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L'Opinione Rassegna Stampa
06.11.2009 Caso Abu Omar: magistrati che remano contro la guerra al terrorismo
Incidente diplomatico con gli Usa per aver incriminato gli agenti della Cia

Testata: L'Opinione
Data: 06 novembre 2009
Pagina: 9
Autore: Giorgio de Neri
Titolo: «Abu Omar: un incidente diplomatico pur di far la guerra alla guerra al terrorismo»

Sulla vicenda Abu Omar, Pollari e magistratura milanese, riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 06/11/2009, l'articolo di Giorgio de Neri dal titolo " Abu Omar: un incidente diplomatico pur di far la guerra alla guerra al terrorismo ".

 Abu Omar

Pur di fare la guerra ai metodi della guerra al terrorismo l’Italia inanella l’ennesimo incidente diplomatico con gli Usa di Obama. Ieri infatti la clamorosa sentenza che ha condannato tutti gli uomini della Cia che stavano in Italia nel 2003 ha prodotto questi brillanti risultato. Mentre l’ex imam sospettato di essere un predicatore d’odio e un reclutatore di jihadisti per Iraq e Afghanistan, a suo tempo indagato dalla Digos per questo, canta vittoria e dice che ancora non gli basta. Voleva la condanna di Pollari. E dice che “è come se mancasse una parte importante della verità sul mio sequestro, perchè ritengo che il generale Pollari sapesse perfettamente quello che mi sarebbe accaduto e quello che è successo poi. Lo ritengo, dunque, responsabile quanto gli altri”. Per Abu Omar “il vero numero uno l'ha fatta franca: la magistratura italiana è riuscita a individuare i veri colpevoli senza, però, fare giustizia”. Intervistato dalla Stampa, l'imam rapito nel febbraio del 2003 accusa la politica italiana: “Il governo Berlusconi ha negato ripetutamente di avere a che fare con il mio rapimento. E mi ha colpito anche il governo Prodi che ha seguito le orme del governo Berlusconi.” “Adesso mi auguro - aggiunge - che il mio avvocato e la Procura di Milano presentino appello. Inoltre, ho sollevato il mio caso davanti al Tribunale europeo per i diritti dell'uomo. E mi aspetto una sentenza migliore di quella di Milano”. Abu Omar usa toni critici anche nei confronti dell'attuale presidente Usa. “Ho chiesto al presidente Obama di fare giustizia, ma ora mi sembra di aver puntato sul cavallo perdente”, afferma infatti e aggiune di ritenere che “Obama, quando si tratta di affrontare questioni che riguardano il mondo arabo, usi un doppio binario”. Sulla messa al bando delle 'extraordinary rendition' dichiara che “non c'è dubbio che la mia vicenda abbia contribuito, così come non c'è dubbio che questa sentenza sia anche un monito e un avvertimento rivolto ai servizi di sicurezza americani e più in generale a tutti affinchè la smettano di compiere simili azioni”. Insomma fra un po’ ci chiederà i danni e magari di andare nelle scuole italiane a insegnare come si fa e come non si fa la lotta al terrorismo islamico. Cioè a quelli come lui. C’è da dire che noi queste situazioni paradossali ce le tiriamo. Basta guardare le dichiarazioni con cui il ministro degli Esteri Franco Frattini ha liquidato l’intera vicenda e il disappunto mostrato da Obama per il suo epilogo. “Il disappunto degli Stati Uniti – commenta Frattini - è una presa di posizione che comprendo: noi abbiamo deciso di confermare il segreto di Stato”. E poi ha aggiunto, mentre commemorava a Enna, in una mostra, il ventennale della caduta del Muro di Berlino: “Come è noto le decisioni dei giudici si rispettano anche quando non si condividono, e noi ne prendiamo atto, evidentemente gli statunitensi sono preoccupati ma non credo francamente che quei funzionari americani andranno in galera”. Insomma tarallucci e vino. Eppure anche l’ “Economist”, nell’edizione che andrà domani in edicola in Italia, sottolinea che dopo questa sentenza che, a dire del giudice che l’ha vergata, “fa tremare le mani”, nulla sarà più come prima. Il settimanale britannico riporta in questo senso le parole del procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro che ha sostenuto come la sentenza sia “un chiaro messaggio a tutti i governi: anche in tempi di lotta al terrorismo, non si possono abbandonare i diritti di base delle democrazie”. “Nessuno conosce esattamente quante persone siano state vittime delle 'extraordinary renditions' organizzate dalla Cia”, scrive ancora l'Economist, che osserva tuttavia come vi siano “prove convincenti che parecchi altri Paesi europei abbiano collaborato con l'intelligence americana per questo genere di operazioni.” Insomma sembra proprio di capire che si sia tratato di un processo poltico oltre che di pura materia criminale. Una cosa giusta il giudice che l’ha redatta l’avrebbe anche detta, sia pure molto tra le righe: questa riforma Flick che affida a un giudice monocratico la responsabilità di materie penali come questa è semplicemente demenziale. E se una delle imputate, l’agente Cia Sabrina De Sousa, si lamenta di essere stata abbandonata anche dal suo governo, che dovrebbero dire i magistrati di Brescia, cioè l'ex procuratore capo Giancarlo Tarquini e i suoi sostituti Francesco Piantoni e Antonio Chiappani, che sono persino stati censurati dal Csm per avere osato indagare sulla violazione del segreto investigativo da parte prima di noti e poi di ignoti magistrati milanesi? Indagare su chi indaga sulla Cia non è stato loro permesso e i tre magistrati, rei di averlo comunque voluto fare, oggi vengono trattati da reprobi dal Csm. Si sono resi responsabili di “negligenza grave e inescusabile”. Dopo il paradossale epilogo di tutta la vicenda per gli italiani una sola certezza: nonostante le apparenze, dire che oggi la giustizia è veramente uguale per tutti sembra sempre più arduo.

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