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L'Opinione Rassegna Stampa
23.05.2006 I programmi e i proclami antisraeliani di Ferrando
fondatore di un nuovo partito comunista

Testata: L'Opinione
Data: 23 maggio 2006
Pagina: 5
Autore: Dimitri Buffa
Titolo: «Ferrando rifonda Rifondazione»

Da L'OPINIONE di martedì 23 maggio 2006:


In Italia la madre dei partiti di origine, ispirazione, tendenza marxista è sempre incinta. Troppo fecondo e invitante quel settore, troppo forte la tendenza del conformismo imperante nel buttarsi a sinistra, specie per occupare spazi politici improvvidamente sguarniti da altri. Perché, e questo rappresenta il corollario del precedente teorema, c’è sempre un comunista che si socialdemocratizza, cioè diventa un social traditore. Magari in cambio di una poltrona istituzionale come la presidenza della Camera. A quel punto ecco che come per incanto, il vecchio partito ex comunista si scinde e ne gemma un altro: stavolta autenticamente dedito al benessere del proletariato e alla lotta di classe. Mica come quello di prima che si è imborghesito. A questa logica ha obbedito anche il trotzkista di Rifondazione Marco Ferrando, emarginato con tutta la propria componente da Bertinotti dopo la gaffe pre elettorale sullo stato di Israele, e così è nato il Partito comunista dei lavoratori. Un partito che in realtà esiste già da qualche giorno, cioè da sabato scorso, e che può essere considerato come la rifondazione della Rifondazione comunista. In Italia c’è sempre mercato politico quando si tratta di un nuovo partito comunista da affiancare a quelli pre-esistenti. Sapendo questo Marco Ferrando, il trotzkista lasciato senza seggio parlamentare da Bertinotti a causa delle proprie sortite contro il diritto a esistere dello stato di Israele, ne ha fondato un altro. Anzi rifondato. Per l’appunto. Con questo teorema costitutivo: “I Ds faranno il partito democratico con la Margherita e si avviano a diventare una formazione liberale, Bertinotti farà il socialdemocratico di governo occupando lo spazio lasciato libero da Fassino e D’Alema e Diliberto è solo una corrente dei Ds federata. A questo punto i veri comunisti, cioè noi, già ala trotzkista di Rifondazione, diamo vita a una forza di sinistra, che all’inizio sarà un movimento e che dal 18 giugno, dopo il congresso costitutivo che si terrà a Roma al cinema Barberini, diventerà un partito vero e proprio per mettere in discussione il capitalismo, la proprietà privata e lo stare al governo con le classi dominanti, vuoi che si appoggino alla destra vuoi che lo facciano con il centro sinistra”. E non si dica che Trotzki andava di moda nel ’68 perché Ferrando puntualizza che “i risultati elettorali in paesi come l’Irlanda, con un deputato eletto alle ultime consultazioni, la Francia, 10 per cento senza rappresentanza parlamentare, e l’Argentina, oltre il 20 per cento in alcune regioni, stanno lì a testimoniare che “noi si è più di moda oggi che trent’anni fa”. Insomma l’opposizione permanente, non ideologica (secondo loro), ma con l’obiettivo di cambiare la società piuttosto che il governo. Tanto per il proletario, come già si leggeva negli anni ’70 negli opuscoli proto brigatisti, importa poco chi è che impugna il fucile per puntarglielo alla testa. Ferrando, comunque sia, oltre a essere oggi il nemico politico giurato di Fausto Bertinotti (che a suo dire si sarebbe imborghesito e avrebbe svenduto l’anima per un posto di presidente della Camera), coltiva anche lui un abbigliamento di indubbio gusto aristocratico, con completi in lino color ocra e scarpe alla moda, e quel che è peggio ha anche lui la “erre moscia” che fa tanto rivoluzionario d’epoca. Siamo quindi a un dejà vu? “Nulla di tutto questo – assicura l’anima sindacale del futuro partito (che avrà un simbolo di cui per ora c’è di sicuro solo la falce e il martello) Franco Grisolia, numero due di cotanto numero uno – noi non ci comprometteremo con il potere nei governi delle classi dirigenti”. Certo alle elezioni ci saranno e se del caso qualche bel patto di desistenza con i nemici del centro sinistra si farà, ma la caccia alle poltrone quella mai. Si vedrà poi se anche questi salmi finiranno in gloria. Altri già sicuri dirigenti di questo partito che vedrà la luce, anche coagulandosi con i soliti no global e cani sciolti vari dell’estrema sinistra, solo dopo il 18 giugno, sono: Ivana Aglietti, Tiziano Bagarolo, Vito Bisceglie, Letizia Mancusi, Michele Terra. Se le parole d’ordine di politica interna saranno quelle di “no alla concertazione e ai tavoli tra sindacati e imprenditori per i problemi relativi al costo del lavoro”, quelle di politica estera saranno invece all’insegna dell’anti americanismo più bieco e alla pregiudiziale anti israeliana. Perché sia chiaro che Ferrando non rinnega la sparata contro lo stato di Israele che gli costò la candidatura. Anzi, se possibile rincara la dose, prendendosela con D’Alema e le sue assicurazioni di fedeltà atlantica e allo stato sionista. Per Ferrando il sionismo, contrariamente a quanto dicono tutti i testi storici dell’epoca, non era una variante risorgimentale e socialista del desiderio degli ebrei di avere una terra, ma soltanto sinonimo di colonizzazione e razzismo. Lui assicura che Ben Gurion sarebbe stato “paradossalmente” contento delle persecuzioni naziste nella Germania degli anni ’30 perché avrebbero fatto il gioco di chi voleva la migrazione di massa nelle terre di Palestina. Anzi dice che Ben Gurion una volta avrebbe detto che per lui la morte di 400 mila bambini ebrei sarebbe stata preferibile al mancato raggiungimento della terra promessa. E che il peggior nemico dell’idea di Israele sarebbe la diaspora degli ebrei nel mondo e la loro assimilazione culturale. Una sfilza di bestemmie dette a cuor leggero che già possono prefigurare cosa ci si possa attendere da questa nuova formazione politica. E il rapporto con la violenza di classe quale sarà? A questo quesito risponde il suo numero due Grisolia: “le masse per liberarsi delle violenze degli sfruttatori e degli stati devono sapersi organizzare e visto che si parla di 11 settembre, noi non vorremmo fare la fine di Allende e del Cile l’11 settembre del 1973”. Traduzione: noi direttamente non portiamo i giovani a sfasciare le vetrine, ma se costoro lo faranno spontaneamente noi saremo sempre pronti a giustificarli. Anti imperialismo e anti colonialismo sono i fini che giustificano i mezzi, anche se poi si precisa, ad apposita domanda, che “il modello non è quello dei casseurs delle banlieu parigine, ma quello degli studenti scesi in piazza contro la legge voluta da Villepin”. Un distinguo che non rassicurerà i bottegai di Roma e Milano che dovranno abituarsi ben presto al ritorno dei sabati dell’autonomia operaia che ormai sembravano un retaggio dei formidabili anni ’70.


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