimi due mesi sono cambiate almeno tre volte e che ogni cambiamento era avvenuto all’indomani di concessioni da parte israeliana.
E’ palese che le precondizioni e i loro cambiamenti, da parte di Fatah, che non rappresenta più la totalità del popolo palestinese, erano e sono soltanto scuse per non arrivare a un tavolo di trattative.
Qualcuno avrebbe dovuto avvertire l’inviato per il Medio Oriente che la fideiussione non è uno strumento che gli Stati Uniti offrono ad Israele a titolo gratuito, non è un favore, perché ogni volta che è stato usato la Banca d’Israele ha sempre dovuto pagare interessi ai tassi di mercato al Tesoro statunitense, e che comunque, già da oltre sei anni, l’ufficio cambi della Banca d’Israele fa fronte ai debiti degli importatori israeliani senza usare la fideiussione statunitense.
Il ministro delle finanze israeliano Youval Steinitz ha dichiarato, durante un intervento al secondo canale della televisione, che nel caso in cui gli Stati Uniti dovessero decidere per una mossa di questo tipo, questa non porterebbe ad alcuna conseguenza, visto che lo stato attuale delle finanze gode di ampio credito sui mercati internazionali.
Il ricatto di George Mitchell, oltre ad essere ingiusto, non ha alcuna possibilità di esercitare una pressione su una delle due parti in causa prima ancora dell’inizio della trattativa. E’ un tentativo maldestro e dimostra il dilettantismo che caratterizza l’attuale amministrazione americana, il pressappochismo con il quale si muove su scenari che, al contrario, richiedono la massima professionalità.

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