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L'Opinione Rassegna Stampa
28.03.2009 Trenta anni di Guerre dopo Camp David
L' analisi di Michael Sfaradi

Testata: L'Opinione
Data: 28 marzo 2009
Pagina: 5
Autore: Michael Sfaradi
Titolo: «Trenta anni di Guerre dopo Camp David»
Dall'OPINIONE di oggi, 28/03/2009, l'analisi di Michael Sfaradi, dal titolo "Trenta anni di Guerre dopo Camp David":

Sono passati 30 anni dalla firma degli accordi di Camp David fra Egitto e Israele ma nonostante questa importante ricorrenza
le autorità egiziane hanno deciso che non era il caso di festeggiare adducendo come scusa la situazione attuale nella regione. La
recente operazione militare nella striscia di Gaza, gli attriti al confine tra Libano ed Israele e la guerra sotterranea che si combatte
nel mondo dell’intelligence dietro le quinte della rincorsa alla bomba atomica da parte dell’Iran, non suggeriscono motivi per cui si
debba brindare ad un accordo di tanto tempo fa che avrebbe dovuto aprire nuovi scenari rimasti delle irraggiungibili chimere.
Per la
verità neanche in Israele si ha tanta voglia di festeggiare e fatta eccezione per gli appuntamenti istituzionali il trentennale è passato quasi sotto
silenzio e la popolazione, preoccupata per quello che potrebbe riservare il prossimo futuro, non ha voglia di guardare
al passato. E’ comunque arrivato il tempo delle analisi che, purtroppo, non sono positive perché la “pace” fra Egitto
e Israele non è una vera pace ma qualcosa di più di un grande cessate il fuoco. Gli accordi prevedevano il ritiro israeliano
dalla penisola del Sinai, striscia di Gaza esclusa,  in cambio di “normalizzazione”. Il ritiro c’è stato ma qualunque cosa si
intendesse per “normalizzazione” non è stata raggiunta. Non basta lo scambio di ambasciatori o l’unire le due capitali con dei voli
di linea perché due nazioni possano dirsi in pace fra loro. Serve molto di più. Servono duraturi contatti commerciali, scambi culturali,
investimenti comuni e, cosa più importante, l’avvicinamento delle popolazioni perché soltanto il conoscersi, il comprendersi
ed il rispettarsi possono prevenire attriti futuri. Si potrà obiettare che questa pace ha comunque retto alle gravi tensioni che ci sono
state nel corso degli anni, questo è vero come è vero che dal giorno in cui fu scattata  quella famosa fotografia con il primo ministro
israeliano Menahem Begin, il presidente egiziano Anwar Sadat e il presidente statunitense Jimmi Carter che si stringono la mano
sorridenti, per Israele non c’è stato un attimo tregua. Si è passati da un nemico all’altro, ed ogni volta che si riusciva a raggiungere un
accordo con una sigla ne spuntava subito un’altra, più agguerrita della prima, e tutto ricominciava da capo. Siamo passati dagli
attacchi a colpi di Katiuscia da parte dell’Olp di Arafat, che dal Sud del Libano teneva sotto scacco il Nord Israele (lo stesso modus operandi
seguito ancora oggi da Hetzbollah) alla stagione del terrorismo internazionale. Dirottamenti aerei ed attentati a colpi di fucili
mitragliatori e bombe a mano contro i banchi accettazione della El Al (linea aerea israeliana) in diversi aeroporti europei, e quelli che
hanno avuto come obiettivo, in Europa come in Sudamerica, le istituzioni ebraiche con decine di vittime civili innocenti. In questi 30
anni siamo stati testimoni del macabro ping pong di atti terroristici con le conseguenti ritorsioni che alle volte si limitavano a delle
risposte brevi e a volte con vere e proprie operazioni militari in larga scala come ad esempio “Pace in Galilea” o la seconda guerra
libanese del 2006. Abbiamo vissuto le varie “Intifade” con la loro scia di sangue e lutti che sono riuscite solamente ad ottenere un
abbassamento del livello di vita e a mettere a dura prova la pazienza, innescando così un malva gio meccanismo che ha rinfocolato
l’odio fra le due popolazioni. In tempi più recenti, anche durante le mediazioni che portarono ai trattati di Oslo, Israele è stata
insanguinata dal terrore arabo che ha colpito il centro delle città più importanti. Se con la firma dei trattati di Camp David i leader di
allora volevano aprire una pagina nuova nel mondo mediorientale le loro intenzioni sono andate completamente
disilluse perché, è inutile negarlo, non c’è da parte araba la volontà di arrivare ad  un accordo che preveda la pacificazione
della regione e l’esistenza dello Stato di Israele. Neanche l’equazione “pace in cambio di territori” sembra avere
un senso perché il completo ritiro dal Libano del sud, la restituzione della parte araba di Hebron ed il totale sgombero
della striscia di Gaza anziché portare ad un miglioramento hanno, e ques to è l’assurdo, avvicinato la linea dello scontro
ai centri israeliani più densamente abitati con il risultato di città come Sderot, Asquelon ed Ashdod ripetutamente colpite
dai razzi palestinesi lanciati proprio dalle zone evacuate della striscia di Gaza. Nonostante i numerosi sforzi compiuti
pur di arrivare ad un compromesso che potesse permettere dignità per tutti c’è sempre stato qualcuno, in passato era l’OLP, oggi è
il turno dell’Iran di Ahmedinejad, di Hezbollah o di Hamas, che facendo leva sui sentimenti religiosi urlando a gran voce, durante
i loro comizi e davanti alle telecamere delle reti televisive in lingua araba e non solo,  che la pace sarà soltanto il risultato della
distruzione di Israele, trascinando di fattol’intera regione verso quella guerra totale che i trattati di 30 anni fa avrebbero voluto prevenire.
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